Hanno tutti ragionePare che la lavorazione del primo film in inglese di Paolo Sorrentino dal titolo ancora provvisorio This Must Be the Place sia più complicata del previsto. Tra una pausa e l'altra in ogni caso, il regista de Il Divo ha comunque avuto modo di pubblicare Hanno tutti ragione, suo esordio letterario e autentico caso di questo inizio 2010. Non sappiamo quanto il libro in questione sia frutto di un'insopprimibile urgenza narrativa di Sorrentino o quanto – magari – più l'esito di pressioni smisurate da parte del diabolico ufficio marketing della Feltrinelli. Di sicuro però queste 316 pagine hanno rappresentato per noi l'occasione irripetibile per rituffarci nelle vicende del famigerato cantante partenopeo Tony P., forse uno dei personaggi che abbiamo amato di più al cinema negli ultimi dieci anni e che ha reso indimenticabile L'uomo in più. 

L'autore napoletano di certo non si sincronizza fedelmente sugli eventi e le successioni temporali dell'eroe interpretato magistralmente da Toni Servillo nel 2001, ma indossa comunque il carisma di quei Ray-ban azzurrati e di quella tintura da capelli rosso mogano per rinnovare – in modo spietato – il punto di vista di un perdente di successo su vent'anni di declino morale e collasso sociale del sistema italiano. Il monologo interiore di mr. Pagoda è talmente spietato, da ricordarci incredibilmente lo sguardo cinico e disincantato del grande Ferdinand Bardamu in Viaggio al termine della notte, con in più il gusto sublime per l'aneddoto e un sereno rapporto di tossicodipendenza con la cocaina. Celine, in pagine indimenticabili, si era servito di tutta la misantropia e asocialità possibile per scrivere alcune delle parole più belle contro la guerra e l'arrivismo borghese. Modellandosi su quel registro Sorrentino, tra un concerto melodico nella Piazza di Ascoli Piceno e Catanzaro, camion di Rothmans multifilter e la conquista di centinaia di migliaia di hostess, parrucchiere e casalinghe, svuota tutto il malessere del protagonista già incubato nella Capri disillusa e miracolata degli anni '60, ma che poi col procedere del tempo e l'avanzata del consumismo deflagra con vette di sarcasmo violente e tramortenti fino ai giorni nostri.

L'aspetto che va più apprezzato del libro, è che l'insofferenza per la mediocrità italiana, gli scarafaggi, le partite al San Paolo o i vincoli familiari alla De Crescenzo, non sono vissuti con una patologia Nietzschiana o di superiorità presuntuosa alla Palahniuk, ma con un'umanità e un senso di immedesimazione che dà la forza per un'ironia fuori dal comune. Sono talmente tante le situazioni vissute da Pagoda (la partneship con i camorristi, il divorzio dalla moglie, la fuga in Brasile) che oltre a confortarci sullo stato di salute del senso strategico per la sceneggiatura di Sorrentino, offrono sul piatto a migliaia di soggettisti per la televisione, idee e spunti da farli quasi vergognare. La figura del magnate amante della musica napoletana e delle escort sul finale, ci fa pensare che il nostro regista italiano preferito abbia già  pronto nel cassetto, dopo Il Divo, un altro progetto su uno dei Presidenti del consiglio più rovinosi nella storia della nostra democrazia. La caricatura dei salotti decadenti e orgiastici sopra Piazza di Spagna ci fa solo immaginare cosa sarebbe potuto essere quell'idea di rendere per il cinema Cafonal di Roberto D'agostino. Sorrentino è FIGO.   

Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino – Feltrinelli – pg. 316

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