Parte seconda

 

Historia de la meva mort ha un formato d’immagine fuori dall’ordinario. Come sei riuscito ad ottenere questo aspetto molto particolare, in che materiale hai girato e quali sono state le tue scelte concrete? Perché hai usato il formato cinemascope?

 

Quella del formato è una storia molto lunga.  Il mio direttore della fotografia ha iniziato a girare il film in 4:3,  circa alla metà delle riprese io mi sono reso conto, che sarebbe stato meglio girarlo in 2:35 ma non gli ho detto niente, così lui ha continuato a comporre tutte le riprese del film per il formato 4:3 il che è, ovviamente, esattamente il contrario di 2:35.  

Se, dopo avere girato tutto in 4:3 trasponi il film in 2:35, ottieni un’immagine molto strana perché di colpo c’è un sacco di spazio vuoto come in una composizione assurda…..

Facendo questo tipo di trasposizione devi essere pronto a priori a perdere una parte dell’immagine; sui due lati o sulla parte superiore ed inferiore dell’inquadratura.

Devi fare una scelta e, in questo senso, ti trovi di fronte ad una composizione completamente nuova dell’inquadratura.

Credo che la mia contribuzione più importate al film sia stata proprio quella di prendere dentro di me questa decisione, senza dire nulla al direttore della fotografia.

In generale non mi concentro mai troppo sulla composizione delle scene perché, di fatto, uso girare ogni scena con due o tre cineprese al contempo –questo dipende dalla situazione e dal luogo-  e lascio loro molta libertà.

Nel caso di Historia de la meva Mort penso che quest’idea sia stata veramente geniale perché è un’idea nuova e soprattutto perché l’immagine non sembra mai essere stata ‘composta’ , perché non è composta, o per essere più precisi era stata composta per un formato di 4:3 ! (ride)

Trovo che quest’idea sia interessante, d’altra parte devo dire che questo modo di procedere rappresenta molto bene il mio metodo di lavoro, il modo con cui mi relaziono agli attori ed in generale con il mio stile personale che si basa sul rifiuto della comunicazione! Io so quello che voglio ma non lo comunico né agli attori, né ai tecnici!

 

Come funziona nella prassi il tuo ‘metodo’ di lavoro?

Quando ho iniziato a fare dei film ho scoperto che era meglio  non spiegare alla gente quello che avevo in mente -un po’ come faceva Andy Warhol: “Vai avant ie non giudicare te stesso!

Poi, pian piano, questo modo di lavorare nel mio caso è diventato radicale, direi che è diventato una vera e propria regola: rifiuto di comunicare!

Questo è quanto è successo questa volta con le varie cineprese; abbiamo iniziato le riprese con una Arriflex Alexa che a me non piaceva, poi l’abbiamo cambiata con un altra poi con un’altra ancora, e via dicendo. Ad un certo punto ci siamo ritrovati in Romania in un posto sperduto con ben 12  cineprese differenti sul set :2 Alexa, 2 Sony, 2 Panasonic e via dicendo….

Il produttore Rumeno, scherzosamente, mi ha fatto notare che neanche Ridley Scott si era mai trovato con 12 cineprese diverse su un set!

Lo ammetto: è stato un po’ un caos! Ma a me piace creare questo tipo di caos, perché quello che conta alla fine in un film è l’ispirazione, non sono gli aspetti tecnici!

E poi se non facessi così tutto sarebbe noioso e soprattutto le riprese sarebbero noiose!

Quando lavori con degli attori non professionisti, come è il mio caso, è la tecnica che deve seguire loro e non il contrario. Nel momento in cui sono ispirati non ci si può permettere di perdere un’ora o più per mettere a punto tutti  i parametri tecnici, se no l’attimo di grazia rischia di dileguarsi ed andare perduto per sempre…

Se un attore non è ispirato nei miei film, direi che è circa l’80% della qualità del film che va persa per sempre, al contrario se l’illuminazione non è perfetta il film perde forse il 2% della sua qualità finale. Paradossalmente i vari problemi tecnici che si ritrovano nelle ripresefinali mi permettono di lavorare meglio in fase di montaggio, costringendomi a cercare delle soluzioni che stimolano la mia creatività obbligandomi a pensare in modo più sottile.

