C’è qualcuno pronto a farci vedere i film dell’uomo in foto? C’è speranza che i distributori italiani si diano una svegliata? O alcuni autori continueranno ad essere MAI VISTI in Italia? Intanto noi ne parliamo. (mg)

Avevo incrociato Azazel Jacobs più volte nei corridoi della Biennale: alto, con i capelli perpetuamente in subbuglio, un sorriso simpatico sulle labbra, Azazel Jacobs è qualcuno che non passa inosservato. Non avevo però visto il suo film Mommas’Man (traduzione italiana: il mammone): qualcosa nel titolo mi dava fastidio, l’idea forse di trovarmi di fronte a una commedia grottesca e scontata. Mi sbagliavo: Mommas’man visto più tardi al Thessaloniki Filmfestival è, a mio avviso, uno dei  film migliori di quest’ultimo anno. A Salonicco ho potuto vedere anche il film precedente a Mommas’Man: The GoodTimesKid, fresco, intelligente, poetico e divertente, una piccola gemma. Proiettati nella sezione Indipendence days, con l’indicazione Someone to wach, in altre parole: “qualcuno da tenere sott’occhio”, i due film sono stati accolti con grande entusiasmo.

Il giovane regista americano Azazel Jacobs è letteralmente cresciuto in mezzo al “fare” cinema. Azazel è infatti figlio del grande artista del film sperimentale Ken Jacobs (l’ultimo Torino Film Festival ha deciso di invitare gli Jacobs, padre e figlio, che hanno presentato in due sezioni differenti, i loro ultimi lavori). La sua storia famigliare l’ha forse spinto a diventare regista ma Azazel traccia una strada tutta sua che non deve nulla né al linguaggio, né alle scelte formali di suo padre. Pur condividendo con lui l’amore per l’assurdo e l’etica della subcultura “Aza” sceglie il terreno più convenzionale del cinema narrativo indipendente. Nei suoi film l’elemento personale e la componente autobiografica si fondono con la finzione dando origine ad un amalgama organico, molto calibrato e pieno di tenerezza.

Persone care al regista e tracce di vissuto interagiscono per dare vita a delle nuove costellazioni:  The GoodTimesKid è un omaggio all’amicizia e all’amore, Momma’s Man è uno studio delle difficoltà che s’incontrano a crescere e ad assumere le proprie responsabilità.

Un’aria di famiglia emana da entrambi i film: in The GoodTimesKid Azazel mette in scena se stesso, la sua ragazza Sara Diaz e il suo migliore amico, il regista messicano Gerardo Naranjo, girando in quella che, all’epoca, era casa sua a Los Angeles. In Momma’s Man il padre e la madre del film sono i suoi veri genitori, Ken e Flo Jacobs, e l’appartamento è il loro domicilio, il luogo dove Azazel è cresciuto.

I film di Azazel Jacobs hanno indubbiamente un versante documentario; questo aspetto però non è mai messo in primo piano, ma è presente a monte, è una sorta di premessa o meglio l’humus su cui si costruiscono le sue storie.

The GoodTimesKid favola urbana tenera e disperata è un film pieno di creatività, buffo e commovente. La vicenda si svolge nel giro di ventiquattro ore in cui la vita dei tre protagonisti viene totalmente scombussolata da un problema di omonimia. È il giorno del compleanno di Rodolfo Cano, un punk-rockettaro collezionista di dischi (Azazel Jacobs), ma lui è di pessimo umore e reagisce male alle premure della sua ragazza, Diaz, (Sara Diaz), perché sa di doversi presentare all’ufficio di reclutamento dell’esercito. Senza dirle nulla si reca a questo appuntamento fatale con un nodo alla gola. Anche un altro Rodolfo Cano, un tipo malinconico che vive su una casa-barca (Gerardo Naranjo) è stato convocato nonostante abbia già fatto il suo servizio militare. A partire da questo momento le vite dei due personaggi s’incrociano dando luogo ad un insieme di situazioni tragicomiche al centro delle quali si trova Diaz che non sa più  con chi vuole condividere la sua vita. Alla fine Rodolfo II (Gerardo Naranjo) si sacrificherà e partirà alla guerra al posto di Rodolfo I (Azazel) per permettere a quest’ultimo di salvare la sua storia d’amore con Diaz.

