Uno dei più famosi e fiammeggianti ritratti di donna che ha lasciato in eredità ala nostro immaginario l’amato Francois Truffaut è senza dubbio Julie, La sposa in nero, vestita dal carisma e dalla struggente malinconia di Jeanne Moreau : in quel caso si trattava di una donna a cui un gruppo di uomini , per una bravata, uccideva il novello marito, proprio all’uscita dalla chiesa, con un colpo di fucile; e l’ossessionata, addolorata ma implacabile Julie metteva in atto una sistematica vendetta, rintracciando i colpevoli uno ad uno , e uccidendoli ciascuno in modi differenti, ma facendo leva in tutti i casi sulla più basica debolezza del maschio,ovvero il potere della seduttività di un certo femminile, remissivo e disponibile secondo la visione della cultura patriarcale o, in maniera elementare, nella percezione delle fantasie maciste di qualche branco in cerca di emozioni forti o degli avventori del sabato sera. La sposa in nero può essere sicuramente considerato come il più nobile- l’origine sta in un racconto del raffinato giallista Cornell Woolrich( autore da cui Hitchcock ha tratto La finestra sul cortile e Fassbinder si è ispirato per Martha) –  precursore dei “revenge movies” al femminile:  un film , per intenderci , a cui fa in parte riferimento anche Quentin Tarantino nel dittico Kill Bill 1/2 , con Uma Thurman nei panni de la “Sposa” alle prese con una vendetta ancora più pirotecnica, sanguigna ed epica (e che ,in maniera post moderna , non veste più di nero , ma di giallo e al posto dei tailleur di Pierre Cardin usa la katana come arma non più impropria).

Una donna promettente– per una volta il titolo italiano rispetta l’originale ma omette quel “giovane” (promising yuong woman) che invece è importante per comprendere il comportamento della protagonista- è un’ ulteriore variazione, sofisticata e super pop al tempo stesso, su quel genere, opera prima di una sceneggiatrice-attrice , Emerald Fennell, che qualcuno ricorderà di aver visto come Camilla Parker Bowles nell’ultima serie di The Crown: il volto dalle fattezze marcate e il piglio robusto della recitazione ( contrapposto alla fragilità e alla nevrosi di Lady Diana/Emma Corrin) sono transitate con la stessa schiettezza anche nel suo sguardo da regista. Promising young woman si apre infatti sull’inquadratura di bacini maschili che si muovono scomposti all’interno di uno dei tanti, anonimi locali in cui cui uomini e donne vanno a divertirsi e a bere, magari per allentare lo tensione dopo una giornata incasellati da una società super competitiva, normativa e giudicante. Ma il punto di vista è da subito diretto, posizionato e presume già a una dicotomia, un conflitto insanabile: “Il cervello degli uomini è nelle mutande” , secondo un contro luogo comune(in risposta ai molti detti che stigmatizzano le donne come gattine del sesso) , oppure, come disse più prosaicamente Paola Borboni a Loredana Bertè in una delle sue “lezioni di vita” riportate nell’autobiografia della cantante “L’uomo non è altro che la testa del suo cazzo”. Ecco, quell’immagine d’apertura di movimenti pelvici, e in questo caso parlo da uomo ovviamente, è disturbante, riduttiva, ingrata ma immediata nel suo definire l’ottica da cui siamo visti e spesso vediamo , anzi non riusciamo a vedere, al di là del nostro ombelico . L’immagine successiva ci mostra invece una donna che non è più ne giovane ne promettente : ubriaca, quasi incosciente, sdraiata su un divano con una gonna corta e le gambe semi aperte,appare come l’ex voto profano e provocatorio, l’iconografia dentro cui confluiscono gli istinti predatori, camuffati sotto l’aspetto rassicurante del signorino in giacca e cravatta, il ragazzetto della porta accanto smanioso di fare la sua figura da seduttore.

