di Maria Giovanna Vagenas/ L’entrata in scena è brusca ma prorompente; una porta viene sfondata con grande fracasso e noi siamo catapultati di botto in una scena frenetica e violenta da film poliziesco di serie B.  Guidata dall’intrepido commissario Santi (Vincent Elbaz) una squadra speciale penetra nel covo di un dealer. Dopo avere sgominato tutti i suoi avversari, Santi, da vero super-eroe, con un salto mirabolante dall’ultimo piano dell’edificio, cade esattamente sul sedile della sua macchina e riparte come se niente fosse.

Scroscio di risa in sala. Il primo di una lunghissima serie che ha accompagnato tutta la proiezione di En Liberte! di Pierre Salvadori alle Quinzaine des Réalisateurs.

Questa sequenza iniziale, ripetuta con infinite varianti durante tutta la pellicola è il perno, intorno a cui ruota e si dispone, di volta in volta, la vicenda rocambolesca di En Liberte!

Mentre stiamo ancora ammirando sullo schermo le gesta eroiche di Santi, un taglio improvviso ci porta nella stanza da letto di un bambino che, con gli occhi grossi, pieni d’emozione, chiede alla mamma di raccontargli ancora un’avventura di suo papà.

Con un tocco lieve e virtuoso, Pierre Salvadori crea una commedia finemente cesellata, toccante e divertentissima, trasportandoci, sulla scia di un’ispirazione poetica e grottesca a tutto tondo, in un universo dove realtà e fantasia, fatti e racconti si danno giocosamente la mano.

Il padre del piccolo, Santi, il poliziotto leggendario che abbiamo appena ammirato, è morto due anni prima nell’esercizio delle sue funzioni. Santi  vive e rivive nei racconti, che ogni sera Yvonne, (Adèle Haenel), anche lei poliziotto, narra a suo figlio per aiutarlo ad addormentarsi, per alleviare il dolore della perdita e colmare il vuoto dell’assenza.

Senonché l’immagine del padre ed il tenore stesso dei racconti che Yvonne farà al figlio andranno radicalmente cambiando dal momento in cui la donna scoprirà nel corso di un’incursione in un club sado-masochista che l’amato marito, onorato con una statua sul porto di Marsiglia, non era altro che un poliziotto corrotto.

L’ultimo dei suoi misfatti è stato quelllo di mandare in prigione un‘innocente, otto anni prima, per la rapina in una gioielleria. Yvonne scopre che l’uomo sta per uscire di prigione e vuole a tutti i costi cercare di riparare i torti del marito.

Purtroppo in prigione, il mite e pacifico orefice Antoine (Pïo Marmai) si è trasformato in un uomo aggressivo e caratteriale.

Da qui in poi non solo Antoine, che, abitato dalla rabbia e dal rancore, é ormai completamente incapace di adattarsi ad una vita normale, ma tutti i personaggi del film perderanno completamente il controllo della situazione e finiranno travolti in una girandola di qui pro quo tragicomici a non finre.

Accanto ai due protagonisti, Yvonne e Antoine – duo irresistibile- anche le persone che stanno loro vicine verranno coinvolte in una spirale di  avventure inverosimili e di situazioni esilaranti.

La dolce Agnés (Audrey Toutou), moglie comprensiva e fedele di Antoine, si troverà improvvisamente di fronte ad una specie di mostro, un uomo sconosciuto e sconcertante, mentre Louis, (Damien Bonnard), poliziotto, collega di Yvonne e da sempre perdutamente innamorato di lei, dovrà cercare di gestire il comportamento volubile ed esaltato della sua amata che non esiterà a mettere a repentaglio la sua carriera e la sua stessa vita per riscattare le colpe di Santi.

Sempre animati da buone intenzioni, i protagonisti cercano di fare del loro meglio e s’impegnano a fondo per trovare delle soluzioni, difendere il proprio onore, salvaguardare la vita dei loro cari, conquistare o riconquistare l’affetto della persona amata, o forse,  più semplicemente, solo per cercare un piccolo posto al sole, ma finiscono per complicare la loro vita e quella degli altri sempre di più.

Goffi, patetici e toccanti nei loro tentativi eroici e disperati nel salvare il salvabile, i personaggi del film sono pronti ad usare ogni stratagemma, fingendo, nascondendosi ed indossando ruoli che non sono i propri per finire, inevitabilmente, in guai sempre più grossi.

Il film, costruito su questo sottile e continuo passaggio dai fatti vissuti a quelli immaginati, in una giravolta di cambi di identità e di travestimenti, ci offre una riflessione briosa e agrodolce sul potere della narrazione e sulle pieghe dell’animo umano.

Dietro le gag a catena, il ritmo sfrenato, l’invenzione esplosiva di situazioni sempre più sorprendenti, Pierre Salvadori disegna in filigrana dei personaggi pieni di malinconia.

Tutti sono prigionieri di qualcosa, costretti a portare delle maschere in senso figurato come in senso proprio – ne vediamo di tutti i generi: dal sacchetto di carta a quello di plastica, alle maschere sado-maso in latex, a quella di Zorro- e  lottano per liberarsene.

In questo andirivieni costante fra la realtà quale è e quale dovrebbe essere, il racconto dà corpo al desiderio dei personaggi. Nelle fiabe che Yvonne racconta al figlio Santi si trasforma da super-eroe che sgomina tutti, in una figura sempre più sventurata fino al momento in cui il bimbo comprende di potere lui stesso plasmare ed immaginarsi il padre come meglio crede. La narrazione si inserisce a più riprese nel racconto stesso del film come in una scena spassosa in cui i vigili addetti al controllo dei video di sorveglianza si appassionano alla scena di una rapina, come se stessero vedendo un film d’azione alla TV.

Malinconia e poesia emanano da questo gioco narrativo virtuoso che scatena ineluttabilmente le nostre risate; Pierre Salvadori sa farlo con un linguaggio ed uno stile fluido, fantasioso, elegante, deliziosamente irriverente, in tutta libertà!

Con il suo mirabolante, divertentissimo labirinto di specchi il film ci rinvia, in fin dei conti, un’immagine di noi stessi.

 

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