Di seguito il testo della presentazione della Masterclass tenutasi a Perugia il 1° ottobre 2023, all’interno della IX Edizione del Perugia Social Film Festival (direzione artistica Giovanni Piperno e Luca Ferretti), da Armando Andria, Alessia Brandoni e Fabrizio Croce. Molta partecipazione e attenzione anche da parte di studenti di cinema, registe e registi, studiosi e studiose.

“Le vie del cinema più interessante e avanzato degli ultimi anni sembrano sempre più costantemente dirigersi verso la sperimentazione, potremmo dire, dell’immagine memoriale. Il ricorso all’interno dei film di inserti, prelievi e innesti provenienti da fonti che preesistono al film stesso – gli archivi – è qualcosa con cui abbiamo ampiamente familiarizzato, una costante ormai della nostra esperienza spettatoriale. Si tratta dell’esito di un lungo processo di contaminazione e “democratizzazione” che il cinema ha attraversato negli ultimi decenni, che ha condotto a quello che è lo stato delle cose: il film è uno dei molti spazi, e probabilmente non il più rilevante in termini quantitativi, nei quali entriamo in relazione con le immagini. A quell’immenso patrimonio di immagini che è la nostra esperienza del mondo, a quella memoria esterna di sempre più immediato accesso che sono i repertori, anche il cinema costantemente attinge.

Il documentario è per sua natura arrivato prima, e più spontaneamente, all’archivio, ma anche il cinema narrativo non sembra più poter fare a meno del documento. Il percorso che qui si presenta intende rintracciare e portare alla luce, senza ovviamente alcuna pretesa di esaustività, alcuni usi dell’immagine d’archivio nel cinema contemporaneo, spaziando tra le varie forme (dal found footage film fino alla videoarte e al film-saggio) proposte dall’immagine in movimento.

In un’epoca in cui, sempre più, l’immagine si specchia nei calcoli di un pensiero positivo vanesio e mistificatorio, tanto quanto nell’effimero del momento, ovvero di un tempo che non riesce più a farsi evento aperto verso il futuro, si vuole provare a leggere l’attuale modo di utilizzo delle immagini d’archivio come quel dispositivo apripista verso nuovi spazi filmici e insieme verso nuove forme di conoscenza. Se è vero che “il contemporaneo è colui che appare ai propri conviventi come un profeta”, allora il ri-uso delle immagini d’archivio a cui stiamo assistendo è un fenomeno pienamente contemporaneo. È quello che potremmo anche chiamare evento: non più stagnazione nel tempo assuefatto della ripetizione, piuttosto ingaggio nell’avventura di dare nuova forma al mondo e alle soggettività in esso agenti. D’altronde è la stessa natura dell’immagine d’archivio a implicare un rapporto attivo – di sguardo e di ri-orientamento – con molte cose che riteniamo essenziali: con lo spazio e il tempo; con la memoria interiore e con quella veicolata dal linguaggio (filmati, testi, documenti, oggetti) che è sempre in rapporto al fuori di sé; con la traduzione e l’interpretazione del senso stratificata, porosamente, in ogni immagine d’archivio. Ogni immagine, in questo senso, sarà sempre rivolta verso il futuro, indefessa testimone di mondi a venire.

Anche perché se l’immagine non può non essere la sostanza prima della nostra memoria (e d’altra parte, per dirla con Bergson, il ricordo puro e la percezione – materia e memoria – ritornano comunque sempre sotto forma di immagini), lo è sempre più tortuosamente, ambiguamente. Si tratta allora di far emergere le ambiguità (positive!) e le funzioni eterogenee dell’immagine per arrivare a mettere in scena la memoria e, con essa, ancora una volta, lo sguardo e il mondo.

A partire da un utilizzo canonico dell’immagine d’archivio, quale presunta portatrice di realtà naturali e quindi deputata a dire il vero di per sé, si esplorerà il lavoro di autori che propongono altre linee di ricerca e di azione artistica. Autori il cui lavoro sull’archivio rimanda a una visione per cui il documento non si presenta come accessorio confermativo, il suo valore esclusivamente referenziale essendo anzi decisamente destituito. Qui l’immagine d’archivio è (sulla scia del lavoro di Marco Dinoi) un’immagine, come tutte le altre, alla ricerca di una pratica dello sguardo che la collochi nello spazio e nel tempo: un’immagine che non parla di per sé ma ha bisogno, per “dire”, di una costellazione di altre immagini che su essa possano agire e retroagire. 

Tentando di delineare una cornice per il nostro intervento, abbiamo individuato tre aree tematiche di massima in cui si vorrebbero far interagire, in un corpo a corpo con le immagini, teorie estetiche sul ri-uso contemporaneo, esperienze di critica cinematografica, notazioni sulla prospettiva dell’utilizzo dell’archivio nel cinema come forma di conoscenza del mondo.

Perché “l’utopia è il territorio più preciso del cinema stesso” (Enrico Ghezzi).

  1. Immagini d’archivio nascoste, scartate, congedate o rimosse: dare forma alla memoria e al tempo (di Alessia Brandoni)

Alina Marazzi, Un’ora sola ti vorrei    

Virginia Eleuteri Serpieri, Home

Sara Fgaier, Gli anni

Giovanni Piperno, Cipria

Flavia Montini, Los zuluagas

Patricio Guzmàn, Cile, la memoria ostinata

Giovanni Cioni, Dal pianeta degli umani

Sandrine Bonnaire, Elle s’appelle Sabine

2. Del testimoniare e del narrare (di Fabrizio Croce)

Giovanni Piperno e Agostino Ferrente, Le cose belle

Alessandro Aniballi, Una claustrocinefilia

Enrico Ghezzi, Alessandro Gagliardo, Gli ultimi giorni dell’umanità

Pietro Marcello, La bocca del lupo

Alexandr Sokurov, Fairytale

Werner Herzog, The Fire Whitin

Virginia Eleuteri Serpieri, Amor

Francesco Patierno, Svegliami a mezzanotte

Yerviant Gianikian e Angela Ricci-Lucchi, Frente a Guernica

Alina Marazzi, Vogliamo anche le rose

Patricio Guzmàn, La memoria dell’acqua

3. Il documento all’attacco del set (di Armando Andria)

Susanna Nicchiarelli, Miss Marx

Marco Bellocchio, Vincere

Pietro Marcello, Martin Eden

Giuseppe Gaudino, Giro di lune tra terra e mare

Mino Capuano, Quanno chiove

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