CHIARA PALMISANI/ Past lives, primo film della giovane regista coreana, naturalizzata canadese, Celine Song, ha come protagonisti Nora (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo), una donna e un uomo coreani che si conoscono da bambini, si separano per molti anni, per via del trasferimento della famiglia di lei in un altro paese, e si reincontrano da adulti, grazie ai social, pur continuando a vivere in due continenti diversi. Nora e Hae Sung sembrano legati da sempre da un sentimento che va oltre l’amicizia, ma nella pratica, da adulti, non riescono a “scegliersi” davvero, al punto da superare l’oceano di distanza che li separa e a provare a vivere nella stessa città. Solo dopo 24 anni, lui deciderà di andare a trovare lei a New York, dove scoprirà che tra loro esiste ancora un qualcosa di molto forte, ma Nora è ormai sposata con un americano e l’unica cosa possibile sembrerà accettare con fatalismo il fatto che questa vita, ormai, sia andata così.

Probabilmente il gap culturale esistente tra una regista coreana e una spettatrice europea è tale da rendere poco comprensibile quest’idea della predestinazione, ma guardando il film con la massima apertura possibile, possiamo provare a metterci nei panni di chi può credere che non siamo noi a scegliere del tutto la persona “da sposare”, bensì che occorrono ottomila strati di in-yun perché due persone si sposino. Il concetto di In-yun, che in coreano significa “destino”, è un qualcosa che regola i rapporti tra le persone. È un In-Yun persino quando due sconosciuti camminano per strada e i loro vestiti si sfiorano appena, perché significa che c’è stato qualcosa tra loro nelle vite passate.  Certamente una trama che ci porta a domandarci quanto e se siamo artefici delle nostre vite può risultare attrattiva, e questo è evidentemente uno dei punti di forza del film, che ha raggiunto una grande fama a livello internazionale. Nonostante una precisa connotazione culturale asiatica del modo di interpretare i rapporti d’amore, Celine Song ci parla, in fondo, di un tema che riguarda l’esperienza umana universale: il richiamo che può avere su di noi un qualcuno o qualcosa che si riaffaccia dal passato nella nostra vita presente. E questo tema così “catching” viene raccontato con uno stile classico e un’estetica piacevole e romantica. Ma oltre al farci chiedere “cosa ci sarebbe successo se la nostra vita in quel momento fosse andata diversamente”, “cosa sarebbe stato di quella relazione se avessimo fatto questo o quest’altro, invece di quanto abbiamo fatto” – domande che riguardano effettivamente chiunque di noi, indipendentemente dall’estrazione sociale, provenienze geografica o storica – questo film non ci interroga su molto altro. E interpellarci su queste domande potrebbe anche bastare, perché sono certamente domande che possono arrivare a scavare nel profondo, se solo il film non restasse troppo in superficie per riuscire a farlo, evitando di fatto tutto ciò che avrebbe potuto renderlo più intenso (incluse le asperità del caso). La poesia ricercata, facilmente, nelle pozzanghere di New York viene smorzata altrettanto facilmente dalle inquadrature-cliché di alcuni spot emblematici della città (addirittura la Statua della Libertà!). Il tentativo di trasporre i sentimenti tra i due protagonisti nel romanticismo degli spazi metropolitani alla Io e Annie risulta un susseguirsi di fotografie già viste in tante commedie romantiche hollywoodiane. E alcuni spunti, che sarebbero potuti essere interessanti, come le cause della scelta di emigrare da parte della famiglia di Nora verso il Canada, vengono liquidati con spiegazioni semplicistiche del tipo “perché in Sud Corea non si vince il Nobel”. Allo stesso modo non viene approfondito lo stato d’animo della protagonista davanti alla scelta di sposarsi prima del tempo con un americano, pur di ottenere la Green Card. Complessivamente la sensazione che si ha vedendo Past Lives è di trovarsi davanti a un film che vorrebbe aspirare ad essere film d’autore e non solo a gradevole storia romantica, ma senza riuscirci (ma ci sono invece film d’autore romantici bellissimi! In questi giorni in sala c’è ancora l’eccezionale Foglie al vento di Aki Kaurismäki).

In una delle videocall su Skype tra i due protagonisti, viene citato Eternal sunshine of the spotless mind, film d’esordio del francese Michel Gondry, dalla pluripremiata sceneggiatura. Nel film, per non soffrire più per un passato amore si può decidere di cancellarne il ricordo dalla propria mente. Celine Song, forse, introduce questa citazione nel suo film per antitesi, per raccontarci, al contrario, di chi non si sottrae al ricordo e anzi ne resta a lungo imprigionato, ma la regista non riesce a farlo in modo minimamente problematico, non ci pone davanti a nessun vero dolore. Gli eventi vengono raccontati quasi sempre in modo semplice e piacevole.  Solo alla fine si arresta la continua rimozione del dolore e Nora, forse anche grazie a un marito accudente e comprensivo, riesce a sciogliere il rimpianto in un pianto liberatorio. Non sappiamo se questo pianto le permetterà di andare oltre al suo passato, ma a noi non sembrerà poi troppo difficile buttarci alle spalle Past Lives, una volta uscite dal cinema.

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