Chissà chi si ricorda di Fantasilandia, bizzarra e suggestiva serie tv realizzata tra la fine degli anni ‘ 70 e i primi anni ’80, in cui un’isola esotica (con tanto di concierge dai tratti orientali e affetto da nanismo ) accoglieva ospiti/partecipanti e ne realizzava, tra messa in scena e mistero, i desideri più segreti , capovolgendoli spesso in incubi per offrire allo spettatore un “messaggio” che esprimesse la rassicurante e conservatrice morale di stampo anglosassone (è sempre meglio preferire la familiare, solida, conosciuta realtà alle pulsioni e ai tumulti del nostro inconscio).

E chissà se se n’è ricordato , in virtù della sua succosa cultura pop, M.Night Shyamalan per questo alquanto ispirato ritorno , Old , dal titolo secco nella forma e sintetico nel concetto come per tutti gli ultimi horror del cineasta anglo-indiano (Split, The Visit, Glass), ma dalla trama come al solito labirintica, un percorso decifrabile attraverso codici, segni e dettagli: anche qui, come nel cult televisivo citato, il luogo dell’azione è delimitato da un’isola paradisiaca, di cui però non ci viene svelata immediatamente la vera natura ,in “puro stile Shyamalan”, ovvero quel meccanismo, alla lunga stucchevole, di ribaltamento della percezione spazio/ temporale, fino a diventare un prevedibile gioco che, pur intrattenendo,assorbe e appiattisce qualsiasi suggestione o momento veramente emozionante e spaventoso.

Il nucleo della narrazione è sempre la famiglia, in particolare nel rapporto con i figli; qui ci sono i Cappa, coppia eterogenea ( lei più dura e distaccata , lui più tenero e malleabile) con due bambini (un maschio e una femmina, particolare non secondario per le dinamiche che si andranno costituendo) subito ripresi dentro l’abitacolo dell’auto che li conduce verso la vacanza nel lussuoso resort che la madre, Prisca(in cui ritroviamo il volto di Vicky Krieps,divenuto un po più spigoloso rispetto all’apparente docilità dell’amante passivo-aggressiva di Daniel Day Lewis nel gioco al massacro de Il filo nascosto di P.T. Anderson) ha “casualmente trovato su Google “ , una delle situazioni ormai classiche del cinema horror nell’epoca di internet; un altro chiaro topos del genere, e di una sua continua rilettura in chiave personale ed esistenziale che ha contribuito a farne proprio Shyamalan fin dai tempi de Il sesto senso, è il momento di crisi e di conflitto in cui si trovano i protagonisti,costretti a fare i conti con separazioni, malattie e traumi, alla base del quale nasce la scelta di compiere un viaggio o un’esperienza. Nel suo cinema non ci sono mai i ragazzini ingenui e sconsiderati che si trovano massacrati in qualche campo estivo o nella gola di un canyon dal serial killer di turno; come il David Dunn che sopravvive a un disastroso incidente ferroviario e per questo è come se fosse predistinato (ma in realtà è stato prescelto) a diventare un umanissimo super eroe in Unbreakable o la Casey con un passato di abusi e violenze fisiche che le susciteranno l ‘ “empatia”(e la salvezza) dello psicopatico schizofrenico che l’ha sequestrata in Split (due film che poi scopriremo essere i capitoli di una trilogia conclusasi con Glass, protagonista il genio diabolico del villain dalle ossa fragil)anche Prisca e il marito Guy si portano dietro delle ferite, più interne (il tumore di lei , un imminente divorzio, un tradimento non dichiarato) e mascherate dalla patina dell’evitamento della ricca borghesia occidentale (lo slogan sembra essere : se c’è un problema, facciamo qualcosa per non parlarne) .

