“Cinema: quanto non si vede lo rende grandioso.  Poesia dell’assenza. La semplice logica di vedere qualcosa di misterioso rende questo elemento indefinibile ancora più seducente ed inquietante per lo spettatore che si mette subito a cercarlo.”   Lav Diaz

Per primo nella storia dei grandi festival, il festival di Locarno ha ‘osato’ includere nel suo prestigioso concorso internazionale un film di una durata di più di cinque ore, (338 minuti) programmandolo inoltre, con intelligenza e lungimiranza, durante il primo giorno della manifestazione: From What is Before (Mula sa kung ang noon)  di Lav Diaz non é semplicemente un bel film o un film interessante- tanto per usare delle categorie ricorrenti – é un capolavoro che si inscrive già d’ora nella storia del cinema.

Attraversando con la forza della poesia i cataclismi storici che si sono abbattuti, secolo dopo secolo, fino all’ultimo aberrante capitolo della dittatura di Marcos, sulle Filippine From What is Before  è un’opera imprescindibile e necessaria che crea un universo  abitato da passioni e dolori, speranze e tradimenti, epico e profondamente umano alla volta.

Descrizione vivida in bianco e nero di una piccola comunità rurale nel nord del paese nei due anni immediatamente precedenti all’entrata in vigore della legge marziale il 23 settembre del 1972  From What is Before  è nutrito, più di ogni altro film di Lav Diaz, del vissuto personale del regista e dei suoi ricordi d’infanzia che diventano qui humus e materia narrativa.

Opera della maturità di un poeta, scrittore, pensatore, musicista e cineasta quale è Lav Diaz,  From What is Before cerca di fare luce su un periodo della storia delle Filippine non solo doloroso ed oscuro ma anche distorto ed alterato  dalla lettura spesso di parte, se non addirittura negazionista, propria della storiografia ufficiale: senza ricorrere ad immagini d’archivio Lav Diaz riesce qui a dire l’indicibile.

Attraverso la sua “poesia dell’assenza” il regista ci rende testimoni e partecipi di quello che lui stesso descrive come “l’incubo filippino”. Per la struggente radicalità con cui mostra e denuncia i misfatti di un regime brutale e le conseguenze sui corpi e sulle anime di un’intera popolazione From What is Before si situa, a mia avviso, sullo stesso piano di un’opera come Shoah di Claude Lanzman.

Il film è stato premiato con il Pardo d’oro, la massima ricompensa del festival.   

Il testo che segue è, nel suo insieme, un resoconto della discussione del regista con il pubblico del festival di Locarno moderata da Christoph Huber e completata da alcuni estratti della conferenza stampa sul film.

Hai una lunghissima pratica cinematografica alle tue spalle; hai iniziato a fare  film a partire dagli anni ’90 in un primo tempo nel cinema commerciale di cui però ti sei stancato ben presto. In seguito, nel corso degli anni, hai sviluppato l’estetica che ti è propria, di film in film…

Effettivamente, all’inizio della mia carriera volevo semplicemente sentirmi libero così ho iniziato a fare, da pigro quale sono, dei cortometraggi, dei lunghissimi cortometraggi…(ride). Bisogna sapere che noi filippini siamo pigri per natura. Abbiamo tutto il santo giorno a nostra disposizione; ci sediamo sotto gli alberi per otto ore e poi, se ci viene voglia, ci mettiamo a camminare per altre 12 ore o facciamo l’amore per 15 ore di seguito. Ce la prendiamo con calma. Il nostro è un cinema pigro, indolente. Così dicono!

L’anno scorso sei stato il presidente della giuria del concorso internazionale qui a Locarno, in quest’occasione è stato proiettato un tuo film: Batang West SideWest side kid (2001) appena restaurato. Batang West Side è stato il primo dei tuoi film lunghi e durava cinque ore, il film seguente: Evolution of a Filipino Family (2004) durava ben 12 ore. Mi sembra importante menzionare queste due opere in particolare perché il loro soggetto – un’incursione nella storia del passato recente del paese- coincide in parte con quello del tuo ultimo film.

Sì, anche  Evolution of a Filipino Family tratta il soggetto della legge marziale, ma attraversa  l’intero periodo – sette anni – in cui è stata in vigore a differenza di From what is before,  che racconta degli eventi avvenuti nei due, tre anni precedenti alla sua imposizione. La legge marziale, è stata un vero incubo, un periodo molto buio, il peggior cataclisma che sia mai accaduto nella nostra storia; migliaia di filippini sono stati torturati e sono scomparsi durante gli anni della dittatura di Marcos, ancora oggi ci sono un sacco di “desaparecidos” di persone scomparse per sempre. West side kid racconta invece il periodo post-legge marziale, l’epoca che è succeduta ai 24 anni della brutale dittatura di Marcos e  la vastità della tragedia umana che ne è risultata.

A priori non avevo in mente di fare una trilogia ma è pur vero che, storicamente parlando, questi tre film costituiscono una sorta di continuum.

