Nostalgici dei terrificanti xenomorfi, dei collosi facehugger, dei voraci embrioni spaccapetto, della prodigiosa bava corrosiva che sgocciolando dissolve qualsiasi superficie, sembrava tutto archiviato nel 1997 con Alien 4 – La clonazione e con qualche rilancio più recente nel  crossover/prequel/spin-off Alien vs Predator.
Adesso si ricomincia e sembra che ci sarà finalmente rivelata la genesi di questo misterioso male alieno. E’ così necessario spiegare l’origine del mostro? In fondo svelare e chiarire troppo, smorzando il mistero, farebbe svanire ogni paura e ogni autorevolezza dell’oscura entità. Però il farlo solo credere è un vecchio trucco che funziona sempre. Ecco perché adesso ci sono milioni di spettatori imbufaliti che infieriscono sul film Prometheus. La maggior parte sono i fedeli fans di Alien rimasti delusi perché si aspettavano di avere quelle risposte rimaste sospese nel lontano 1979 e non arrivate neanche nei sequel. Invece Prometheus è una creatura ambigua. E’ il prequel di Alien e poi invece non lo è, come dichiara infine lo stesso Ridley Scott.
Un evidente collegamento esiste ma è un’opera che va per una strada diversa. Può essere definito più come un reboot.
Inizia ponendosi i grandi interrogativi del Chi siamo? Da dove veniamo? Chi ci ha creati? Nel corso del film capiamo, come al solito, quanto può essere pericoloso, distruttivo e deludente cercare queste risposte. In particolar modo tutto gira intorno al “Chi ci ha creati?” marcando sull’affascinante ipotesi che l’umanità sarebbe stata forgiata da una razza aliena superiore mettendo in discussione sia la teoria evolutiva di Charles Darwin sia quella della creazione dell’uomo per mano divina.
Sull’idea del paleocontatto l’astronave Prometheus parte verso uno sconosciuto pianeta nel profondo spazio per cercare i nostri creatori, i cosidetti ‘Ingegneri’. Diciamo che lo schema di Alien si ripete: il risveglio dalla criostasi di un equipaggio molto eterogeneo, la presenza di un ambiguo androide con una missione segreta, l’esplorazione del pianeta, un’indefinibile mostruosità aliena che inizia un contagio per prolificare la sua specie, il caos, l’eroina protagonista unica sopravvissuta con in mano i pezzi dell’androide decapitato.
Nessuna risposta viene data, anzi, la sensazione è quella che gli interrogativi si moltiplichino gradualmente. Misteriosi vasetti con dentro un liquame nero, serpenti stritolatori, poliponi- facehugger, super uomini dal fisico scultoreo col nostro stesso DNA si aggiungono alla classica iconografia di Alien senza dare molte spiegazioni.
Così tutti se la prendono con lo sceneggiatore Damon Lindelof, e le sue manie di creare e far moltiplicare idee, allusioni di matrice mitologica/filosofica. Ipotesi su ipotesi espresse dagli stessi personaggi senza arrivare mai ad una soluzione chiarificatrice o meglio disseminandole furtivamente nel corso della vicenda ma lasciandole sfuocate nel dubbio. Dopo il mistero del fumo nero di Lost ci toccherà arrovellarci sul mistero del liquido nero di Prometheus.
All’interno di una struttura più asciutta e decisa anche Alien lasciava dei misteri irrisolti e questo non ha penalizzato il film. In Prometheus  si consuma una curiosa lotta interna: Lindelof contro Scott.
I duellanti restano più o meno alla pari ma sembra infine prevalere la regia serrata di Ridley Scott sulla lostizzazione dello script di Lindelof. Il regista inglese ci regala ancora una volta quel suo sguardo nichilista, spietato, nostalgico e introspettivo di raccontare la fantascienza come lotta ideologica tra creatori e creature. Oltre al più esplicito riferimento ad Alien c’è anche un rimando a Blade Runner sulle riflessioni e conseguenze  del rapporto col mondo degli esseri artificiali concentrate nel curioso personaggio dell’ androide cinefilo David che porta i capelli come l’attore Peter O’Toole. Apparentemente servile e allo stesso tempo dominatore degli eventi.
Pur essendo un essere artificiale, programmato dal presidente della Weyland Corporation,  dimostra una spiccata personalità con le sue argute intuizioni e con il suo pericoloso spirito d’iniziativa che contribuirà a favorire l’immonda entità aliena.
“Tutti i figli vogliono veder morire i loro genitori” dice l’androide David alla dottoressa Shaw.
L’odio/amore tra padri e figli naturali/artificiali in una perversa catena evolutiva in cui si annida l’ombra dell’essere mostruoso molto più riconducibile alla scelleratezza umana che ad un origine lontana negli abissi cosmici. In Prometheus rimane inalterata la magnificenza delle immagini che incantano e sorprendono fino alla fine. Mentre tutti sono immersi nel sonno dell’ibernazione seguiamo David attraversare in bicicletta i silenziosi ambienti dell’astronave per poi ritrovarlo a guardare vecchi film e spiare i sogni dei membri dell’equipaggio. Inevitabile non pensare all’inizio di Alien, alla profetica sequenza degli interni deserti della Nostromo sotto l’invisibile influsso del computer Mother.
Si ripete un imponente spettacolo visivo che evolve dai claustrofobici ambienti chiusi di Alien agli immensi esterni del pianeta LV-223 con tempeste di sabbia, scontri tra enormi navi spaziali che incombono sulla minuscola figura umana per tornare nei labirintici e oscuri corridoi/gole in cui si nasconde il mostro alieno e tutto il suo diabolico universo d’innesti biologici e meccanici ancora una volta splendidamente creati dalla mente dell’artista svizzero HR Giger. Molto di più di una scenografia, una grande operazione artistica, un enorme dettagliato affresco iconografico pitto-scultoreo di un  minaccioso inferno alieno in cui continuano ad aggiungersi inorridenti metamorfosi visive con continui rimandi all’apparato genitale.
Ed eccolo comparire nell’ultimo frame il piccolo antenato dello xenomorfo ma cosa combinerà per il momento non possiamo saperlo.
L’inquietante e fastidiosa tara che si trascina Prometheus è costituita dai troppi e spudorati segnali che definiscono il film come una sorta di prima parte preannunciando un sicuro sequel. La formula della serialità che ormai dalla televisione dilaga sempre di più nel cinema, anche quando si tratta di grandi autori come Sir Ridley Scott, riuscendo a sporcare l’integrità di un’opera filmica con strategie commerciali tristemente omologanti. Speriamo solo che nel futuro il cinema non sia destinato a diventare un intrattenimento per robot che ripetono celebri battute e prendono spunto dagli attori per un taglio di capelli.
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One thought on “Prometheus di Ridley Scott. Creazioni e distruzioni

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