Solo che la preda in questione, che si chiama Cassandra ed è interpretata da una Carey Mulligan ammirevole per il coraggio con cui si muove tra il grottesco e il tragico, è in realtà una cacciatrice che si fa abbordare volutamente dal vile di turno pronto a rimorchiare una ragazza quasi priva di sensi e portarsela al letto, salvo poi essere stanato nel suo stesso appartamento, mortificato nell’ipocrisia e messo al muro della propria impotenza. A un certo punto di quel viscido corteggiamo, poco prima che scada nell’abuso e nella violenza, Cassandra interrompe la pantomima , si rivela lucida e presente agli occhi del suo molestatore, rovesciando la prospettiva del chi è nelle mani di chi : anche qui la Fennell non gira intorno, ma prende posizione , inquadrando sul bordo del letto, dal basso verso l’alto , una Mulligan determinata e non più malleabile, che guarda lo sconosciuto ai sui piedi  gli chiede o meglio, gli  intima di sapere  chi lo abbia autorizzato a sbatterla sul letto e a sfilarle le mutandine.

Ma perché Cassandra fa questo? capiamo presto che non si tratta di un esperimento sociologico o di una qualche appartenenza militante a questo o quell’altro movimento femminista; di femminista nel personaggio di Cassandra ( e nella visione della sua autrice) c’è l’approccio situazionista/relazionale rispetto a un determinato evento, nello specifico l’esperienza di Nina, la sua più cara amica e compagnia di studi, spinta ad ubriacarsi e poi violentata a turno da un branco di ragazzi del college, tutti appartenenti a famiglie benestanti e altolocate, e destinati a carriere come brillanti professionisti; la denuncia di Nina viene di conseguenza minimizzata e poi archiviata dalla stessa direttrice del college, e questo la getta in una depressione e in uno sconforto sempre più grandi, fino a spingerla al suicidio. Cassandra, che le era stata vicino fino all’ultimo,  abbandonando perfino insieme a lei gli studi di medicina, ne rimarrà cosi segnata da sentire la necessità di fare qualcosa di quel dolore , di trasformarlo in una pratica, una metodo, un rituale per smascherare il sistema sommerso e vigliacco della violenza maschile e la collusione /omertà , anche delle donne, attraverso cui sopravvive, si alimenta e si tramanda.E non si tratta di un sistema generico, ma di un profilo culturale e sociale molto preciso e riconoscibile, il “giovane uomo promettente” destinato al prestigio lavorativo e allo status quo familiare ( magari con il cadavere della spogliarellista nel portabagagli come succedeva in Cose molte cattive, dark comedy ante litteram di fine anni ’90 : lì Cameron Diaz, fidanzatina d’America e novella sposina, era la più feroce e spregiudicata complice dell’ottuso e vigliacco marito).

Cassandra/Carrie , che ha visto svanire quella condizione di “giovane” e “promettente” svanire nel lento spegnersi di Nina, ha come unica ragione di vita , all’infuori di un indolente lavoro come commessa in una caffetteria e un’insofferente relazione con i genitori incapaci di comprenderne il disagio profondo, quella di ritrovare tutti gli aguzzini dell’amica. Si tratta però di un percorso ad ostacoli, con tutti i detours a cui ci hanno abituato la vita e il cinema post moderno: la Fennell passa dal revenge movie alla commedia nera al thriller vero e proprio , toccando anche, in maniera disorientante nella parte centrale del racconto, il sentimentalismo , attraverso l’incontro di Cassandra con un ex compagno di college, che le restituisce (momentaneamente) la fiducia negli uomini, nella possibilità di stabilire un rapporto di fiducia e di intimità con almeno uno di loro. Perché è vero che il film si schiera da una parte, ma questo non gli impedisce di analizzare i chiaroscuri e le contraddizioni: Cassandra non è un’eroina senza macchia, la vendicatrice dagli occhi di ghiaccio legittimata da qualche Dio a scendere dalla montagna dei giusti e calare la Verità in mezzo ai comuni mortali; è una che si sporca le mani , si pone delle domande , ha dei rimpianti e si pone, e ci pone, di fronte alla sottile linea rossa tra la ricerca della verità e l’ossessione (auto) distruttiva.

