La carismatica Azize Tan dirige, da sette anni a questa parte, con mano sicura e molto entusiasmo, una manifestazione enorme, estremamente vivace, sfaccettata, complessa e composita.

Una durata di sedici giorni, 256 film, 500 proiezioni ed un pubblico di 140.000 spettatori; questi sono i dati statistici dell’Istanbul Film Festival, il principale evento cinematografico della Turchia. Azize Tan sembra avere il dono dell’ubiquità; nel corso del festival, uno dei più lunghi del settore, era presente a tutti gli eventi di spicco, mischiandosi fra pubblico ed invitati, aperta, accessibile e sorridente fino ad ora tarda anche durante le serate conviviali organizzate per l’after hour dei festivalieri. Ma soprattutto e principalmente Azize Tan era presente in prima linea durante il grande corteo organizzato il 7 di aprile nella via centrale di Istanbul per salvare l’Emek, cinema mitico e sede storica della manifestazione, dalle grinfie della speculazione edilizia. L’Istanbul Film Festival non è politicamente impegnato solo sulla carta, limitandosi a dichiarazioni di principio senza alcuna presa di rischio reale, è pronto invece a scendere per strada al gran completo: un’eccezione esemplare nell’universo dei festival.

Nella sua agenda stracolma d’impegni Azize Tan ha trovato lo spazio per una lunga conversazione sul suo modo di organizzare e concepire l’Istanbul Film Festival accogliendomi simpaticamente nel suo ufficio con vista mozzafiato sul Bosforo; un incontro intenso, a cento all’ora, come Azize!

Come definirebbe l’Istanbul Film Festival in qualche parola?

L’Istanbul Film Festival è innanzitutto un festival per il pubblico; è stato concepito in questo modo fin dall’inizio ed è sempre rimasto fedele a quest’idea senza trasformarsi in un festival da tappeto rosso. Molti registi, provenienti dal mondo intero, sono ospiti della manifestazione e per ognuno di loro è facile e naturale stabilire un contatto diretto con il pubblico. Il nostro scopo è quello di creare una piattaforma di scambio in un’atmosfera aperta e conviviale capace di coinvolgere il nostro pubblico in una vera e propria festa della creazione cinematografica. Per questo motivo proponiamo un programma molto vasto sia tematicamente che in termini di generi e di linguaggi estetici: si va, infatti, dai film sperimentali, ai documentari, ai film per l’infanzia, ai film di giovani registi che presentano le loro opere prime e seconde, alla presenza di grandi maestri del cinema.

Il festival ha tre sezioni competitive: il concorso Internazionale “Tulipano d’oro”, il concorso Nazionale “Tulipano d’oro” ed il Concorso “Diritti umani nel cinema”.

Il concorso internazionale comprende esclusivamente dei film che sono adattamenti di opere letterarie o che portano sull’arte e sulla vita degli artisti. Si tratta di un aspetto peculiare dell’IFF, come si è creato?

Questa scelta ha a che vedere con la storia e la genesi del festival. L’Istanbul Film Festival fa parte di un organismo, l’Istanbul foundation for culture and arts, che gestisce varie manifestazioni culturali, un po’ sul modello della Biennale di Venezia. La storia dell’IFF inizia nel 1992 quando fu organizzata, per la prima volta, una “settimana” del cinema, un evento molto limitato – sei giorni, un film per giorno- nell’ambito di quello che era all’epoca il cosiddetto Istanbul Festival, una grande manifestazione di carattere generale che aveva luogo all’aperto, d’estate raggruppando spettacoli delle più varie discipline. Il successo fu però tale che da questa prima esperienza nacque poi un programma più ampio detto “Cinema days” sviluppatosi poi, a sua volta, nel vero e proprio Istanbul Film Festival. Con il passare del tempo l’originario “Istanbul festival” é diventato talmente grande che si é scisso in varie manifestazioni indipendenti: l’Istanbul Film Festival, appunto, ed ancora il Festival di teatro, il Festival di Jazz e via dicendo e poi l’importante Biennale d’Arte.Il fatto di presentare nel nostro concorso internazionale dei film sull’arte, la vita di artisti o degli adattamenti letterari è dunque un modo per rendere omaggio all’Istanbul foundation for culture and arts alla quale il festival deve la sua origine.