La trama si sviluppa intorno ad una serie di piccoli eventi fatti più di immagini, di movimento e di musica che di dialoghi. Scene esilaranti come quella della danza scatenata di Diaz, che riproduce sia nel vestiario che nella gestualità la figura strampalata di Olivia, la fidanzata di Braccio di Ferro, si alternano a momenti commoventi come la lunga passeggiata dei due Rodolfo nella luce dell’alba in cui  “Aza” parla, in maniera autobiografica, del suo amore per Diaz. Nell’ultima scena del film, Rodolfo I e Diaz, finalmente riconciliati, stanno seduti immobili nel loro salotto, quasi fossero una fotografia, mentre risuona la loro canzone d’amore; un disco dei Gang of four miracolosamente sopravissuto alla furia distruttiva di Diaz. È una lunghissima sequenza – omaggio a La Jetée di Chris Marker- in cui verso la fine un’impercettibile movimento della ragazza dà di nuovo vita all’inquadratura. Pur nella loro sobrietà e stilizzazione i tre caratteri del film sono profondi e complessi; Azazel Jacobs riesce a dire molto facendo economia nell’uso della parola, ricorrendo alla plasticità dei movimenti e dei corpi, agli elementi del vestiario, della decorazione e alla suggestione della banda sonora.

The GoodTimesKid è un film-omaggio all’amicizia e all’amore ma, a detta del regista stesso, è in primo luogo un film-omaggio ad una serie di cineasti che ammira; a partire da Kaurismaki, di cui  riprende la caratterizzazione dei personaggi e un certo tipo di atmosfere, a Jim Jarmush, a Godard, a Chaplin, al già citato Chris Marker. La produzione del film, realizzato con un budget estremamente ridotto, è stata in se stessa un’avventura. Azazel Jacobs e Gerardo Naranjo (ha partecipato con il suo film  Voy a explotar al concorso internazionale del Thessaloniki Filmfestival ottenendo il primo il Premio della giuria Fipresci ) presenti alla proiezione di The GoodTimesKid a Salonicco ne hanno raccontato al pubblico la vicenda: scritto in soli tre giorni nel deserto intorno a Las Vegas, dove Gerardo si era rifugiato insieme ad Aza per mettersi al salvo dall’aria condizionata degli alberghi della città – il film è stato girato in seguito con dei resti di pellicola “sottratti”  ad un grande studio hollywoodiano. Un amico aveva informato Gerardo che c’erano ancora delle bobine inutilizzate di un film con Brad Pitt, bastava solo non farsi prendere. I due amici hanno poi reclutato i loro collaboratori su internet offrendo loro, come sola ricompensa, il vitto durante le riprese. A detta di entrambi, paradossalmente, questo film indipendente non si sarebbe potuto realizzare senza la presenza di Hollywood e delle sue strutture: la post-produzione, per esempio, si è potuta fare grazie all’aiuto disinteressato di alcuni professionisti degli studios pronti a dare una mano semplicemente per sostenere dei giovani artisti.

Se The Go
odTimes Kid
(2005) è ancora un’opera giovanile, leggera e divertente, nata da una collaborazione fra amici, Momma’s Man, girato tre anni dopo, è decisamente un’opera matura. Si tratta di un film sensibile e profondo, originale e solido nel suo impianto narrativo, caratterizzato da una messa in scena sobria, con un gusto sicuro per la qualità dell’immagine e per la scenografia, curata nei minimi particolari. Il soggetto del film è più cupo: Mommas’s Man è la radiografia di un momento di crisi di un “regresso”; la trama è, ancora una volta, relativamente semplice.

Mikey, un giovane uomo sposato e padre di una bimba di pochi mesi, si reca, per motivi professionali, dalla California, dove si è stabilito con la sua famigliola, a New York sua città natale e luogo di residenza dei suoi genitori. Giunto il momento di rientrare, Mikey, già sul treno per l’aeroporto, decide di rimandare il viaggio e torna a casa dai suoi genitori per riposarsi ancora un giorno o due. La visita, che sarebbe dovuta essere di breve durata, si protrae sempre di più. Mikey sembra avere trovato rifugio nella sua vecchia casa  circondato dalle premure di sua madre e cerca ogni giorno delle nuove scuse per non partire. Passa il suo tempo rovistando fra i suoi vecchi affari: giochi, fotografie, fumetti e quaderni di scuola. Un giorno ritrova una lettera d’amore che aveva scritto ad un ragazza ai tempi del liceo e cerca di contattarla, poi visita un suo amico appena uscito di prigione per un affare di droga.

