Judith è una cinquantenne ancora piacente, divorziata, disillusa, libera e sola. Colma la sua solitudine pagando giovani escort in cambio di sesso: niente complicazioni, totale indipendenza da ogni schiavitù affettiva. Per lei credere all’amore è come credere ancora che su Marte esistano gli omini verdi, come dice alla sorella, unica custode del suo “segreto”. Le cose cambiano quando conosce Patrick, un imbianchino sposato e innamorato della moglie Fanny, che “arrotonda” facendo sesso con belle signore ricche per permettere alla dolce mogliettina di pagare le rate del mutuo del salone di bellezza nel quale lavora.

Judith inizia, senza rendersene conto, a intravedere in Patrick la possibilità di una nuova felicità, di credere di nuovo a quell’illusione chiamata amore. Patrick, che in realtà si chiama Marco, smette di vendersi quando la moglie scopre tutto; nonostante finga che non le importi, Judith ne rimane ferita e continua a desiderare quell’uomo che ormai non è più solo un corpo. Ma senza il lavoro “extra” è difficile continuare a sopravvivere e allora Fanny accetta che il marito riprenda l’attività. Da questo momento in poi tutto precipita per poi apparentemente ricomporsi: Patrick prima lascerà la moglie, andando a vivere da Judith, poi ritornerà con la coda tra le gambe a casa, incapace di sottrarsi al suo destino. Judith sarà di nuovo libera, di nuovo sola.

Che bello quando i francesi rinunciano allo psicologismo eccessivo e si lasciano andare alla commedia: una commedia, beninteso, agrodolce, anzi più “agro” che “dolce”. Capace, mentre ti induce al sorriso attraverso una galleria azzeccata di personaggi, di iniettarti, sia pur dolcemente, un senso spiazzante di amarezza, al pari, si perdoni il paragone azzardato, delle opere shakespeariane, che affrontano i temi più delicati e terribili con un sorriso che a poco a poco si spegne per lasciare il posto ad un brivido freddo che corre lungo la schiena. E’ il caso di Cliente, dell’attrice, regista e sceneggiatrice francese di origine jugoslava Josiane Balasko, presentato, in prima internazionale, nella Selezione Ufficiale del Festival di Roma. Un film dal quale, nonostante si rida, e molto, si esce con un senso di profonda amarezza, per le riflessioni a cui induce, senza peraltro dare risposte o indicazioni di sorta. Lo si potrebbe definire un film vorticoso, non nello stile, quanto piuttosto nelle molteplici direzioni che sembra prendere.

Tutto gira aridamente intorno ai soldi: Judith paga Patrick/Mario per fare sesso, lui fa sesso in cambio di soldi e con i soldi conquista la benevolenza della famiglia della moglie, che accetta l’inaccettabile pur di continuare a vivere dignitosamente. In questo senso i soldi sembrano andare a braccetto con la libertà, affettiva o materiale che sia. Ma in questo mondo dove l’unica relazione possibile sembra quella basata sui soldi e sull’interesse, qualche crepa si apre, una crepa che lascia presagire all’amore. Ma l’amore basterà? Riuscirà a privare Judith della sua libertà e a liberare Patrick/Mario dalla sua schiavitù di prostituto? In realtà i due sembrano compiere dei percorsi inversi: Judith dalla libertà all’amore, Patrick dall’amore alla libertà, libertà proprio da un amore, quello della moglie, che per quanto sincero, è pur sempre basato sull’interesse e sul guadagno. Ecco perchè Judith e Patrick sono destinati a non incontrarsi e infatti alla fine lei tornerà alla sua solitudine, lui al suo amore. Come accennavo, questo è un film che apre interessanti riflessioni sull’amore e la sua mercificazione, la solitudine, la libertà; temi anche scabrosi trattati senza mai scadere nella volgarità. Il finale non consolatorio sembra far tramontare ogni speranza, la speranza che su Marte possano ancora vivere gli omini verdi.

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