Abbiamo incontrato Gürcan Keltek, regista turco, dopo la proiezione del suo film Meteorlar  presentato nella sezione Cineasti del Presente,  premiato con il Swatch Art Peace Hotel Award..

Qual ’è la situazione in Turchia  in questo momento?

Per fortuna la situazione a Istanbul è molto più tranquilla e sicura rispetto a qualche mese fa. La quotidianità è però un altro paio di maniche; ho l’impressione che questa grande metropoli stia perdendo a vista d’occhio la sua anima laica e secolare per trasformarsi in un enorme villaggio di provincia dove vivere diventa sempre più complicato ed estenuante.

Sono originario di Izmir, ho studiato cinema nella mia città ma vivo ormai da 17 anni ad Istanbul. Quando sono arrivato ho iniziato a lavorare come assistente regista su dei film di finzione con dei registi come Yesim Ustaoglu, ho fatto della pubblicità e varie altre cose.

A quell’epoca Istanbul era una città molto diversa da quella che è diventata oggi; era una città che vibrava tutta all’unisono. Adesso la città si è, in un certo senso,  fratturata, spaccata in varie zone che sono come tanti villaggi diversi. Certo esistono delle eccezioni come l’enclave di Cihangir, un quartiere dove vivono tutt’ora molti artisti, intellettuali e stranieri ma questo non fa testo. Ai problemi politici si aggiungono purtroppo dei problemi di ordine economico e soprattutto dei problemi immobiliari, dovuti all’aumento sproporzionato dei prezzi delle case nel centro storico della città.

 

Il nucleo del tuo film è la questione Curda. Sei di origine curda?

No, non sono curdo ma, in passato, ho lavorato molto nelle regioni curde quando ero assistente alla regia e poi nel 2008 vi ho girato il mio cortometraggio Overtime che è parlato in curdo ed è stato mostrato in Svizzera a Visions du Réel.

Sono sempre stato molto attratto da territori e luoghi ai quali non appartengo; ho girato  il mio ultimo documentario Colony (2015) a Cipro per parlare dei massacri della popolazione greca perpetrati dall’esercito turco durante l’occupazione dell’isola nel 1967.

Mi piace arrivare e sondare dei luoghi dove sono uno straniero. Lo stesso vale anche per il sud-est della Turchia; ho visitato questa zona varie volte e la conosco bene ma resto pur sempre un estraneo. Come cineasta quello che m’interessa è andare oltre una situazione politica concreta, sondarne le implicazioni e vederla in un insieme più grande.

 

Com’è nato il progetto di Meteorlar?

 Nel 2015 avevo appena finito Colony, il mio documentario precedente e stavo sviluppando l’idea di fare un film ibrido, una specie di documentario psichedelico. Mentre stavo facendo queste ricerche mi sono ammalato molto seriamente.

Costretto a letto, improvvisamente sul mio computer sono incominciate ad arrivare delle notizie di scontri armati nel sud-est della Turchia. Di solito il conflitto fra l’esercito turco e i combattenti del PKK  ha luogo sulle montagne durante i mesi estivi, ma questa volta gli scontri avevano luogo nelle città e le notizie che arrivavano erano veramente terrificanti.

Mi riferisco ad una serie di informazioni divulgate sui social media e su internet, perché, di fatto, una copertura mediatica di questi eventi non esiste. Paradossalmente non è il governo ad impedire la copertura mediatica di questo conflitto ma sono i media main-stream stessi che hanno deciso di girare la testa da un’altra parte.

Per capire cosa stava succedendo e cercare delle informazioni su questo conflitto che mi interessa particolarmente ho iniziato a guardare dei Web streams su Periscope,  dei video postati dalla gente, girati con degli smartphone o con dei tablet dalle finestre o dai terrazzi delle case.

Guardando tutti questi materiali, in sé banali, ho sentito che contenevano, nonostante tutto, degli elementi molto belli, come delle epifanie.

In seguito mi sono reso conto che tutti i materiali e tutti gli archivi che avevo potuto vedere su questo soggetto erano dominati da una rappresentazione, da un punto di vista meramente maschile.

Sentivo l’urgenza e la necessità di fare un film su questo soggetto ma non volevo dargli il taglio di un panphlet, non avevo l’intenzione di usarlo come una tribuna per denunciare l’atteggiamento della Turchia. Non sono un uomo politico, né un portavoce della causa curda,  i combattenti del PKK hanno i propri rappresentanti per questo.

Meteorlar non è sicuramente un film militante; si riferisce ad un territorio specifico ma va ben oltre per aprirsi, alla fine,  ad una dimensione cosmica. Sei d’accordo?

Sono felice di sentirtelo dire perché questo è stato appunto il mio scopo dal primo giorno in cui mi sono occupato di questo progetto.

In quel momento c’era una quantità enorme di reportages e di film dichiaratamente militanti su questo tema ma non corrispondevano al mio approccio.

Nonostante la questione Curda sia un soggetto politicamente molto sensibile, non volevo trattarla in modo diretto e frontale anche perché, come cineasta, sento di dovere andare oltre l’attualità del momento. Non bisogna dimenticare che la situazione nelle zone curde del sud-est della Turchia è in costante evoluzione; ogni giorno succede qualcosa di nuovo, gli eventi si accavallano, è una lunga storia che dura ormai già da più di quarant’anni. Queste erano le mie preoccupazioni quando ho iniziato il progetto di Meteorlar.

La prima regola che mi sono imposto è stata quella di non fare un film militante anche se ovviamente come essere umano non posso rimanere indifferente a quanto succede ma ritengo pur sempre che una riflessione più posata faccia veramente più giustizia  ai fatti che un atteggiamento dichiaratamente engagé.

Con Meteorlar volevo dunque fare anche un film sul paesaggio, connettere l’aspetto terreno con quello celeste; il film inizia e finisce con l’immagine della luna piena del cielo notturno. Tutti questi elementi erano delle metafore che corrispondevano alle mie sensazioni, alla mia maniera di percepire le tematiche di cui si parla nel film.

Forse il mio punto di vista può sembrare pretenzioso ma per me era veramente essenziale riuscire a creare un film con questo tipo di linguaggio cinematografico fatto di associazioni e di metafore.

 

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