Le diverse sezioni del festival sono definite tematicamente, fornendo una sorta di cartografia dell’evento…

L’articolazione tematica delle varie sezioni corrisponde ad una volontà ben precisa di programmazione e riflette lo spirito e gli interessi del festival. Un buon esempio è, in questo senso: Stories of women, il programma dedicato alle donne. Il cinema non offre spesso dei primi ruoli degni di nota alle donne; i film presentati quest’anno nella sezione Stories of women costituiscono una felice eccezione a questa regola. Wadija di Haifaa al Mansour, per esempio, è il primo film di finzione interamente prodotto in Arabia Saudita, la sua regista è una donna e la sua protagonista è una ragazzina; Fill the void, opera prima della regista israeliana Rama Burshtein, è anch’esso interpretato da una donna. Ritengo significativo il fatto che in entrambi i film le registe filmino a partire da quelle che sono le limitazioni ed i tabù concernenti le donne nelle loro società rispettive.

“IFF: un festival politicamente impegnato”: é d’accordo con questa definizione?

Si, sono d’accordo! Aperto ad una molteplicità di voci diverse, il festival ha sempre voluto essere una piattaforma pluralista in Turchia. In questo senso abbiamo concepito un’intera sezione competitiva sui diritti umani nel cinema, organizzata, da sette anni a questa parte, con la partecipazione del Consiglio d’Europa. A parte ciò anche nei documentari che mostriamo ed in molti dei film di finzione che fanno parte del programma, questa nostra preoccupazione è evidente; per noi è fondamentale risvegliare la coscienza dei nostri spettatori su questi soggetti mostrando dei film che, peraltro, sono difficilmente visibili in sala perché non arrivano quasi mai a trovare una distribuzione commerciale. Molto significativa in questo senso è anche la sezione che abbiamo preparato in collaborazione con la Biennale d’arte di Istanbul: “Sono un cittadino? Barbarismo, rinnovamento civico e città.” La tematica di questo programma ci sta particolarmente a cuore perché tocca un soggetto vitale per il festival rispetto a quanto stiamo vivendo attualmente con la sede storica del festival: il cinema Emek, destinato presto a scomparire per fare spazio ad ennesimo centro commerciale di lusso. L’Emek non è l’unico cinema nel centro della città a subire questa sorte; purtroppo le grandi sale di cinema stanno chiudendo l’una dopo l’altra.

In realtà tutta la città sta cambiando sotto l’impatto del boom edilizio …

Stiamo assistendo ad un enorme processo di trasformazione; ho visto succedere qualcosa di molto simile a Mosca qualche anno fa. Si tratta, ovviamente, di una trasformazione a livello economico; di fatto, i grandi capitali stanno semplicemente cambiando mano. La gente che detiene i capitali in questo momento sta cercando di creare la ‘propria’ città anche a
costo di distruggere il patrimonio architettonico e, di conseguenza, il tessuto e la coesione sociale di molti quartieri, soprattutto nel centro storico e commerciale di Istanbul. E sorprendente constatare come, in questi ultimi anni, la nostra città sia diventata improvvisamente una meta del turismo mondiale. Il numero di turisti che visitano Istanbul è raddoppiato o si è addirittura triplicato in pochissimo tempo; dei nuovi hotel sorgono, come funghi, un po’ dappertutto. Varie parti della città sono state dichiarate ‘aree turistiche’, pur essendo delle zone residenziali; così la gente vede spesso sorgere un hotel al posto del palazzo dove fino a poco tempo fa vivevano i suoi vicini di casa. Ovviamente questo ha delle ripercussioni enormi sulla vita delle persone che, in un modo o nell’altro – direttamente o indirettamente- vengono costrette ad andare vivere altrove. I grandi progetti edilizi ideati da chi detiene il potere finanziario non hanno nulla a che vedere con i bisogni reali degli abitanti di Istanbul. Questa situazione sta creando degli enormi dibattiti; ritengo che sia molto importante partecipare attivamente alle discussioni ed è quanto il festival sta facendo.

In questo contesto, la presenza in prima linea del direttore di un festival di cinema come lei, Aziza Tan, con tutto il suo staff ad una manifestazione contro la speculazione edilizia è particolarmente significativa…

Quella di prendere parte alla manifestazione contro la distruzione del cinema Emek è stata per me, in primo luogo, una scelta personale. Sono scesa in strada come cittadina, come qualcuno abituato a vedere dei film all’Emek da quando avevo dieci anni. La perdita di questo cinema mi tocca profondamente, prima come persona che come direttrice dell’Istanbul Film Festival anche se l’Emek – chiuso ormai da quattro anni a questa parte – è stato per ben 28 anni la sede principale del festival.

Ritornando all’organizzazione del festival; ci può parlare dei suoi criteri di selezione ?

In primo luogo cerco dei film che siano formalmente originali e contenutisticamente interessanti; dei film che abbiano veramente qualcosa da dirci, da raccontarci, dei film capaci di “parlare” al pubblico. Ci sono poi dei registi ai quali il festival è particolarmente legato e che cerchiamo di seguire lungo tutta la loro carriera come Manuel de Oliveira, François Ozon o Pedro Almodovar per esempio. Ci interessa anche molto scoprire dei giovani registi; per questo abbiamo creato una sezione ad hoc, New visions, nella quale mostriamo delle opere prime e seconde. Trovo particolarmente stimolante incontrare dei nuovi talenti ed iniziare poi a seguirne la carriera e l’evoluzione.

