di Maria Giovanna Vagenas/ Film inaugurale della 48esima Quinzaine des Réalisateurs Fai bei sogni, tratto dal best seller autobiografico di Massimo Gramellini, ci seduce in un mondo rutilante, appassionante ed appassionato, delicato e violento, quello di un grande maestro del cinema italiano: Marco Bellocchio.   

In Fai bei sogni Bellocchio prosegue l’esplorazione del territorio dell’infanzia, sondando il fondo opaco della storia di un individuo, di un nucleo familiare e di un paese con un possente movimento di messa in scena, fluido e rigoroso al contempo.

Come é l’universo d’un bimbo colpito da un lutto che non può comprendere, che non può accettare e su cui gli adulti alzano una muraglia di silenzio, di omertà, di reticenze e di bugie malsane?

I ricordi di Massimo, che seguiremo dall’infanzia fino all’età adulta, sono dolci e ossessivi, dolorosi ed eroici, mesti e buffi.

Sul filo di questi ricordi, il film si snoda in una circonvoluzione che sembra ripetersi all’infinito. Massimo gira a vuoto, intorno al vuoto lasciato dalla morte della madre.

Il modo in cui vengono ripresi gli spazi, soprattutto quello della casa paterna, ci rimandano ad una circolarità angosciosa, asfissiante. Lo stadio di calcio, a due passi da casa, riproduce questo spazio simbolico; l’arena chiusa di un sentimento di perdita assoluto ed irredimibile.

Indicativa, in questo senso, è una delle sequenze iniziali del film, costruita interamente sul modo della circolarità. Massimo bambino è in giro con la madre, seduto su un tram; il suono delle rotaie è smodato, la ferraglia stride minacciosa ad ogni istante. Seguendo lo sguardo del bimbo, la cinepresa si lancia in una serie di piroette, girando intorno ad una miriadi di monumenti, filmandoli con un’improbabile movimento rotatorio, dal basso verso l’alto.

Ma a ben vedere più che lo sguardo di Massimo questo movimento riproduce lo stato d’animo della madre, il suo sentirsi in trappola, senza uscite, senza speranza. Mentre il tram, giunto ormai al capolinea, si sta svuotando, il bimbo chiede perché non scendono anche loro. Non riceve risposta. Così i due restano seduti percorrendo lo stesso tragitto per la seconda volta, girando a vuoto, mentre i pensieri della donna si perdono negli abissi ineffabili della sua anima.

Bellocchio riesce a filmare con un grande pudore e con una sensibilità ammirevole il profondo legame d’amore fra madre e figlio, soffermandosi sul moto dei corpi, sugli sguardi, sui gesti.

La notte fatale la donna, in punta di piedi, entra nella stanza di Massimo e gli sussurra: Fai bei sogni. Con questo suo gesto estremo la donna posa un augurio ma allo stesso tempo anche una specie di sortilegio sul capo del figlio che- da quel momento in poi- attraverserà la sua stessa vita come in uno stato di trance, senza riuscire a diventare consapevole del terribile segreto che lo accompagna da sempre.

Fai bei sogni, ci trascina in una sarabanda temporale; il presente ci rimanda al passato ed il passato ci proietta nell’oggi per lasciare trasparire, attraverso gli interstizi, il tessuto dei sentimenti, degli affetti, dei moti dell’inconscio personale e collettivo. Tutto tiene in questa fiaba moderna intrisa d’immaginario e realtà, dove il vissuto del protagonista s’intreccia con il mondo fantastico di Belfagor,  i programmi della televisione con le partite di calcio del Torino ed i sermoni dei preti.

Una serie di elementi in sé eterogenei, si ritrovano in un flusso continuo d’immagini e di suoni  creando delle corrispondenze magiche. Così la circolarità, figura chiave del film, crea un nesso essenziale fra due scene di ballo, una all’inizio e una alla fine del film.

Gioiose e travolgenti queste scene di ballo hanno anche qualcosa di violento, esprimono il furore dei sentimenti. Se il ballo iniziale, quello fra la madre e Massimo bambino, è tenero e scapestrato, il secondo, quello di Massimo adulto, è liberatorio. Nel bel mezzo di una festa, l’uomo si mette a ballare come un pazzo, lasciando uscire di colpo nei suoi movimenti smodati ed eccessivi, tutta l’angoscia che l’opprime: la sua danza è una lotta, un corpo a corpo con se stesso, un rituale dionisiaco nel quale, ebbro di felicità e di dolore, Massimo trascina tutti quanti gli stanno intorno senza alcun ritegno, sfrenato e libero, infine.

Il cerchio incantato del film si chiude.

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