Per una forma di eurocentrismo restrittivo e limitante da cui ancora non ci riusciamo a liberare , forse – tra tutto il cinema messicano – quello che tendenzialmente ci ha sempre sedotto di più è quello dalle forme terrose e dall'anima folk mariachi (vedi: Il machete).

L'esordiente Natalia Beristain con il suo No quiero dormir sola qui a Venezia 69 ha senz'altro avuto il merito di tirarci per il laccetto del pass e farci riavvicinare a quella che potrebbe essere una versione credibile delle zone più strettamente cerebrali, apolidi e intimistico-universalizzabili della filmografia prodotta in quel paese. Nata in una famiglia di cineasti e formatasi nel gruppo di lavoro di alcune pellicole importanti come La zona e Conozca la cabeza, la Beristain porta molto delle sue vicissitudini biografiche in quella che è un’opera prima imperfetta, ma seducente. La storia è quella di Amanda, una giovane e spenta trentenne mantenuta agiatamente da lontano dal padre ricco e famoso. Un’apatia sorda e immobile l’ha isolata in una specie di malessere privato, somatizzato in una sorta di insonnia Palahniukiana, che riesce a combattere solo portandosi a letto ogni sera un amante diverso. Presto il vuoto delle sue  giornate sarà riempito dalla brusca impellenza di occuparsi della nonna, una vecchia attrice alcolizzata e malata di Alzheimer.no quiero dormir sola recensioneNell'inevitabile scontro generazionale tra le due donne la Beristain riesce a tessere un percorso filmico ovattato e rotondo che trasla il rapporto tra le due e sistemizza una riflessione non banale sul mutamento della bellezza del corpo femminile e sull’adattamento ai ritmi della vita quotidiana. Le scene dei bagni in piscina e i nudi della doccia danno sicuramente il senso del talento con la macchina da presa dell’autrice messicana e fanno pensare ad un'ossessione per la pelle propria di un Cronenberg immaturo e periferico. Nel complesso comunque va riconosciuto il merito a Beristain di aver colto una critica decisa alla generazione di tutti i genitori che oggi hanno più di cinquant’anni e di come un sistema di esperienze e relazioni verso l’esterno proceda ad allontanare comunemente nipoti e nonni da una società produttivistica e troppo veloce da cui ci si prendere le distanze solo chiudendo gli occhi. Notevoli anche le citazioni cinematografiche che possono pescare anche dai frammenti sparsi della carriera ultra cinquantennale di Adriana Roel, splendida nel suo monologo di Sonja estratto dallo Zio Vanja di Cechov e che mostrano che l’intensità del cinema va oltre la malattia e i limiti della memori.

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