di Maria Giovanna Vagenas / Neruda é un biopic, folle ed avventuroso che ci trascina con una potenza prorompente in un mondo fantastico, sul filo di una messa in scena estrosa e di un ritmo mozzafiato.

Una volta varcata la soglia del film, siamo prigionieri dell’impeto creativo di Pablo Larrain. Libero dalle convenzioni di un racconto e di una rappresentazione meramente realista il regista cileno ci seduce lungo un percorso rocambolesco, esuberante e farsesco.

La fuga in avanti del protagonista, Neruda, diventa un pretesto per un’inventività che si esprime a briglia sciolta.

Larrain disegna con un tratto fantasioso, il ritratto di una personalità artistica e politica affascinante ma profondamente ambigua, ammirevole e detestabile al tempo stesso.

Incarnato con brio e deliziosa autoderisione dall’attore Luis Gnecco, Neruda, sempre istrionico, risplende dalla prima all’ultima scena, nei suoi gioiosi eccessi e nel suo sfrenato, assoluto egocentrismo.

Per chi conosce l’universo di Pablo Larrain e la struttura classica dei suoi film, la prima mezz’ora di Neruda é certamente spiazzante.

Abbandonando il terreno del realismo narrativo, Larrain forma ed in-forma la sua storia creando una vicenda immaginaria, in controluce con il personaggio storico di Neruda.

Nella visione di Larrain in tessuto del reale si sfalda a più riprese; varie scene sono ripetute in due ambienti diversi, per esempio, in un interno prima e all’ esterno in seguito creando, a livello di messa in scena, un effetto visuale all’unisono con la personalità vorticosa e poliedrica di Pablo Neruda.

Lo spirito critico, sempre acuto e dissacrante di Larrain, reinterpreta ed illumina la dimensione mitica ed eroica del personaggio di Neruda per presentarne una versione inedita. Neruda scende dal piedistallo sacro di vate rivoluzionario per diventare un personaggio umano, con tutte le sue debolezze, i suoi vizi, la sua illimitata vanità d’uomo e di artista.

La scena iniziale del film è in questo senso indicativa: la cinepresa ci trascina, serpeggiando con una verve furiosa, fra gli invitati  altolocati di una grande festa.

Una carrellata da capogiro ci conduce poi fino alle toilettes gigantesche, allestite come una sala da pranzo, dove una grande parte dell’establishment cileno si attarda per espletare le sue funzioni fisiologiche ed è qui che entra in scena Neruda, ma la voce in off che ci introduce in questo labirinto umano brulicante di vita, di potere e di passioni politiche non è quella di Neruda bensì quella di un giovane ispettore di polizia, estremamente ambizioso, Oscar Peluchonneau.

Interpretato con vibrante sensibilità da Gael García Bernal,  il personaggio immaginario di Pelouchonneau, una specie di tragicomico ispettore Clouseau che ama i romanzi polizieschi, ha il compito di seguire le orme di Neruda con lo scopo di catturarlo.

Siamo nel 1948, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale e la guerra fredda sembra avere raggiunto il Cile. Pablo Neruda, poeta e senatore, critica apertamente il governo. Quest’atto non rimane impunito. Il presidente Gabriel Gonzales Videla, dopo avere voltato le spalle al suo passato di sinistra, dichiara la guerra al comunismo, esige la destituzione di Neruda e ne ordina l’arresto. Da questo momento in poi per Neruda e persua moglie, l’aristocratica pittrice argentina Delia del Carril, inizia un lungo periodo di latitanza. Dopo un tentativo fallito di lasciare il paese, i due sono costretti a nascondersi di continuo.

Questa fuga prende la forma di un road-movie dissacrante in cui Neruda, nascondendosi, ma non troppo, cerca di sfuggire ma allo steso tempo anche di provocare Pelouchoneau , lasciando una scia di indizi al suo passaggio.

Neruda, sul quale pesa ormai un mandato d’arresto, si diverte a mettere in scena la sua fuga, creando una corsa a inseguimento grandiosa e geniale, a sua immagine e somiglianza.  Il poeta affronta la sua fuga come un’opera d’arte, che deve riflettere la sua personalità di artista fuori norma.

Proprio per questo motivo decide costantemente di metterla in forse, di indulgere nell’arte della provocazione, lasciandosi andare ad una serie di piccole avventure perigliose.

Come un bimbo viziato, Neruda gioca, flirta con il pericolo, conscio dell’impunità che la sua condizione di artista famoso, di vate della patria, gli riserva.

La sua visita notturna in un postribolo cittadino di cui é assiduo cliente ne é la prova tangibile ; quando la polizia fa irruzione Neruda si salva in extremis travestito da donna.

Il racconto esuberante di Larrain si trasforma impercettibilmente in una sorta di romanzo poliziesco con un detective assolutamente sfasato.

Pelouchonneau, ambizioso e tenace, non molla la presa; catturare Neruda  é ormai per lui una questione di vita e di morte, per la quale é proto a giocare il tutto per tutto.

Lungo questo tragitto avventuroso Neruda costruirà il suo mito, mentre Pelouchonneau

si riconcilierà infine con se stesso e con le proprie origini.

Di fatto, ricorrendo allo stratagemma narrativo del personaggio di Peluchonneau, Larrain sviluppa, fino all’escalation finale del film, una sottile critica sociale nei confronti dell’alta borghesia colta che, di fatto, non rischia nulla, assumendo degli atteggiamenti rivoluzionari di facciata.

Neruda e i suoi amici altolocati– prima di tutti la moglie milionaria – non hanno nulla in comune con la classe operaia di cui si atteggiano difensori.

Larrain crea un complesso specchio per le allodole, al centro del quale piazza il vate, mentre il personaggio fittizio del commissario Pelouchonneau è condannato a muoversi in tutte le direzioni, senza mai riuscire ad afferrare la sua preda, che continua a scivolargli fra le dita fino all’ultimo.

Il film opera, man mano che avanza, un sottile capovolgimento di prospettiva: il rapporto di potere fra il poliziotto ed il poeta,  il predatore e la preda non è quello che sembra, a prima vista.

Il film è, in fin dei conti, una metafora sul potere e sull’ipocrisia. I veri perdenti sono sempre gli stessi; i figli delle classi povere, gli indios. Questa ne è l’amara conclusione.

Alla fine della vicenda il poliziotto, mesto, ammette di avere sempre voluto liberarsi dalla miseria, di avere voluto essere ‘bianco’, di avere voluto immaginarsi delle origini nobili, piuttosto che soccombere alla sua condizione di figlio bastardo.

L’ossimoro costituito dalla coppia Neruda-Peluchonneau ben si presta ad illustrare un universo in cui l’ambizione e la vanità vanno di pari passo con la frustrazione e l’indigenza.

Larrain inventa un biopic fiabesco che proprio liberando la fantasia, giunge a toccare il cuore delle cose, la loro verità intima.

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