Penso che nessun altro regista nella storia del cinema abbia mai fatto una cosa del genere; cioè girare un film in 4:3, non dire nulla ai tecnici, pur avendo in mente di volerlo poi trasporre in 2:35.

Io sono il primo e, probabilmente, l’unico a fare una cosa del genere! (ride)

I vari dettagli della messa in scena come i costumi o la scenografia non hanno un’importanza capitale nei miei film; quello che conta sono gli attori, la struttura del film, il suo concetto e la sua intensità!

Come si è svolto il montaggio del film? A quanto pare, disponevi di una quantità enorme di materiale e hai montato tutto da solo…

In effetti, questo è il primo film che ho montato completamente da solo; l’amico con cui ho montato tutti i miei lavori precedenti era stanco e non aveva più voglia di mettercisi, così ho deciso di affrontare questo compito senza aiuti esterni.

Quando giro un film la mia preoccupazione principale è quella di cercare di metterci delle cose interessanti, degli elementi nuovi, inusitati in modo da ritrovarmi con un qualcosa fra le mani quando inizio il montaggio. Ma qui inizia la vera sfida: tutto questo materiale devo riuscire a ‘cucinarlo’ in una maniera sofisticata…

Prendiamo i dialoghi per esempio; ovviamente ho scritto dei dialoghi e li ho fatti recitare dai miei attori, però dopo, in fase di montaggio quando posso – non è sempre il caso – il dialogo finale che arriva sullo schermo è creato a tavolino!

Per esempio il dialogo fra Dracula e la figlia maggiore del contadino durante la loro prima conversazione sulle sponde di un fiume è stato ‘creato’ da me in fase di montaggio. Per questa scena disponevo di circa  un’ora e mezzo di materiale con una serie di dialoghi diversi fra i due personaggi, con delle domande e delle risposte diverse… Sono stato io durante il montaggio a costruire un nuovo dialogo fra i due scegliendo una domanda ed una risposta -fra le varie disponibili-  non corrispondenti all’origine.  

I dialoghi che risultano alla fine sono molto belli perché conservano la loro spontaneità, la loro naturalezza pur essendo stati messi insieme a posteriori ! Certo il fatto di usare molto il fuori campo mi facilita enormemente questo compito.

I dialoghi risultano freschi ed originali proprio perché la reazione di chi risponde è sempre leggermente diversa dal come ce la saremmo immaginata, c’è un piccolo elemento di sorpresa emotiva nel comportamento dei personaggi, l’aspettativa è sempre lievemente differita.

Certo questo metodo di lavoro costa parecchio tempo; devo infatti sempre trascrivere  tutti  i dialoghi di una scena– a volte si tratta di due ore o più – per riuscire a capire dove avere un controllo sul materiale e non perdere la visione d’insieme.

Questo modo di procedere costa un sacco di tempo; si possono perdere giorni e giorni lavorando su un’unica scena ed è un lavoro molto noios ma ne vale la pena perché alla fine il risultato che si ottiene riesce ad accoppiare perfettamente l’artificio con il naturale.

Il ritmo, assai peculiare, della narrazione è un fattore essenzialein Historia de la meva mort: le cose accadono, particolarmente nella seconda parte del film, come se niente fosse; una sorta di slittamento impercettibile, ma per questo ancora più sinistro, ci trasporta lontano, nell’universo di Dracula.  Questa trasformazione sottile – una successione di stati più che di veri e propri eventi- accresce il mistero e rende la vicenda ancora più suggestiva…

Historia de la meva Mort è, in questo senso, un po’ un’eccezione rispetto ai miei film precedenti in cui non c’era l’aspetto narrativo, né quello drammatico, né un argomento ben preciso, né, tantomeno, diversi livelli di significato come in questo caso.

