E’ difficile nascondersi in un film che tratta vicende migratorie. Specialmente in Italia, dove qualsiasi avvenimento che abbia un minimo nesso con i fenomeni di migrazione di massa viene talmente strattonato dai media e dai più gretti interessi di bottega elettorale che è impossibile affacciarsi su certe tematiche senza essere trascinati a fondo dal peso della retorica, l’onda emotiva delle contrapposizioni e gli effetti brutali di un’assefuazione abissale a questo stato di emergenza perenne.

Emanuele Crialese poi sceglie fermamente di posare la cinepresa sul bordo più ravvicinato del dramma, lì dove lo sguardo non potrebbe essere più vicino all’attimo della disperazione più sfiancante degli immigranti in arrivo a Linosa. Tanto che ai protagonisti, così come allo spettatore, può rimanere solo l’alternativa più drastica tra tendere la mano o girare lo sguardo. Anche per questo non condividiamo le critiche che sono state ingiustamente mosse al film, soprattutto da alcuni giornali di sinistra, che denunciano una presunta incompletezza sulla visione d’insieme della realtà degli sbarchi a Lampedusa e un buonismo di fondo troppo scontato e rudimentale. Al contrario, a nostro parere, la forza di Terraferma è proprio quella di essere riuscito a risalire al momento originario del primissimo e autentico contatto visivo tra noi e i migranti e di averlo messo sua volta a confronto con la forza di alcune immagini debordanti, il mito e lo scontro perenne tra la terra, l’uomo e il mare.

Sicuramente la preponderenza del messaggio principe di Terraferma, l’Accoglienza, è talmente assoluto e sovrastante che soffoca molto dell’estro evocativo e personale del regista romano. Anche tramite alcune clamorose autocitazioni (la statua in fondo al mare, i tetti delle case in costruzione…) Crialese mantiene in vita l’atmosfera estatica di Respiro e riesce persino ad andare oltre in momenti di regia importanti, come quello del piano sequenza nella nascita della piccola Giulietta o il rumore dell’assalto notturno alla barca dei due fidanzatini.

Viene in mente un altro bellissimo film sull’immigrazione, Welcome di Philippe Lioret. Lì le onde del mare erano filmate in un modo assolutamente glaciale e rispecchiavano in modo più che esplicito la disponibilità della nuova Inghilterra a ricevere nuovi ospiti. Intorno alla Sicilia, la distesa d’acqua riflessa da Crialese, invece, è incredibilmente controversa e inafferrabile. Calda e suadente da un lato, sorda e tombale dall’altro.

Non mancano scene da cartolina o di un simbolismo zoppicante, come quando Filippo porta i suoi amici a vedere la sua capretta o quando i clandestini toccano terra distrutti direttamente nello chalet di Beppe Fiorello. La forza e la bellezza delle immagini di Linosa così come filmate da Crialese comunque prendono quasi sempre il sopravvento, e il contrasto tra i barconi carichi di immigrati e quelli di turisti disperati che ballano il Maracaibo difficilmente riusciremo a togliercela dagli occhi. Ammettiamo che i momenti in cui abbiamo toccato il fondale con Filippo siamo discesi in quelle stesse terribili paure che possono assalire qualunque visitatore nei meandri della stanza più buia del museo dell’olocausto ebraico di Berlino. Dopo aver conquistato il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria a Venezia è di questi giorni la notizia che Terraferma è stato scelto per rappresentare l’Italia alla corsa agli Oscar come miglior film Straniero. Abbiamo sempre pensato che fosse il migliore tra gli 8 in lizza. Speriamo che questa coincidenza possa essere di buon auspicio.

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