[***] – Ricky – Storia d’amore e libertà di François Ozon ci racconta la vicenda di una famiglia ordinaria in cui nasce un bebé straordinario. Nonostante il volto innocente e dolcissimo dell’omonimo protagonista, Ricky non è un film per bambini, ma una metafora complessa sulla fragilità della cellula familiare minacciata ad ogni passo dall’irrompere di un nuovo membro. Perplessità è la reazione che il film, presentato l’inverno scorso alla Berlinale, può provocare in un primo momento: fermarsi però a quest’impressione sarebbe decisamente un errore. Originale e complesso, Ricky è uno di quei film su cui merita ritornare: costruito come un caleidoscopio ci rivela ad ogni sguardo delle sfaccettature nuove ed inattese immergendoci in un’atmosfera inquietante e meravigliosa, familiare e straniante, cupa e divertente al contempo.

In un appartamento situato in un enorme monoblocco della periferia parigina è l’ora del risveglio; una bimba ancora assonnata esce dalla sua stanza e va a svegliare la mamma. L’atmosfera è opprimente già dalla prima inquadratura: i colori sono scuri, la tonalità dominante è il grigio e la luminosità è scarsa sia nell’interno della casa che all’esterno. Madre e figlia partono insieme in motorino: la bimba Lisa, va a scuola, la mamma Katie si reca di malavoglia a lavorare in una fabbrica di prodotti chimici. Un giorno la giovane donna fa la conoscenza di Paco, un operaio di origine spagnola. Fra i due nasce inaspettatamente il grande amore e Paco va a vivere con Katie e sua figlia. Lisa si sente messa da parte e respinge tutti i tentativi di Paco di mostrarle il suo affetto. Qualche tempo dopo sua mamma partorisce un bimbo: Ricky. Lisa oscilla fra l’ostilità iniziale di fronte all’arrivo del fratellino e l’attaccamento che comincia a provare per lui. Delle strane macchie scure appaiono sul dorso del bimbo: Paco, accusato ingiustamente da Katie di averlo maltrattato, se ne va di casa. Poco tempo dopo Katie e Lisa trovano la culla di Ricky vuota e lo scoprono in cima ad un armadio. Il bimbo è arrivato lassù volando; al posto delle macchie sono spuntate sul suo dorso delle piccole ali. Questo evento straordinario lungi dallo spaventare Katie e Lisa le riempie di gioia: entrambe cercano di trovare delle soluzioni pratiche per venire incontro alle necessità speciali del bimbo e cercano di nascondere la sua differenza per proteggerlo dalla curiosità e dall’incomprensione del mondo esterno.
Un giorno però Ricky, fra lo stupore di tutti, si mette a volare fra gli scaffali di un grande supermercato: il suo segreto diventa così di dominio pubblico.
Sicuro di non essere più sospettato Paco ritorna a casa. Allettati da una forte ricompensa i due genitori decidono di accordare una conferenza stampa durante la quale Katie, fiera e felice di vedere suo figlio volare davanti agli occhi del mondo, lascia andare il filo che lo teneva legato alla sua mano ed il bimbo vola via…
Il film non termina qui, ma si avvia verso un finale quasi mistico che lascia ampio spazio alla nostra fantasia e alle nostre interpretazioni.

Ricky è un film a più strati, denso di elementi simbolici polivalenti, di rimandi alla psicologia del profondo e di riferimenti alla Psicanalisi delle favole di Bruno Bettelheim.
Ridurre il suo significato ad un messaggio univoco risulta ben difficile. Il film può essere letto come un racconto a sfondo metafisico: il miracolo del bimbo alato ci rimanda ad un oltre meraviglioso, puro ed innocente. Può anche essere letto come un’ode alla diversità, un appello alla tolleranza, o ancora come una riflessione sulla fragilità della cellula familiare e sul mondo dell’infanzia, ambivalente, meraviglioso e potenzialmente mostruoso.

Sotto quest’ultimo punto di vista la vera protagonista del film è Lisa: la bimba è sottoposta ad una paura costante di espropriazione, di fatto rischia ad ogni nuova costellazione di essere privata dell’amore degli altri. La comparsa di Paco le fa temere di perdere l’affetto della sua mamma, l’arrivo di Ricky quella di entrambi i genitori. Questa pulsione profonda ed inquietante si concretizza in varie scene del film come quella in cui la bimba cerca delle grosse forbici il cui scopo finale è alquanto incerto. Qual’è il bimbo che non desidera la “morte” di un fratello neonato?
Ricky ci racconta con i mezzi inquietanti del meraviglioso una storia archetipica di rapporti umani attraverso una prospettiva quasi freudiana.

Ozon ha dichiarato di avere voluto filmare il reale come se fosse meraviglioso ed il meraviglioso come se fosse reale: quello che sembra annunciarsi a prima vista come un dramma a sfondo sociale slitta inaspettatamente nell’universo dell’immaginario. La sottile ibridazione di generi costituisce senza dubbio l’innegabile fascino di questo film insolito: Ozon osa mischiare uno stile realista con degli elementi fantastici creando così un’atmosfera tesa e misteriosa alleggerita qua e là da momenti comici e burleschi. Nella sceneggiatura, non priva di audacia formale, Ozon si diletta a presentarci delle false piste: il film inizia in media res con un’anticipazione che poi si rivela non essere la fine del film. Ozon si serve in maniera molto riuscita dell’ellissi ed intesse la narrazione di una fitta rete di elementi premonitori e di rimandi interni.

Nessuna riserva per quanto riguarda il cast, molto riuscito, del film. La piccola Mélusine Mayence è straordinaria per la naturalezza con cui interpreta il ruolo complesso e contraddittorio di Lisa: melanconica, introversa e costantemente ambigua, minacciata e minacciante,  vittima ed aguzzino potenziale. Un’altra sorpresa positiva, almeno per il pubblico francese, è l’ottima prestazione di Alexandra Lamy nel ruolo di Katie, un personaggio drammatico assolutamente inedito per l’attrice che ha sempre lavorato in televisione e al cinema come interprete di commedie. Ozon ha corso un certo rischio affidandole questa parte, sapendo bene che la sua scelta avrebbe stupito più di uno spettatore. Sergi Lopez  nel ruolo di Paco è la “star” del film; il regista ha giocato anche in questo caso sull’effetto di anticipazione legato all’immagine dell’attore noto per le sue interpretazioni di personaggi ambivalenti.

Cosa si può rimproverare a Ozon? Forse il fatto di non avere saputo tirare le fila del suo discorso. Nonostante i suoi molti pregi, Ricky incorre nel rischio della dispersione. Tutta la materia realista, mitica, psicanalitica, simbolica che ne compone la trama stenta a coagularsi intorno ad una metafora finale leggibile e comprensibile.
Detto in altre parole: la morale ultima della vicenda ci sfugge e con essa anche il significato di fondo del film, e ciò non è cosa da poco.

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