Ci sono immagini che si presentano ai nostri occhi come chiare e al tempo stesso misteriose. Le abbiamo davanti a noi eppure c’è bisogno di qualche altra informazione perché inizino a essere espressive e ci parlino con maggiore forza. Così accade all’ex poliziotto militare Hank (Tommy Lee Jones) che riguarda i filmati e le fotografie del figlio Mike in missione in Iraq. Certo il mistero che gli si presenta di fronte ha un risvolto reale: di quel giovane soldato in congedo se ne perdono le tracce, quel figlio tanto amato e in qualche modo spinto sulle orme del padre, una volta tornato in patria scompare. Non è più in caserma con i commilitoni e non è tornato in famiglia. Nessuno sa che fine abbia fatto.

Sin dai primi suoni, dall’oscurità dello schermo, e poi con le iniziali inquadrature sgranate, e di seguito col risveglio improvviso dal letto di Hank allo squillo del telefono, con una voce che grida “Papà…”, ci viene consegnata una profezia. In quei primi istanti di visione è contenuto l’epilogo, ma ben presto lo dimentichiamo perché da spettatori addestrati non ci bastano le suggestioni, cerchiamo dei percorsi narrativi che ci sostengano in quello che appare un disegno ancora confuso. Paul Haggis, già autore di Crash e sceneggiatore di fiducia dell’ultimo Eastwood, non si tira indietro dal consegnare a chi guarda un’impalcatura sicura: due buone spalle per attraversare l’incognito e delle buone motivazioni. E chi può rispondere meglio a questi due requisiti se non un padre onesto, fedele servitore dello stato ed ex poliziotto? Con lui possiamo stare sicuri che l’obiettivo verrà raggiunto. Anche se questa struttura solida pian piano si sfarina, si scioglie come neve al sole, affidando allo sguardo dello spettatore ammutolito, alla fine della proiezione, ben altra storia.

Hank dunque, con spirito tipicamente americano, non se ne sta a casa ad attendere che qualche autorità gli porti servita la verità o al peggio una versione dei fatti. Prende in mano la situazione e inizia la sua indagine che diventa un viaggio in cui togliere uno dopo l’altro i veli a quanto si nasconde dietro la scomparsa del figlio: un resoconto col cuore in mano di quello che gli Stati Uniti sono diventati con la guerra in Iraq. Dai reduci che escono fuori di testa, agli eccessi con l’uso di droghe e alcol dei militari in licenza, alla violenza che resta appiccicata addosso e che cerca sfogo pur essendo oramai a migliaia di chilometri di distanza dal fronte. Insomma la ragionevolezza degli indizi non si sommano secondo una logica aggiuntiva tipica del thriller, ci aprono invece le porte per un altrove che nella banale confessione finale dei responsabili di quanto accaduto a Mike ci lascia spiazzati. L’evidenza della narrazione, che fa a meno di particolari artifici, arriva di peso a schiacciare la spettatore.

Complice di Hank è l’ispettrice Sanders (Charlize Theron): una donna sola, non ha un marito, e vive col figlio. Il maschilismo dei colleghi non l’aiuta nel suo lavoro, però è l’unica a metterci qualcosa in più nel suo mestiere. Magari lo farà per dimostrare quanto vale ma c’è in lei dell’altro: un senso di responsabilità verso l’assertiva richiesta di un padre che rivuole indietro il figlio. Il suo comportamento segna una differenza di approccio importante, come altrettanto fanno le lacrime di Susan Sarandon nella parte della moglie di Lee Jones, in un film maschile e ruvido, quasi che la guerra fosse un affare tutto di maschi. Hank probabilmente la pensa così, non disdegna però l’aiuto di Sanders. In lui ci sono valori morali che facilmente richiamano a una tradizione conservatrice che non tengono più alla resa dei conti. I conflitti armati non sono più come quello avvenuto nella biblica valle di Elah, in cui il giovane Davide è spinto dal padre re Saul, con solo cinque pietre ed una fionda, ad affrontare il gigante Golia. In quella circostanza la chiave del successo di Davide è data dalle virtù individuali quali il coraggio, la capacità di dominare la paura, la scelta del tempo giusto per scagliare con la fionda la pietra contro Golia.

Ora la guerra non è più così, e più ci si inoltra Nella valle di Elah, più ci si accorge che l’unica verità l’avevamo a portata di sguardo, contenuta in quelle riprese inquietanti che poco a poco vengono estratte dal cellulare di Mike. E non si tratta delle torture inumane praticate durante la missione transoceanica ma, soprattutto, della verità agghiacciante di ciò che la guerra produce. I nemici vengono percepiti in termini di immagine, l’altro non viene visto come una persona concreta, perché uccidere una persona reale non è facile. Ai soldati viene insegnato a vedere il nemico come un’immagine che è loro dovere distruggere. Ma per fare questo devono diventare anche loro immagini. Identificandosi con l’immagine di difensore del diritto, dell’onore e della giustizia, il soldato ne proietterà sul nemico una di ripugnanza da annientare. Per questo Mike, dopo aver investito un bambino innocente, scende subito dal convoglio e, nel tentativo di superare lo shock, oggettivizza la sua disumanizzazione: scatta una foto al cadavere del piccolo trasformandolo immediatamente in una immagine. Così facendo evita di entrare in contatto con i suoi sentimenti che gli renderebbero impossibile un’azione efficace sul campo di battaglia. Il suo compito è quello di agire senza sentire, deve impedire a se stesso di sentire qualsiasi tipo di sentimento.  Ecco l’orrore della guerra, la verità nascosta.

Se ti è piaciuto quello che hai letto, perché non lo condividi?
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

3 commenti su “Nella Valle di Elah

  1. Il regista purtroppo è a digiuno di Bibbia. Infatti Davide non affatto il figlio di Saul, ma di Isai di Betlemme. Inoltre Saul non lo spinge affatto ad andare, ma è una sua iniziativa.

  2. Caro Marino, la tua breve frase è veramente ammirevole. Ti rassicuro però che è il regista che lo ha detto. Riporto qui un brano preso da un altro sito in cui si riporta quanto segue: Dice lo stesso regista: “Amo questo titolo perché contiene tanti dei temi affrontati dal film. Il Re Saul mandò il figlio David nella valle di Elha a combattere contro Golia, armato solo di cinque pietre. Mi sono chiesto: Ma chi farebbe una cosa del genere? Chi spedirebbe un ragazzo a combattere contro un gigante? Il film parla della nostra responsabilità per aver mandato tanti giovani uomini e donne in guerra”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.