 

Quando si parla del tuo cinema, ci si sofferma in primo luogo sulla questione del tempo e della lunghezza straordinaria dei tuoi film. Io, al contrario, ho la sensazione che nella concezione dei tuoi film l’elemento più importante per te sia lo spazio. Sei d’accordo?
Nelle Filippine abbiamo un concetto molto diverso del tempo; il tempo per noi è strettamente connesso al circolo solare e ai fenomeni naturali, all’alba e al tramonto, ai diversi tifoni che ci visitano ogni anno, al modo in cui coltiviamo i campi. Questi elementi sono essenziali per noi.
Le Filippine sono un paese di 1700 isole con un sacco di acqua, milioni di zanzare, migliaia di lucertole, un paese governato dallo spazio non dal tempo. Concepiamo e viviamo la vita in un modo molto diverso rispetto agli europei. La nostra estetica è un po’ come il riso che pian piano si sviluppa diventando d’oro.

La tua predilezione per i campi lunghi nasce dunque dal desiderio di presentare una persona nello spazio in cui vive?
Certamente. Tutto in Asia, in particolare nel sud-est asiatico, è dettato dalla natura che ci circonda: il nostro modo di rapportarci con il medio ambiente, dominato dalla presenza dell’acqua, è ‘fluido’ in un certo senso; negli arcipelaghi, sulle coste ci adattiamo costantemente ai mutamenti del mare intorno a noi.  Le Filippine detengono tristemente il record mondiale dei tifoni; ogni anno si abbattono su di noi  una trentina di tifoni e di grandi tempeste. Le nostre vite dipendono in maniera sostanziale dal modo in cui natura ci tratta. Questo è il nostro spazio-tempo.

Death in the Land of Incantos (2007) è stato girato nello stesso luogo in parte prima e in parte dopo il grande tifone che ha colpito la zona cambiando completamente la morfologia del paesaggio…
La nostra cultura si deve confrontare con questo circolo vizioso di rinascita – rigenerazione e distruzione. I paesaggi cambiano costantemente a causa delle frane, dei terremoti e dei tifoni. Di fronte alle conseguenze devastanti delle intemperie noi abbiamo bisogno di cercare un modo per riprendere la nostra vita, per rinascere dalle macerie.

Quando inizi un nuovo film, cerchi in primo luogo la location?
Sì, mi metto subito alla ricerca dei luoghi e sono sempre questi luoghi a dettare, in un certo senso, la forma estetica della pellicola.  Creo le mie storie intorno al luogo che ho scelto per le riprese. Le mie storie sono sempre dettate dalla natura circostante. La natura è un attore principale nel mio cinema.

Quindi è la location a dettarti la sceneggiatura, in un cero senso?
Cerco delle location anche quando ho già una sceneggiatura in mano. Per quanto riguarda From What is Before ero alla ricerca di un posto che avesse un aspetto fine anni ’60, inizio ’70. Abbiamo effettivamente trovato questo posto nella parte settentrionale del paese che è una zona particolarmente desolata e rimasta tale e quale come negli anni ’60. Abbiamo girato lì senza cambiare nulla. Quando inizio un progetto ho sempre un’idea concreta in mente; questo è il mio punto di partenza, poi il processo creativo in sé è un qualcosa di molto fluido, di organico direi. Di notte scrivo il copione e il giorno seguente filmiamo le scene in base a questo copione. Non precipitiamo mai le cose. Giriamo al massimo due scene al giorno, più spesso direi una sola scena. Se c’è bisogno passiamo il nostro tempo bevendo del caffè, aspettando il momento giusto per filmare un uccello che vola in cielo!


Uno dei tuoi collaboratori mi ha raccontato che le riprese con te sono un’esperienza molto felice, al contrario dei tuoi film che descrivono sempre delle situazioni drammatiche.
Come ti dicevo prima, il segreto sta nel sapere aspettare. Lavoriamo duro per dare vita alla nostra visione estetica, ma non precipitiamo mai le cose.

Qual è il tuo metodo di lavoro con la troupe?
Ho sempre lavorato con persone di cui mi fido. La mia troupe sono i miei amici. Tutti conoscono il mio modo di lavorare e sanno come funziona un’attività di gruppo. Lavoriamo duro, siamo un’ottima equipe, un vero e proprio collettivo. Io posso fidarmi di loro e loro possono fidarsi di me!

Nei tuoi film allo stile documentario con cui mostri le persone ed il paesaggio in cui vivono associ una dimensione ulteriore che definirei  fantastica, surreale.  Come costruisci questi due piani?  

Quanto descrivi non è il risultato di una decisione presa a tavolino; in questo tipo di cose bisogna agire in modo istintivo, primordiale. L’importante è mantenere una fluidità costante abbracciando quanto si ascolta e quanto si vede e continuare ad avanzare. E un processo molto organico, è come un essere vivente che man mano cresce.

Da una decina d’anni a questa parte giri in digitale; la fotografia dei tuoi film continua ad essere sublime come se tu lavorassi in pellicola? Quali sono i tuoi segreti di fabbricazione?
Sono un adepto del modernismo, abbraccio con interesse le nuove tecnologie e le studio a fondo. Il digitale è uno strumento come un altro, per ottenere dei buoni risultati bisogna saperlo usare. Questo è il senso dell’evoluzione: conoscere e sfruttare i propri utensili al massimo!

