Cineasti del presente, la sezione del festival di Locarno che accoglie tradizionalmente le opere più radicali ed innovative, costituisce per un giovane regista un primo vero riconoscimento dell’originalità del suo linguaggio cinematografico.

Per un artista come lo svizzero Richard Dindo con una lunghissima carriera di documentarista ed un posto, guadagnato ormai da tempo, nei manuali di storia del cinema, fare parte di questa selezione è prova invece di una grande capacità a rinnovarsi, a proseguire un cammino di ricerca formale e di riflessione.

Marsdreamers è, in più di un senso, un film atipico rispetto alle tematiche e ai codici propri di questo regista.

Dagli inizi nei primi anni settanta fino ai suoi ultimi documentari, il cinema di Richard Dindo è attraversato da una profonda nostalgia; ogni sua nuova opera è un tentativo per colmare un assenza, un vuoto.

Il cinema di Dindo è un anelito verso il passato, un cinema della memoria: morti illustri rivivono nelle sue opere attraverso le loro parole, i testi letterari diventano una sorta di testamento postumo. Famosi sono i suoi ritratti di grandi artisti; scrittori come Rimbaud e Kafka, pittori come Matisse.

Questa vena intimista va di pari passo con un impegno politico e civico; Dindo è  affascinato da grandi figure di ribelli come da coloro che sono stati vittime di un ingiustizia storica.

Una delle sue opere più significative, vera pietra miliare nella storia del cinema documentario, è Ernesto “Che” Guevara. Le journal de Bolivie (1994) un film sulla disastrosa campagna del Che in Bolivia; ritratto sensibile, autentico e profondamente umano del “Che” lontano da ogni demagogia, da ogni sfruttamento e manipolazione ideologica della sua figura.

Richard Dindo che ha puntato la sua cinepresa sempre verso il passato, compie con Marsdreamers una svolta radicale dirigendo il suo obiettivo verso il futuro utopico della vita su Marte.

Ma chi sono veramente i Marsdreamers?

Per chiarire questa questione Dindo si è recato negli Stati Uniti ed ha convocato davanti alla sua cinepresa una carrellata di personaggi assai distinti; se molti sono dei semplici cittadini, verremo a scoprire in modo assai sorprendente che la stragrande maggioranza dei Marsdreamers fa parte della comunità scientifica del paese, si tratta di ingegneri, geologi, studenti, speleologi, architetti,  astronomi.

Tutti sono degli affascinati accoliti di Marte che immaginano, progettano, preparano la vita dell’uomo sul pianeta rosso.

Dindo abbandona qui l’uso evocativo della voce off che aveva caratterizzato la maggior parte delle sue creazioni, per riappropriasi di uno stile più classico. Marsdreamers è costruito intorno ad una serie di interviste e di testimonianze; ci si sarebbe potuti aspettare un approccio ironico, provocatorio, forse scanzonato nei confronti di questi diversi personaggi presi nell’entusiasmo del loro sogno utopico, Dindo invece  interroga i suoi interlocutori con pacatezza e circospezione, li tratta con serietà e con rispetto, senza abbandonarsi mai alla tentazione- alquanto giustificata in più di un caso- di farne delle caricature.

Le scene divertenti sono inevitabili: così un architetto che ha progettato in tutti i dettagli le nuove abitazioni degli uomini su Marte ammette che non vorrebbe mai andare a vivere lassù perché non vuole svegliarsi senza udire il cinguettio degli uccelli. Un giovane studente afro-americano dichiara invece di essere pronto a partire subito per essere citato nei libri di storia come “il primo uomo che è andato su Marte”.

Uno scienziato filmato di fronte alla gigantesca ricostruzione della city newyorchese in un parco di attrazioni risponde ridendo: “Perché l’uomo vuole andare su Marte? Ma per scappare da cose come questa!”

In realtà  il sogno di Marte per i protagonisti del film non è motivato da un semplice gusto per l’evasione o per l’avventura ma da un desiderio ed un bisogno di ordine spirituale ben più profondo, dalla speranza in un mondo migliore, dall’utopia di una comunità umana capace di ricostruire altrove una società più giusta e solidale, di creare una nuova civilizzazione.

Nel corso delle varie conversazioni affiora sottilmente anche la questione della “colonizzazione”; Dindo inserisce un’intervista a due indiani autoctoni che si augurano che i “bianchi” , una volta arrivati su Marte, rispettino questo pianeta molto più di quanto non abbiano fatto  con il “nuovo mondo” ed i suoi abitanti.

Dindo sceglie spesso di filmare i suoi personaggi in paesaggi desertici che prefigurano sul suolo terrestre le condizioni geologiche di Marte. Il montaggio riesce ad alternare con grande giustezza e fluidità i volti umani con le immagini di Marte. Marsdreamers ci immerge così in un’atmosfera molto particolare; il potere della musica e le suggestive immagini di animazione ci trasportano virtualmente sulle distese desertiche del pianeta rosso.

Il regista interroga, infine, i suoi personaggi su una questione di fondo: saresti pronti a partire ed a restare su Marte per sempre? Alcuni non potrebbero farlo, altri invece sarebbero pronti ad imbarcarsi immediatamente.

Il film si chiude su quattro ipotetici addii dei futuri abitanti-coloni di Marte.

Verso la fine di Marsdreamers ci si rende conto che le tutte le questioni posate su Marte, finiscono per riportarci, come per un effetto di boomerang, inevitabilmente di nuovo verso la terra ed il suo futuro carico di interrogativi inquietanti.

“Dobbiamo in primo luogo pensare alla terra- dice una donna- se non facciamo nulla contro il riscaldamento del pianeta e la catastrofe che si sta preparando, quello di Marte sarà un progetto per un altro secolo.”

In realtà  nonostante l’anelito, il sogno, la tendenza centrifuga che anima tutti questi personaggi il film si rivela essere alla fine una dichiarazione d’amore corale e globale non al pianeta rosso  ma al pianeta blu, al nostro vecchio pianeta terra.

Marsdreamer è un film meditativo, un film  sui grandi sogni ma anche sull’estrema fragilità dell’essere umano.

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