pierpaolo pasoliniAl di là di tutte le coincidenze, divergenze e assonanze tematiche che è possibile rintracciare in questi due film, Una vita violenta e Agostino sono legati da un dato storico magari casuale, ma non per questo meno significativo: il film di Rondi e Heusch e quello di Bolognini sono stati, rispettivamente, il primo e il secondo film della storia del cinema italiano a incappare nei dettami e nelle procedure della legge n. 161 del 21 aprile 1962 (tutt’oggi in vigore, con una lieve modifica nel 1998 per quanto riguarda il teatro), un articolo di legge che riorganizzava la censura teatrale e cinematografica introducendo, tra l’altro, i due divieti di visione per i minori di quattordici e diciotto anni al posto dell’unico divieto ai minori al di sotto dei sedici anni (fino al marzo del 1975 la maggiore età si conseguiva al compimento del ventunesimo anno). La proiezione delle due pellicole durante le giornate della retrospettiva Questi fantasmi ha riportato sullo schermo questi due film dalle immagini scabrose quanto la pubblicità di un reggiseno e violente quanto un videogioco che subirono, all’epoca, una censura politica e un veto morale, secondo i canoni dell’ideologia dominante fino al 1968. Tanto per esser chiari, il Centro Cattolico Cinematografico archiviò Agostino come “un film assolutamente negativo che, sotto il profilo morale, squalifica l’autore e la produzione” mentre considerò Un vita violenta “una grave offesa alla verità e alla dignità della persona umana. Escluso.”.

La linearità logica, però, non è caratteristica distintiva della pratiche censorie che sono, al contrario e per loro natura, procedure arbitrarie e, a ben vedere, rimane difficile collimare le ragioni dei divieti, se non addirittura dei processi come quello per vilipendio alla religione de La ricotta di Pasolini, con quelle dei nulla osta a Accattone o a Mamma Roma dello stesso Pasolini, ma anche ad altri film coevi degli stessi Bolognini (La notte brava e La giornata balorda da Pasolini e Moravia) e di Brunello Rondi (il suo secondo Il demonio, film archetipo de L’esorcista). Se per Una vita violenta si può sempre giustificare tutto con l’accanimento nei confronti della persona di Pasolini, per Agostino la faccenda è più misteriosa e, forse, il “difetto” sta nell’unica (quasi) variazione che l’adattamento di Goffredo Parise apportò al romanzo di Moravia: il cambio d’ambientazione. E probabilmente per volontà proprio di Bolognini. Il regista desiderava da tempo girare un film a Venezia: ci provò pochi mesi prima quando fu chiamato a dirigere la trasposizione di Senilità di Italo Svevo, ma le autorità di Trieste insorsero e il film si girò nella città natale dello scrittore. L’operazione gli riuscì, invece, con Agostino che dalla Viareggio degli anni Venti fu traslato a Venezia e a Lido di Venezia. L’accostamento tra le immagini degli stabilimenti del Lido, del lungomare del Lido, del Grand Hotel del Lido e anche del Palazzo del Cinema (tutte accolte con teneri brusii dal pubblico della sala Volpi) e le immagini dell’abbrutimento a base di furti, prostituzione, pedofilia e omosessualità vissuto dall’eterogenea colonia della spiaggia libera (un ragazzo di borgata romana e un ragazzo di colore misti ad adolescenti veneti) non deve esser stato bene accolto dalla suscettibile cittadinanza locale e il film, comunque un insuccesso commerciale, sparì.

moraviaUnico a recensirlo positivamente fu Alberto Moravia, soddisfatto della messa in quadro del proprio romanzo. Dotato della bellissima fotografia in bianco e nero di  Aldo Tonti, delle musiche di Carlo Rustichelli con inserti da Erik Satie, dell’altera e distaccata interpretazione di Ingrid Thulin, l’Agostino di Bolognini, sottotitolo La perdita dell’innocenza, è il sensibile racconto del traumatico scioglimento edipico di un adolescente nei confronti della propria madre. Invocava profeticamente Morandini nel suo dizionario a proposito della sorte di questa sfortunata pellicola: “meriterebbe una rivalutazione se qualcuno si desse la pena di riproporlo in qualche retrospettiva o sui teleschermi dove non è mai passato”. Desiderio esaudito.

Altrettanto singolare il destino di Una vita violenta, una delle poche regie tratte da suoi lavori di cui Pasolini rimase soddisfatto e di cui scrisse e parlò bene (a differenza di quelle di Bolognini con il quale litigò ferocemente). Lo scrittore friulano, in base alla testimonianza dello stesso Rondi, collaborò alla sceneggiatura, insieme a Franco Solinas, Ennio De Concini e Franco Brusati, mentre Sergio Citti (che fu anche aiuto alla regia) scrisse i dialoghi. Rispettoso del testo di partenza, il film aggiunge solo una scena di violenza di gruppo nella parte iniziale che non è presente nel romanzo.

La doppia regia Rondi – Heusch fu un dettame della produzione che volle un regista pragmatico e di esperienza al fianco di un personaggio eclettico come Brunello Rondi, questa sì una figura mai abbastanza studiata nella storia del cinema italiano: poeta, filosofo, etnomusicologo che non considerò mai il cinema come il proprio unico mestiere, ma che fu il più misconosciuto collaboratore di Fellini e Rossellini. La parabola del “coatto” Tommasino, interpretato dallo straordinario Franco Citti, è una sorta di archetipo del trasformismo italico: cresciuto in compagnia di giovani fascisti, cerca di mettere la testa a posto rivolgendosi alla parrocchia e decidendo di iscriversi alla DC. Ma la vita in carcere gli ha lasciato in conto la tisi e l’esperienza del ricovero in un istituto per tubercolotici e la conoscenza del sindacalista Bernardini (Enrico Maria Salerno) lo faranno nuovamente convertire al PCI proprio quando la famiglia riesce ad ottenere una casa popolare su racomanazione ecclesiastica. Tra le tante curiosità in calce, da segnalare la sequenza dell’azione fascista nel cinema dove si sta proiettando Il generale della Rovere. Moris Ergas, produttore sia di Una vita violenta che de Il generale della Rovere, volle citare le rissose polemiche scatenate dal film del 1959 (vincitore del Leone d’Oro ex equo con La grande guerra di Monicelli), ma finì per inscenare ciò che sarebbe accaduto anche al film di Rondi e Heusch.

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