La compagnia Babilonia Teatri ha attinto gli attori dalla casa Risvegli di Bologna con la quale ha realizzato un laboratorio teatrale chiamato “Gli amici di Luca” (ma Luca non si è mai risvegliato dal coma). Gli attori sono quindi reali ex pazienti usciti dal  coma.

Le porte del Teatro Palladium alla Garbatella si aprono alle 20,30, la bella sala accoglie gli spettatori e con i suoi sedili colorati sembra riportarli agli anni ‘60. Stupisce immediatamente la presenza di un uomo obeso, vestito solamente di un pantalone corto e seduto sul palco in legno. Ha un naso di carta, da pinocchio, un naso lungo come un cartoccio per i semi di girasole. Mentre ognuno prende il proprio posto assegnato, probabilmente aleggia il quesito su quell’uomo, in quelle condizioni, in quella precisa posizione.

Solo più tardi si realizzerà che Pinocchio è seduto vicino alla scala di accesso al palco. Inizia presto la musica, le luci restano accese. Il passo lento di qualcuno precede la sua presenza, neanche ti accorgi che sta arrivando in silenzio tra gli spettatori, percorrendo il corridoio centrale della sala. Anche questo personaggio indossa solamente un pantalone corto,  è nudo e scalzo; così come si mostreranno anche gli altri interpreti della scena. E’ un individuo sui cinquant’anni, di aspetto gradevole e giovanile, cammina tranquillo nel suo percorso per raggiungere il palco, ma presto ci si accorge che la sua lentezza è innaturale e che la sua attenzione è rivolta a se stesso e al suo procedere. L’individuo giunge vicino alla ribalta, Pinocchio gli porge la mano con curata attenzione, l’uomo si fa aiutare volentieri e sale su prendendo posto in piedi sulla scena, rivolto verso gli spettatori. Resta fermo così.

Nel frattempo sta arrivando un’altra persona, un altro attore percorre esattamente lo stesso tragitto con minor lentezza, è un ragazzo e zoppica un po’, anche la mano sinistra ed il braccio hanno un movimento irregolare e scoordinato. Si nota anche il polpaccio sinistro diseguale dall’altro, una menomazione dovuta ad un’operazione, un incidente. Salito sul palcoscenico il giovane –  che è molto giovane – prende posto lontano dal primo uomo lasciando uno spazio al centro tra loro due. Anche lui si rivolge ora al pubblico nella medesima posa dell’altro.

L’arrivo del terzo uomo lo subisci come uno squarcio nell’anima, nello stesso punto in cui le due persone precedenti avevano lasciato un segno. Il pubblico è silenzioso, perplesso, non sa cosa aspettarsi e ora non capisce fino a che punto dovrà spingersi. Perché l’impressione di quell’essere umano che fatica a camminare, ferito nel corpo molto più degli altri, il suo barcollare, quando finalmente il Pinocchio obeso lo aiuta a salire, cristallizza il silenzio nella sala almeno fin quando quest’ultimo non entra nel bel mezzo della fila creata dagli altri due. Anche lui si rivolge al pubblico, indossando, oltre ai pantaloncini, un’imbracatura salvavita come quelle degli operai di cantiere. Il terzo personaggio è un individuo spezzato che piega la testa di lato sul busto per non poterla tenere eretta, lascia cadere le braccia lungo il corpo, ma in posizione forzata come un bambolotto rigido. E si inizia a provare compassione, smarrimento. Ma l’uomo, pur destando pena, emana un che di regale, come un eroico leone che, pur  ferito, mostra la sua fierezza con orgoglio. Il terzo uomo sembra essere il principe, l’interprete principale di una storia che si sta per raccontare.

Le luci si spengono, i riflettori restano puntati sui tre attori rimasti in piedi che sembrano come sotto processo, esseri colpevoli. Una voce inizia ad interrogare i personaggi, chiede i nomi, precisa di dire e fare solamente quello che verrà chiesto. I tre appaiono docili e stanno al gioco. Il primo personaggio entrato è Paolo, il secondo Riccardo, il terzo Luigi. E’ sempre l’ultimo, il leone, quello che colpisce più di tutti: ha difficoltà a parlare così tanto che si comprende a malapena ciò che dice.  Luigi fa di tutto per farsi capire, con le espressioni del viso che vorrebbe restare immoto, con il corpo inerte, con le braccia che muove faticosamente, con le mani che aiutano, con i segni, con tutto per esprimere meglio i concetti. E le mani spesso indicano numeri e lettere, così Luigi non risparmia nulla di se per non restare incompreso.

Lentamente lo spettacolo prende quota, tra la voce che sembra ordinare di parlare, comandare i movimenti  come a delle marionette – Pinocchio resta sempre nell’ombra, l’uomo obeso che serve da spalla a coloro che si trasformeranno come in una metamorfosi – che sudano, si confondono, cercano di spiegare  come è successo l’incidente, in un tempo qualsiasi delle loro vite; realtà cambiate o addirittura scambiate con quella di un altro, un altro loro che non esiste più. Un mese di coma, due mesi di coma, venticinque giorni di coma. Paolo, Luigi e Riccardo rinascono un giorno in un altro corpo. Ma un corpo che è rotto. E loro non saranno mai più gli stessi. Riccardo si sveglia tra le coccole dell’infermiera e quasi gli viene voglia di far l’amore. Paolo si alza in piedi ma non sa camminare più. Luigi ha una gran fame. Ognuno di loro pronuncia la prima parola della nuova vita, una parola stupida come “purè” o “ahia”. Ognuno di loro descriverà  la non vita, la fatica immane per raggiungere una luce lontana piccola come la punta di un ago o la sospensione in una nebbia, o un sonno infinito.

Ci sono momenti di malinconia, di ilarità, di banalità, di poesia. Paolo che balla e balla fino a sfinirsi come quel giorno in cui terminò la sua precedente esistenza. Riccardo che finge nuovamente di andare in moto su una sedia. E poi Luigi. E’ chiaro all’improvviso il significato dell’imbracatura: Luigi viene sollevato da terra con delle funi, come alleggerito del peso di quel fisico danneggiato; l’attore muove le braccia nell’aria come fossero ali nel desiderio di voler volare via dal corpo  che, tuttavia, gli ha conferito il titolo di Uomo rispetto al burattino della vita precedente.

I tre attori, alla fine, hanno regalato la propria deformità fisica, il proprio orgoglio nel mostrarsi per quello che ora sono, la bellezza della vita afferrata con forza  e graffiata nell’intento di rubarla alle tenebre del coma dal quale si emerge per rabbia. E nelle loro cicatrici, gli interpreti, ex pazienti, si  riaffermano  come persone rinnovate.

L’applauso finale è liberatorio per tutti: per chi resta sul palco, felice di aver saputo affrontare una nuova sfida, e per chi esce dalla sala, portandosi dietro la leggerezza della vita che, per un attimo ,ci sembra di stringere un po’ più forte tra le mani, per sapere che c’è.

PINOCCHIO – UN PROGETTO DI BABILONIA TEATRI E GLI AMICI DI LUCA (Roma, Teatro Palladium – 26 e 27 gennaio 2013)

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