“Uno sgangherato Frankeinstain” si aggirava a Roma, in zona Pigneto nei giorni tra l’ 11 e il 14 ottobre. La pertinente e felice definizione del Road Ruins Festival è degli stessi animatori: “Dementi e autolesionisti” sostenitori dell’ amabile mostro. Impavidi e tenaci fino alla follia. Un festival che ammette e connette crestoni punk, hip hop incendiario. Barbuti (e barbosi) cantori dell’ utopia. Finzione, documentario e esibizioni live. Un contenuto ibrido capace di articolarsi in più direzioni partendo dalla comune matrice musicale. Se il Festival ha definitivamente spostato il focus sui lavori video declinati in varie forme, lo ha fatto inserendo il tema musicale dentro una prospettiva più ampia, legata a spaccati politici e storici. Questo ci sembra l’aspetto da rimarcare: la conferma dello stretto rapporto che intercorre tra i processi storici, le trasformazioni sociali e le espressioni artistiche che li accompagnano, in qualche caso li anticipano, sicuramente li narrano.

Abbiamo rivisto con piacere quei rockumentary ormai classici, ma sempre godibili specialmente in una sala cinematografica, come Punk rock movie di Don Lettis del 1978, indimenticabile istantanea che filmò in presa diretta il luogo dal quale scoccò la scintilla (il Roxy di Londra) che provocò l’incendio nel Regno Unito prima, e in tutto il mondo poi, cambiando per sempre linee estetiche e attitudini (per dirla alla Jhonny Rotten), o The slog movie (1982) che faceva più o meno lo stesso con i gruppi hardcore d’oltreoceano, quelli della west coast, o ancora i nostri instancabili parolieri che fabbricavano metriche e versi incisi oramai nella memoria collettiva di noi tutti dalla cantina del Folkstudio raccontati da Roberto Capanna nell’ ’81.

Accanto a queste preziose testimonianze, abbiamo riacceso lo sguardo verso storie rimosse, come la violenta ribellione del 1992 a Los Angeles in Uprising: hip hop & the la riots (Usa 2012), impressionante resoconto dei tre giorni di sommosse nei quali la città californiana fu messa a ferro e fuoco dalla comunità afroamericana in seguito all’assoluzione dei poliziotti accusati del pestaggio, ripreso e mandato in onda dai network statunitensi, di Rodney King. L’ evento ebbe la sua colonna sonora prodotta da un gruppo di giovani rapper, testimoni e partecipi. Gente come Dr. Dre, Tupac, Ice Cube incisero i pezzi hip hop che diventati veri e propri inni della rivolta che cambiò per sempre la storia della città e della comunità afro. A proposito di processi storici, assolutamente da recuperare This ‘aint California (Germania 2012), sapiente mescolanza di generi che fonde documentario, animazione e immagini di repertorio in un calibrato e emozionante racconto delle vicende di un gruppo di skaters nella Germania dell’est negli anni ’80. In sala anche l’ormai film di culto W Zappatore (2011) di Massimiliano Verdesca, storia di Marcello, cantante di una band metal salentina alle prese con un evento che sconvolgerà la sua vita.

Diversi sono stati anche gli incontri e le performance live, perchè il festival vuole allargare il proprio campo d’ azione ponendosi come un punto di riferimento per chi è sintonizzato sulle frequenze della controcultura e dell’espressione underground dando la possibilità di scoprire lavori estremamente curiosi e originali. Come definire altrimenti un documentario sulle punk band islamiche? Taqwacores: birth of punk islam (Canada 2008) che racconta la nascita di un genere nato dalla fantasia di Michael Muhammad Knight, scrittore del romanzo The Taqwacores 2005, uscito in Ialia col titolo Islampunk per la Newton Compton. Nel libro sono narrate le vicende di gruppi punk di matrice islamica. Inesistenti fino alla pubblicazione del romanzo, queste band si sono realmente formate dopo la sua uscita. E in effetti l’incontro tra il punk e l’islam sarebbe da non perdere. Questione di attitudine…

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