Guardando Historia de la meva Mort  non si capisce bene se si tratta di un film di genere o piuttosto di una pellicola metafisica o semplicemente un film che descrive la vita di un gruppo di persone.  Nei miei film precedenti mi piaceva che il tempo, il ritmo, il montaggio fossero quasi arbitrari; volevo che la vita quotidiana mostrasse un lato un po’ selvaggio. Per questo molti piani avevano una durata estremamente lunga, al limite del logico, del sopportabile e a volte, di proposito, addirittura oltre…. In Historia de la meva mort un trattamento del genere sarebbe stato incongruente o addirittura assurdo perché il film è composto di vari strati ed il mio approccio va ben al di là della mera pulsione di stare accanto agli attori e di osservarli, come avevo fatto in precedenza.

Penso che l’aggettivo ‘organico’ definisca bene la tonalità di fondo del film che fluisce in modo molto naturale e coerente dalla prima all’ultima scena…

 

In Historia de la meva mort volevo che le cose succedessero in un modo molto naturale e che il passaggio dalla prima alla seconda parte del film che è molto più artificiale, molto più astratta, popolata d’immagini inusitate, di suoni inconsueti, di cose latenti si effettuasse gradualmente, in modo quasi impercettibile per evitare appunto che lo sviluppo della storia sembrasse gratuito o una mera provocazione.

Integrare queste due parti è stato un compito arduo e- come hai giustamente osservato- in questo processo il ritmo è stato mi ha permesso di rendere questa fusione fluida e credibile; le informazioni – dei piccoli momenti, delle piccole folgorazioni – vengono date, a poco a poco, e si inseriscono, passo dopo passo, nel corso della trama.

 

Historia de la meva mort dura due ore e mezzo. Il 99% delle persone con cui ho parlato non hanno avuto la sensazione che il film fosse lento o noioso; curiosamente risulta essere addirittura più coinvolgente che i miei film precedenti che duravano molto meno!  (ride)

 

Penso che questa sensazione sia dovuta al montaggio. Direi che questo è certamente un cambiamento importante nel modo in cui costruisco i miei film: mentre prima mi piaceva essere più imprevedibile, interrompere – in modo quasi gratuito – una scena,  giocare con dei ritmi irregolari, a-ritmici, in Historia de la meva mort ho sentito la necessità d’imprimere al film uno stile organico.

Se fai attenzione, anche il ritmo va disintegrandosi sempre di più con l’avanzare del film; soprattutto nel corso dell’ultima mezz’ora tutto é molto più astratto ed il montaggio a sua volta è molto più brusco ed immediato. Questo trattamento estetico corrisponde alla presa di controllo sempre più possente di Dracula nel film, della mente di Dracula o forse, in fin dei conti, di quella del regista stesso!  (ride)

 

Historia de la meva Mort è un film d’atmosfera; il terrore sorge in modo quasi inavvertibile…..

 

L’impercettibilità di cui parli è dovuta soprattutto all’ambiguità che circonda il male; si tratta di un male latente, astratto.

Le intenzioni di Dracula e le sue dichiarazioni restano nebulose all’inizio e non lasciano per forza presagire il peggio. Nel primo dialogo fra Dracula e la figlia maggiore del contadino, dopo il morso fatale, Dracula chiede alla ragazza:“Non ti senti diversa? Non senti come tutto si è aperto in te?” Poi, quasi inaspettatamente, aggiunge: “Adesso potrai finalmente avere dei figli….”  

Questa ‘apertura’, a cui si riferisce Dracula, ha a che vedere con la percezione, con il male in sé o può significare anche qualcosa di positivo?  In un primo tempo non è chiaro, poi però tutto vacilla e la situazione alla fine precipita.

 

Alla fine le tenebre e il male trionfano, perché?

 

Dopo avere visto il film, un caro amico ha trovato una formula molto riuscita per descriverne il senso, mi ha detto:  “Historia de la meva Mort è un film sulla bellezza dell’orrore ma anche sull’orrore della bellezza!”  Riflettendoci un po’ su, ho migliorato questa definizione brillante e certamente pertinente. Per me il soggetto del film è l’ingiustizia della bellezza ma anche la bellezza dell’ingiustizia!

Non sono sicuro che questa frase tocchi il cuore della pellicola ma certamente ne coglie un qualcosa di essenziale.

 

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