La partita a scacchi con la morte di Ingmar Bergman è finita all’età di 89 anni nella sua abitazione sull’isola di Faaro. La notizia è stata resa pubblica dalla sorella Eva. Il grande cineasta era nato a Uppsala, in Svezia, il 14 luglio 1918. Il padre, pastore luterano e cappellano di corte, gli impartisce un’educazione rigida, legata ai concetti di “peccato, confessione, punizione, perdono e grazia”. Le punizioni frequenti lo spingono a maturare l’odio verso il padre e la rabbia verso quello che considera un Dio-padrone.

I suoi primi passi da regista li compie nel 1953 quando comincia a lavorare allo Stadsteater di Malm, dove conobbe un gruppo di attori che diventeranno presenze stabili nei suoi film: Gunnel Lindblom, Max von Sydow, Ingrid Thulin e Bibi Anderson. È del 1955 il primo successo internazionale Sorrisi in una notte d’estate che vinse il Festival di Cannes. L’anno succesivo arriva Il settimo sigillo, la storia di un nobile cavaliere al rientro dalle crociate che sfida a scacchi la morte. Con Il posto delle fragole nel 1958 vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino. L’Oscar per il miglior film straniero arriva invece nel 1961 con Come in uno specchio. La realtà simbolica e il ruolo della donna nella società sono temi a lui cari, sulla scia della sua guida artistica e spirituale Strindberg.

Nel 1964, colpito da una depressione, scrive Persona e inizia una relazione con l’attrice norvegese Liv Ullman. Ma insienme al cinema Bergman coltiva un altro grande amore: il teatro. Ha infatti realizzato una novantina di regie teatrali, fra prosa e lirica. Inizia nel 1944 con Macbeth. Nel 1976, mentre dirige La danza della morte di Strindberg, e in seguito ad alcuni problemi sorti con il fisco svedese, si trasferisce in Germania dove, per un periodo, viene anche ricoverato in un ospedale psichiatrico. Anni difficili ma anche anni in cui la sua opera diventa un punto di riferimento internazionale per tutti gli appassionati di cinema. Al suo rientro in patria è felice di rimettere piede al teatro Reale Drammatico, lo “spazio magico” da lui visto per la prima volta come spettatore quando aveva nove anni. Per più oltre quarant’anni è stata la sua casa dove ha continuato a lavorare.

Nel 1982, dopo quarant’anni di attività sia in teatro che nel cinema, Bergman decide improvvisamente di abbandonare il cinema per dedicarsi al teatro e alla televisione, così, nel 1982, viene realizzato quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo film, Fanny e Alexander, meraviglioso ritratto di Uppsala, la sua città natale, tra il 1907 e il 1909, con una sessantina di personaggi: al centro della storia un pastore protestante elegantissimo e perfido, proprio come suo padre. Dopo alcuni anni di pausa in cui si dedica saltuariamente alla televisione e al teatro, nel 1997 torna dietro la macchina da presa realizzando, per la televisione svedese, Vanità e affanni, film ambientato nel 1925 nello stesso ospedale psichiatrico in cui lui era stato rinchiuso nel 1977.

E’ la storia di un uomo che vuole fare il primo film della storia del cinema, e nonostante la pellicola si guasti, decide di recitarlo come in teatro. In quello stesso anno, in polemica con i critici cinematografici, Bergman si rifiuta di ritirare il premio alla carriera conferitogli a Cannes. Nel 2003 gira Sarabanda, il seguito di Scene da un matrimonio. Questo è stato il suo ultimo film. Una carriera il cui filo rosso può anche essere sintetizzato con le parole da lui stesso scritte nella sua autobiografia Lanterna magica: “La verità è che io vivo sempre nella mia infanzia, giro negli appartamenti in penombra, passeggio per le silenziose vie di Uppsala, mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l’enorme betulla a due tronchi. Mi sposto con la velocità dei secondi. In verità, abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio una visita nella realtà“.

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