Abbandonandosi intenzionalmente al racconto del Leggero inteso come predisposizione dell’anima (si?) e dichiarando di aver voluto dimostrare che anche la superficialità ha degli aspetti profondi però, Rovere maneggia sicuramente un’arma a doppio taglio e in alcune parti del film non siamo sicuri che il nostro abbia voluto essere sempre dalla parte giusta.
Chiariamo che un paio di scene de Gli sfiorati sono memorabili. Sul finire, il momento della lite tra il protagonista Andrea Bosca e l’ottimo Claudio Santamaria dimostra come il regista abbia una classe e un’autoironia fuori dal comune soprattutto nel modo in cui ribalta la prospettiva del racconto e rivela che tutte le angoscie e i patemi del personaggio di Mete che si erano seguiti fino ad allora passo passo sono fondati praticamente sul nulla.

In generale Rovere ha una padronanza della camera decisamente invidiabile e spesso si ha la sensazione che filmando i pensieri a tre metri da terra trasponga e materializzi i flussi di coscenza e le sospensioni emotive del romanzo di Veronesi in modo assolutamente elegante. Rispetto al libro c’è un resoconto visivo e concettuale della Roma spaziale molto meno fisico e più legato alle sovrastrutture gradasse dei salotti straripanti ed immutabili del centro, su cui Asia Argento domina in maniera semplicemente proropente. Sarà anche per l’incombere asfissiante della disinvolta e liberatoria scena di sesso finale, ma gli Sfiorati ricorda molto le atmosfere di Io Ballo da sola di Bertolucci, con in più alcuni silenzi e molte noie moraviane. Rovere ammette direttamente l’isperazione da Un mondo senza pietà di Eric Rochant.

In generale, nel corso di tutto il film dispiega uno schieramento di citazioni e arricchimenti stilistici forse troppo impegnativi dato che troppo spesso si vuole giocare sul campo e il terreno di Pieraccioni, che noi però apprezziamo di più e di cui qui non si intravede la verve comica o l’impatto più diretto. Il lavoro di squadra comunque è incomiabile e il livello del cast superlativo. Curioso che Riondino, nel dover interpretare l’agente immobiliare grezzo e superficiale sembri voler interpretare Alessandro Gassman in persona. Weirdo.

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