di Fabrizio Funtò/ Mettiamo due agenti segreto (e mezzo) a confronto, e dimostriamo subito il nostro teorema.
Il più famoso agente segreto della storia del cinema è ovviamente James Bond (“JB”), in arte “007” (double-“O”-seven, in inglese). E’ un agente fascinoso, incline come pochi al gentil sesso (si direbbe un vero e proprio “assatanato”). Lavora per l’MI6 ed è al servizio di Sua Maestà, che è buona per antonomasia e, come se non bastasse, anche per conto di Dio (Elisabetta regna per conto dell’Onnipotente).
Di là i cattivi: la Spectre, organizzazione sovietica nei modi, ma capitalista nel cuore e nel portafoglio —. Tutto è molto chiaro e semplice.
Si tratta di capire quali minacce al mondo libero verranno ideate dai cattivi, e con quali trucchi (e con quale sfacciataggine) l’agente segreto del bene riuscirà a disinnescarli, concludendo inevitabilmente la sua avventura fra le braccia della Bond Girl di turno, mentre tutte le forze di polizia stanno tentando di salvarlo (da lei, credo).
JB, alias 007, è perfino ironico, finanche mellifluo. I suoi momenti migliori sono le battute che pronuncia quando sembra essere definitivamente ed irrimediabilmente sconfitto, in trappola con le spalle al muro, ed è sul punto di lasciarci la pelle (o spesso, letteralmente le palle). Insomma: thriller travestito da commedia rosa, o viceversa. E per condimento un po’ di effetti speciali.
Jason Bourne (di nuovo “JB”) invece è un agente “immemore”. Ha scordato tutto, non sa chi sia. Ma sa che ogni mattina deve svegliarsi e deve correre più veloce della tigre o del dragone che lo stanno inseguendo. Senza che lui ne conosca la ragione, ma con la coscienza chiara di aver combinato qualcosa di terribilmente grosso e malvagio, e di essere terribilmente addestrato al combattimento.
Chi sia il bene, chi sia il male, chi sia la Regina per cui combatte, chi sia invece il “nemico” — è un problema. La Spectre, si direbbe, è dentro di lui, è il suo male interiore: sono i suoi amici, la sua stessa organizzazione, il Paese che loro pretendono di difendere e a cui lui pretendeva di essere fedele.
Sono loro che lo hanno formato e trasformato, sulla base della totale menzogna che arriva nel profondo, fin nelle sue fibre più intime. Le “Bourne Girl” fanno spesso parte della sua ex-squadra, e pur avendo casuali ed estemporanei rapporti con lui, sono tutte destinate a morire tragicamente.
Bourne è la lotta per la lotta, quando il senso del “bene” è stato oramai definitivamente distrutto. Quando le identità sono irriconoscibili. Per trauma di cancellazione subentrato. L’unico bene è allora mantenersi in vita, ancora per un giorno, ancora per qualche ora. Il bene è fare terra bruciata intorno, e poi sparire in quell’isola lontana, talmente lontana da diventare un miraggio. Vivere ai margini e fuori dalla rete, questa è l’unica possibile speranza.
Ma siccome i film sono veri, nel senso che la storia che raccontano è sempre falsa, ma la metafora che contengono è invece assolutamente vera, reale, concreta, tangibile: allora proviamo a dedurre le conseguenze del teorema di Bourne.
Il mondo, disgraziatamente, è reale. E Bourne, disgraziatamente, siamo noi.
Dopo il crollo del Muro, che è il trauma dell’Occidente moderno, la situazione è diventata tremendamente complicata, perché il bene si è vaporizzato insieme al male. O meglio, noi vivevamo nel mondo che supponevamo o giudicavamo essere “libero” solo perché vedevamo dalla parte opposta una cortina di ferro e un altro mondo fatto di galere e inquisizioni, altre inquisizioni rispetto alle nostre.
Potevamo accettare i segreti del mondo del bene, soltanto perché eravamo sicuri che i terribili segreti del mondo del male, se avessero prevalso, sarebbero coincisi con la nostra distruzione. Ma una volta che l’Impero del Male è tramontato, si è verificato quello scivolamento di posizione (“shift”, in inglese) per cui i servizi segreti di ieri sono diventati la Specrte di oggi.
La lotta al male è diventata autoreferenziale, così come le nostre democrazie stanno involvendo verso una sorta di autocrazia in cui le elezioni ed il parere dei cittadini non sembrano essere poi così determinanti, i partiti diventano “club”, anzi diventano un fastidioso retaggio del passato e oramai inutili, caduto il famoso Muro.
Nessuno da noi usa più questi termini obsoleti come “diritti”, “coscienza”, “progresso”, “cultura”: si tratta di termini a dir poco urticanti. Al loro posto si parla di “governabilità”, di “spread”, di “PIL”, ma soprattutto si parla del “debito”. Tutto il mondo moderno è in debito. Ma con chi?
Non è dato di saperlo, e non è nemmeno importante. E’ il debito di vita di Bourne. Anche lui non sa come si sia generato quel debito, e perché sia di quelle dimensioni mostruose. Ma sa che è il suo “peccato originale”, e non c’è verso di espiarlo in questa vita.

Ma lo è — in debito — anche dell’unico esempio di clonazione riuscita del più famoso JB, di 007: Daniel Craig. Craig non è mellifluo, non è accondiscendente, non è nemmeno sensuale: è “tosto”. E’ rigido nella sua smorfia da duro. E funziona proprio per questo, perché è un po’ Bourne anche lui. Anche lui ha la sua organizzazione spesso contro e a contrasto continuo delle sue azioni. Anche lui vive in un mondo dove la certezza del bene è svanita, e dove la lotta è diventata il fine.
Non c’è più la società avanzata e moderna, sono rimasti i branchi, le tribù: tutte organizzazioni dedite alla sopravvivenza, nella savana della storia. E noi umani di questa epoca, ogni mattina, dobbiamo tirarci su dal letto e correre, correre, correre, inseguiti dal debito colossale: del nostro Stato; da Equitalia, da una banca, dai debiti personali che incalzano ossessivi.
Com vedete, i due 007 e Bourne — direi “i tre JB” — non solo sono reali, ma disgraziatamente ci dormono a fianco.

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