Non sarebbe corretto svelare o spoilerare ,come si dice in gergo, quale detour scegli di imboccare la regia , proprio perché ne snaturerebbe il lavoro di riscrittura all’interno dei generi, ma è importante sapere che la lettura offerta dalla sguardo è solida e forte : ogni conseguenza, deriva, a spirale, da un gesto , una parola, un comportamento che a loro volta, in una concezione non solo privata e individuale, sono indotti da una percezione collettiva, pubblica e politica: Nina è vittima, oltre che dell’esplicita ,brutale violenza maschile, ad un altro livello dell’immagine che la società le rimanda di se stessa rispetto a quella violenza, della vittima in qualche modo colpevole e dell’impossibilità di elaborare quel trauma, quando l’invito, neanche tanto velato , è di rimuovere e omettere. A riflesso , Cassandra è schiacciata dall’altra faccia del senso di colpa (“Dovevo andare con lei, strale vicino” dice alla madre di Nina ,che invece la invita a dimenticare e ad andare avanti).

Mi ricordo di aver letto, nella ricostruzione del tristemente famoso processo per il sequestro, la tortura e lo stupro ai danni di Donatella Colasanti e Rosaria Lopez (quest’ultima rimasta anche uccisa dalle torture) da parte di tre ragazzi apparenti all’estremismo di destra dell’alta borghesia romana, che a un certo punto la Colasanti si alzò e se la prese con una testimone sua amica, che conosceva anche gli assassini, accusandola di non aver dato delle informazioni che avrebbero potuto salvare lei e Rosaria. C’è dunque questa manipolazione indiretta che una visione unilateralmente maschile impone anche alle donne ,rendendole carnefici di loro stesse e tra di loro e la Fennell su questo affonda , ampliando la sua indignazione etica ed estica: in una delle scene più sgradevoli , Cassandra fa credere alla preside del college, che aveva trattato in maniera superficiale la segnalazione di Nina sugli abusi subiti, di aver abbordato la figlia adolescente e averla lasciata in una stanza con gli stessi che all’epoca avevano violentato l’amica. Solo dopo un dialogo serrato e sempre più compulsivo scopriremo cosa è accaduto, ma ancora più sconcertante è osservare l’isteria della direttrice, sconvolta anche solo dalla suggestione di un violenza che possa riguardarla da vicino ma indifferente di fronte a un fatto identico subito da qualcun’altra, come se il corpo della donna fosse violabile solo nello spazio domestico e familiare, e non nella sua identità sociale e comunitaria, dov’è sottintesa una collusione e una responsabilità.

Sicuramente Promising young woman è ascrivibile anche a quella categoria di film del post me too, il movimento di donne che, dal caso Weinstein in poi, hanno cominciato a segnalare e denunciare le molestie e le violenze subite all’interno dell’industria dello spettacolo, dopo anni di silenzio dovuti da pressioni e minacce (un esempio è i più misero e schematico Bombshell-la voce dello scandalo, dello scorso anno, sul caso di Roger Aliers, il fondatore di Fox News accusato da varie giornaliste sue dipendenti).

Ma l’ispirazione di Emerald Fennel è più audace, radicale, spiazzante. E, come la sterzata di Toxic , brano dell’icona super pop Britney Spears (a cui la Mulligan si ispira palesemente nei suoi travestimenti acchiappa maschi) in una versione tutta stridori solo per violino, lascia i brividi.

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One thought on “Una donna promettente: anatomia di un martirio pop

  1. Bella recensione, grazie. Sono partita prevenuta sul film pensando a un’ennesima lagna #MeToo, ma mi sono trovata a vedere qualcosa di ben più profondo e intelligente, che mi ha riportato immediatamente al Truffaut de “La sposa in nero” che lei cita e che non ho trovato quasi mai menzionato in altre recensioni. Più che di prevaricazione nei confronti dei corpi femminili, ci ho visto una storia intensa su ossessione, giustizia, perdono, ottusità, coraggio, codardìa, insomma temi più lati e alti. E poi inquadrature, colori e montaggio finale erano proprio belli.

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