Hai sempre girato in bianco e nero ad eccezione di Norte, the end of history (2013). Perché hai scelto il colore in questo film?

In Norte sono tornato al colore a causa della location. Eravamo in giro alla ricerca di un luogo adatto per le riprese; quando siamo arrivati al nord, nella zona in cui è cresciuto Marcos, la bellezza del luogo mi ha profondamente colpito. La luminosità, il gioco dei raggi del sole e delle ombre è perpetuo, tutto cambia da un minuto all’altro in questa zona. Non potevo far altro che abbracciare quanto mi offriva la natura intorno a me e per poterlo fare in maniera adeguata avevo bisogno del colore!

Per quale ragione preferisci invece girare per lo più in bianco e nero?
Dietro questa scelta non si nasconde nessuna ideologia. Direi che è un altro modo di vedere le cose. Sono cresciuto guardando cinema in bianco e nero ed è per questo che amo il bianco e nero. Non posso farci niente: è il mio subcosciente che mi impone questa scelta. A volte, guardando dei film tolgo perfino il suono e li trasformo in dei film muti! (ride)

Nonostante i tuoi film abbiano uno stile immediatamente riconoscibile, si possono constatare delle fluttuazioni da un’opera all’altra; talvolta ti servi quasi esclusivamente di campi lunghi, talvolta preferisci i close-up…

Queste sono per me delle scelte istintive.  Ovviamente è facile restare intrappolati in questi discorsi teorici, ma ad un certo punto per fare un film bisogna buttare via tutte queste cose: in fin dei conti devi fare un’inquadratura, creare una storia e tessere in un insieme dotato di senso i vari filoni narrativi. Lo stile proprio di un film mi viene di volta in volta dettato dai suoi personaggi, dal corso della narrazione; è basandomi su queste cose che articolo il linguaggio estetico di un film. Per me la cosa più importante è mantenere sempre una grande fluidità, lasciandomi traportare dalla materia stessa.

Cosa significa per te il fatto di essere, fra le altre cose, anche il direttore della fotografia e il montatore dei tuoi film?

Il regista, lo scrittore, il direttore della fotografia e l’uomo profondamente travagliato che sono fanno parte di un tutto; il segreto sta nel riuscire a trovare il giusto equilibrio fra una cosa e l’altra!

Il momento più difficile è senza dubbio quello del montaggio quando, a tavolino, devi cercare di collegare una cosa con l’altra.  Per From What is Before ho iniziato a montare già in febbraio; è stato un processo molto lungo. Di solito continuo a girare mentre sto montando, questo metodo di lavoro mi permette di girare subito il materiale che mi serve quando mi rendo conto che mi manca qualcosa durante il montaggio.

La musica e la poesia sono spesso presenti nei tuoi film; in quanto musicista e poeta, ti servi di quanto hai composto e scritto tu stesso?

Certamente, come dicevo prima, per me fare cinema è una costellazione di molte cose diverse come scrivere poesia, o fare musica…

I tuoi film sono immersi in un’atmosfera molto particolare. Sembra che tu abbia una fortuna incredibile nel conseguire le condizioni metereologiche adatte ad illustrare, di volta in volta, la situazione che vuoi trasmetterci.  Come fai?

É molto semplice: aspetto il momento giusto. Questa, è un’attitudine tipicamente filippino, sto tranquillamente seduto ad aspettare…

In passato mi hai raccontato che le tue letture di opere storiche hanno influenzato considerevolmente il tuo lavoro, allo stesso tempo mi hai  detto che spesso viaggi  nelle Filippine con lo scopo di parlare con la gente ed ascoltare la loro versione dei fatti, i loro ricordi, spesso molto diversi dalle versioni della storiografia ufficiale.

La storia orale è totalmente diversa e spesso in antitesi a quanto leggiamo nei libri. Per me é molto importante comunicare con la gente, soprattutto con i vecchi che hanno la loro propria storia. Parlando con loro mi aiuta ad immaginare dei luoghi reali e delle cose reali del nostro passato. Il processo creativo per me è indissolubilmente connesso con delle scoperte; più avanzo e più scopro delle cose.


Nonostante il riconoscimento internazionale di cui godi, tuttora non è facile per te per mostrare i tuoi film nelle Filippine. Qual è il circuito locale per questo tipo di cinema?
In effetti, è ancora difficile per me mostrare i miei film nelle Filippine in primo luogo perché non esistono ancora  dei locali adatti che possano accogliere un grande numero di persone: per il momento facciamo delle proiezioni in ambito accademico, presso varie istituzioni culturali o in delle pseudo cinemateche. Nel mio paese la gente è abituata a consumare il tipico modello hollywoodiano cioè un film di un’ora e mezza, due ore al massimo, per i miei film è molto dura, è una battaglia continua, un processo molto, molto lento. Comunque penso che le cose cambieranno in meglio pian, piano.

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