La sezione dedicata al cinema turco: Turkish cinema 2012-2013, è molto ricca e complessa…

La sezione dedicata al cinema turco è intesa come una vetrina, uno scrigno: vogliamo mostrare un vero e proprio panorama della produzione annuale del cinema d’autore turco in tutta la sua varietà e molteplicità di generi e di stili. Abbiamo inoltre messo insieme una compilazione di cortometraggi -scelti da una commissione esterna al festival – che raggruppa i lavori più interessanti prodotti nell’ambito delle scuole di cinema in quest’ultimo anno.

Quali sono per lei i momenti salienti di questa 32esima edizione?

Siamo particolarmente felici di ricevere Carlos Reigadas, al quale il festival dedica una retrospettiva e un incontro-masterclass con il pubblico. Un altro momento molto importante ai miei occhi è la tavola rotonda: ““Sono un cittadino? Barbarismo, rinnovamento civico e città.” menzionata prima, un incontro che avviene nel momento giusto e nel posta giusto. Un altro evento al quale tengo molto personalmente è la proiezione dei cinque mediometraggi di Metin Erksan, un grande regista turco scomparso l’anno scorso; si tratta di opere concepite per la televisione, adattamenti di racconti turchi moderni, che è molto difficile vedere.

Qual è stata la difficoltà maggiore nell’organizzare quest’evento?

Ultimamente il nostro problema maggiore è proprio quello delle sale. Il centro nevralgico del festival era tradizionalmente situato nei cinema che si trovano lungo l’Istiklal, la più importante arteria commerciale di Istanbul. Purtroppo varie grandi sale storiche sono state chiuse nel corso di questi ultimi anni per fare posto a dei centri commerciali o a dei multiplex composti di tante piccole sale. Questo è diventato un problema enorme per noi perché abbiamo un grosso pubblico che non possiamo frazionare in una serie di sale di capacità così ridotta. Ci stiamo battendo per salvare il salvabile ma non so per quanto tempo ancora saremo capaci di andare avanti così. La prospettiva di essere costretta un giorno ad organizzare il festival in un multiplex mi spaventa! Il secondo problema, come dappertutto, è quello del budget! (Ride)

Ho l’impressione che l’Istanbul film festival goda di una salute finanziaria decisamente migliore rispetto a tanti altri eventi del settore…

E tutta una finta! (Ride)

Scherzi a parte: il comune ci offre una serie di permessi e mette a nostra disposizione degli spazi per la promozione ma non ci dà dei soldi in cash, fortunatamente veniamo sostenuti in maniera sostanziale dal ministero della cultura, il che è, ovviamente, molto importante anche perché, qualche anno fa, questo aiuto non c’era ancora. Quanto ho menzionato finora, purtroppo, non è sufficiente per montare un festival di queste dimensioni. La parte restante del nostro budget proviene dalla vendita dei biglietti e da una serie di sponsor privati, senza i quali, penso, non saremmo in grado di organizzare il festival nel modo in cui lo facciamo oggi. Riepilogando direi che il 16% del nostro budget proviene da fondi pubblici, il 30% dal box office ed il restante 50% da sponsor privati; questo significa che, ad ogni nuova edizione, la nostra impresa più impegnativa è quella di assicurare il finanziamento, per questo motivo che ci sforziamo di trovare dei partner di lunga durata.

Cosa si augura per il futuro del festival?

Mi piacerebbe avere a disposizione una vera e propria sede per il festival, un “festival center” da gestire durante tutto l’anno per offrire al nostro pubblico dei programmi di cinema d’autore. In questo senso invidio il festival di Toronto per il suo nuovo Bell Lightbox, un edificio intero che permette alla manifestazione di accogliere convenevolmente tutto il suo pubblico durante il festival ma anche di proporre una programmazione ad hoc nel corso dell’anno. Ritengo essenziale coltivare una vera e propria cultura cinematografica; per farlo non ci si può limitare all’offerta, puntuale e limitata, di un festival, bisogna poter mostrare un certo tipo di cinema con continuità. Ad Istanbul non esiste un circuito di cinema d’Arte ed Essai, anche se ci stiamo battendo in questa direzione; i film più impegnativi e non commerciali sono relegati al periodo del festival oppure vengono mostrati, sporadicamente, da alcuni centri culturali o da alcuni musei. Abbiamo bisogno di una struttura dedicata esclusivamente al cinema: questo è quanto mi auguro di tutto cuore!

Foto di Maria Giovanna Vagenas

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