In una New York splendidamente invernale la casa paterna diventa, a maggior ragione, una sorta di tana calda e sicura. Man mano che i giorni passano Mikey non cerca neanche più di dissimulare le vere ragioni del suo soggiorno, si lascia andare completamente e scivola in uno stato di angoscia che sembra paralizzarlo. Non risponde più ai messaggi disperati che gli lascia sua moglie sulla segreteria telefonica, mente ai suoi inventando delle scuse sempre più inverosimili e alla fine non riesce più neanche ad uscire dall’appartamento. I suoi genitori, sorpresi in un primo tempo, incominciano, pian piano a preoccuparsi e a rendersi conto che c’è qualcosa che non va. Alla fine Mikey, dopo avere toccato il fondo, riesce a reagire; ripartirà finalmente per la California deciso ad affrontare la vita e le sue responsabilità.

azazelMomma’s Man è una tragedia del quotidiano pervasa da un umorismo sottile ed amaro. Il film commuove senza ricorrere ad alcun elemento melodrammatico. L’emozione si manifesta attraverso gesti e atteggiamenti a volte impercettibili, minimi e non spettacolari, il turbamento passa sui volti dei personaggi e si esprime senza l’ausilio di troppe parole. Aza sceglie come suo “alter ego” nella parte del figlio un attore, Matt Boren, fisicamente completamente all’opposto di sè: statura media, grassottello, con una faccia tonda, un po’ goffo. Il regista dice che gli ricordava se stesso da bimbo e, visto il tema del film, gli piaceva l’aspetto quasi infantile del suo attore. Il padre e la madre sono interpretati da Ken e Flo Jacobs, i genitori del regista.

Trattato in maniera diversa questo soggetto sarebbe potuto diventare una parodia piatta e banale; Azazel Jacobs gioca invece su una serie di sottili discrepanze fra i suoi personaggi per creare una storia complessa ed insolita.

La differenza sia di aspetto che di attitudine fra Mikey e i suoi genitori è tale da metterci spesso a disagio. Questa discordanza è presente anche nella sceneggiatura; il lavoro di Mikey non viene mai menzionato ma si capisce che è un mestiere che non ha nulla a che fare con l’attività artistica dei suoi. Sarebbe ovvio immaginarsi un conflitto eppure non si sente mai, neanche un momento, un qualsiasi disprezzo dei genitori per questo figlio così diverso.

L’interpretazione di Matt Boren sensibile, precisa, intensa magnetizza l’attenzione e riesce a farci provare perfino della simpatia  per il personaggio patetico ed esasperante di Mikey.

Ken e Flo, sembrano appartenere ad un altro mondo ed illuminano con la loro presenza ogni singolo fotogramma. Una grazia indefinibile e una profonda umanità emana da queste due figure di genitori: la madre è fragile, eterea e commovente nella sua perpetua litania: “vuoi mangiare qualcosa?” con lo sguardo sempre un po’ perso ed assente; il padre è osservatore, di poche parole, forte di un’autorità naturale. Il pudore e il rispetto con cui Ken e Flo sono filmati costituiscono una prova toccante dell’affetto Aza nutre nei loro confronti. Ambientato quasi completamente nell’appartamento newyorkese della famiglia Jacobs a Tribeca il film riflette il fascino di questo luogo fuori dal comune.

Quello che a prima vista può sembrare un magazzino caotico e disordinato è il laboratorio di un grande artista. Una sedimentazione di libri, riviste, materiali, sculture e oggetti della più svariata natura – materia creativa del mondo artistico degli Jakobs – hanno finito per formare, nel corso degli anni, delle vere pareti che delimitano lo spazio in un percorso labirintico di stanze. Luogo di vita e di creazione l’appartamento degli Jacobs rischia di scomparire a causa della trasformazione del quartiere. Tribeca, domicilio negli anni ‘60-‘70 di molti artisti alla ricerca di atelier a buon mercato, è diventato oggi  un quartiere alla moda dove i prezzi immobiliari hanno costretto la maggior parte dei vecchi residenti a partire. I genitori di Aza potrebbero essere i prossimi a subire uno sfratto…

Momma’s Man nasce dalla  volontà di preservare questo universo. Il film parla di amore filiale in una maniera molto profonda anche a questo secondo livello, sul piano documentario. Momma’s Man è, in definitiva, un film sulla memoria.

Il film uscirà prossimamente in sala in diversi paesi europei; mi auguro che possa presto trovare una distribuzione anche in Italia.

Se ti è piaciuto quello che hai letto, perché non lo condividi?
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.