Tutto il prologo di Old è dunque la descrizione di un sommesso inferno domestico di rimozioni e recriminazioni, messo ulteriormente e inconsapevolmente alla prova dalla gita apparentemente innocua e spensierata, proposta e organizzata dal mellifluo direttore dell’albergo, verso uno spiaggia appartata e selvaggia; un (non)luogo, isolato dal resto dell’isola da una complesso di alte rocce che formano un corridoio,un passaggio dentro cui si può entrare ma dal quale sarà impossibile uscire. Il limite, o l’espansione, di un prima e di un dopo, di un’accelerazione che cristallizza il processo in questione: Old, vecchiaia, invecchiamento. E tutta la prima parte, in cui i Cappa entrano in contatto con gli altri nuclei familiari,ciascuno portatore di una qualche dinamica disfunzionale o condizione patologica segreta , coinvolti nell’assurdo esperimento, restituisce un senso di straniamento e di stupore amplificato dall’ambientazione luminosa, estiva e favolistica. Questo rappresentare la paura alla luce del sole riporta alla recente, folgorante visione di un altro film dell’orrore al calor bianco:Il magniloquente Midsommar di Ari Aster, storia di sacrifici umani e riti pagani nella profonda Svezia del solstizio d’estate. E prima dell’ (inevitabile) spiegazione finale del fenomeno di invecchiamento a cui viene sottoposta la famiglia Cappa e i suoi compagni di (s)ventura, la vertigine in cui Old fa precipitare anche lo spettatore del sabato sera da pop corn movie sta proprio nel cambio di prospettiva che questa volta non ha a che fare solo con il livello lineare del racconto , bensì con l’osservazione delle fasi fondamentali della vita:diventare adulti, anziani e poi morire, ma in un tempo alterato e velocizzato, un crudele paradosso cronologico particolarmente sconcertante nei bambini. Il figlio di Cappa , ad esempio, arriva seienne e nel giro di poche ore sperimenta la pubertà, le pulsioni erotiche, il sesso e perfino la paternità con la figlia di un ‘altra coppia, una bambina trasmutata, per mezzo delle forze magnetiche emanate in quell’insenatura di sabbia e roccia, da compagna di giochi a possibile moglie e madre. Con un po di sottile ironia, potremmo definirla quasi una versione al contrario di Boyhood: nel film di Richard Linklater , riflessione dilatata , quieta e puntuale del tempo tumultuoso della giovinezza, gli stessi attori interpretavano nell’arco di 12 anni di riprese i personaggi, invecchiando di fatto insieme al loro, mentre Shyamalan ha chiamato per il ruolo di ogni bambino fino a tre interpreti per le diverse età attraverso cui passano dall’inizio alla fine (dagli 11 ai 50 anni), lasciando invece sempre il medesimo attore, e un sobrio trucco ad indicarne il precoce disfacimento, per i protagonisti adulti.

Di fatto è questo il terrore più grande di fronte a cui ci pone Old e che il linguaggio , più della trama, contribuisce a rappresentare, con la macchina da presa che in certi momenti si cala istericamente in mezzo a quella che sembra essere una psicosi collettiva , come dice in maniera esplicita uno dei personaggi , e svela , ora in maniera repentina ora con diversivi e spostamenti dell’attenzione, le trasformazioni fisiche e psicologiche , e le relative conseguenze che ne seguono, di questi contro-eroi nevroticizzati dalla combinazione fatale tra destino, casualità e manipolazione scientifica. Se volessimo trovare un antecedente più alto rispetto all’universo di inquietudini kitsch a buon mercato ( ma che nel sottoscritto ragazzino degli anni 80 abituato alla rasserenante tv generalista avevano il loro impatto…) di Fantasilandia , l’idea di un gruppo di persone confinate in un luogo senza potersene andare, l’incubo della soglia invalicabile, non può che essere l’Angelo sterminatore, dissacrante capolavoro sacro del genio assoluto , il Michelangelo del cinema come lo definì qualcuno , Don Luis Bunuel: in quel caso erano gli ingessati esponenti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia messicana a rimanere bloccati fuori dal tempo e dalla Storia dentro il salone di una villa, portati fino all’esaurimento nervoso e al completo crollo di tutti gli schemi e le maschere sociali, con l’esplosione degli istinti primordiali , una regressione allo stato animale e un avanzamento nel delirio allucinatorio.

Non ci sarbbe bisogno di specificare che la potenza allegorica e visionaria, e la lucidità intellettuale e analitica del maestro spagnolo si perdono nella necessità più infantile e rassicurante ( si, come un episodio di Fantasilandia) di tenere insieme intrattenimento, riflessione e il messaggio, ecologista e anti capitalistico, cosi profondamente attuale in questa nuova fase della pandemia di Covid alle prese con la ricerca di vaccini e cure ( senza spoilerare troppo, cosa imperdonabile per un film di Shyamalan, nello scioglimento del mistero della spiaggia c’è lo zampone della solita multinazionale biomedica senza scrupoli); tutto deve avere una spiegazione razionale, un senso riconducibile ad azioni che possono essere smascherate e punite, lì dove in Bunuel buoni e cattivi , vittime e carnefici, senso di colpa cattolico e anarchia dionisiaca si sovrapponevano nelle immagini e nelle associazioni libere dell’inconscio surrealista. Ciò che riscatta Old e ci fa dimenticare a tratti il gioco del “come” e del “perché”, è l’afflato, il sentimento di appartenenza della poetica di Shyamalan all’intensità del melò familiare , che si può identificare almeno in un momento veramente sentito e toccante: quello in cui Guy e Prisca, ormai fisicamente ridotti ad ultraottantenni sulla soglia della demenza senile e con i sensi compromessi ,si riconoscono per un attimo e si ritrovano nella tenerezza e nell’innocenza di un amore prima o dopo di tutto, un po’ come lo sguardo consapevole del Benjamin Button , biologicamente regredito a neonato, ma con il cuore e la mente (e gli occhi,appunto) di un uomo che si sta congedando dalla vita , nel film di David Fincher.

Ancora una volta la categoria del tempo travalica la dimensione del racconto, e si fa strumento di una visione , interiore ed esteriore, sull’esistenza.

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