Martedì scorso in occasione della visita a Milano dell’amministratore delegato di Fnac François-Henri Pinault, i lavoratori italiani del noto marchio francese hanno deciso di proclamare uno sciopero nazionale.

Sin da quando è stata annunciata la quotazione in borsa della società che controlla la grande catena di negozi specializzati in musica, video ed elettronica di consumo il futuro di oltre 600 dipendenti è praticamente segnato.

Ormai pare certo infatti che il gruppo che fa capo alla holding Pinault-Printemps-Redoute abbondonerà del tutto il campo della vendita di prodotti culturali a basso costo per concentrarsi esclusivamente sugli articoli di lusso e lifystile.

Spaventa il modo con cui l’azienda ha smesso di comunicare con i propri dipendenti in merito agli sviluppi così drastici della loro collaborazione e la facilità con cui un grande gruppo può decidere di lasciare sulla strada e in blocco tante persone oltre che i suoi piani di investimento in un paese intero.

Pare che abbiamo appena smesso di rimpiangere l’epoca dei piccoli negozi specializzati come quelli descritti da Nick Hornby e già siamo sul punto di salutare anche la fase dei grandi Megastore multiprodotto.

Non sappiamo quale sarà la prossima soluzione che offrirà la globalizzazione per la distribuzione di libri e dischi, gli effetti della crisi e le conseguenze del libero mercato però continuano a palesarsi in modo univoco e robotico contro la cultura o ciò che rimane di essa.

La chiusura di Fnac in Italia comunque si pone sempre più nell’ambito di quella tendenza profetizzata anche da Bauman e che vede scomparire lo spazio sociale inteso come Agorà del confronto e della condivisione, persino dentro un centro commerciale. Un territorio che venga privato di spazi pubblici anche per parlare di musica o letteratura offre scarse possibilità perchè le norme vengano discusse, i valori messi a confronto e perchè ci siano scontri e negoziati.

In un momento di crisi totale l’esperienza del noto gruppo francese in Italia non è che l’ennesima conferma di come continuare a impostare i parametri di valutazione della nostra società sulla crescita esponenziale e senza limiti sia impraticabile e irresponsabile.

Il fatto che nei report di vendita di molti negozi sparsi sul territorio gli incassi che gravitano intorno al pareggio rispetto all’anno precedente siano sempre evidenziati in rosso nei grafici preimpostati delle aziende la dice lunga su come viene accolto ogni risultato che non sia il sorpasso costante e definitivo.

Alla luce degli ultimi eventi incoraggia in ogni caso come i dipendenti Fnac stanno reagendo ad un destino apparentemente ineluttabile.

Parallelamente alle mosse ufficiali e istituzionali del sindacato infatti molti lavoratori si stanno organizzando e muovendo autonomamente in rete grazie anche ai Social Network riuscendo ad ottenere una serie di attestati di solidarietà impressionanti.

Davide uno dei ragazzi che segue il gruppo su internet Salviamo Fnac ci ha confermato che a pochissimi giorni dall’avvio della stagione delle vendite natalizie ancora non è stata minimamente pianificata la programmazione negli ordini che di solito si segue in questo periodo né il reclutamento degli stagionali che sotto le feste generalmente implementano la forza lavoro nei punti vendita.

Un disarmo così eclatante suona stridente in una realtà che inizialmente in Francia era si era costituita con una forte impostazione marxista e a sostegno dei lavoratori. Fnac stava per Federazione Nazionale dell’Acquisto per i Quadri.

Attestando piena solidarietà ai 600 dipendenti a rischio non possiamo che augurarci che presto la crisi faccia il suo corso e che quantomeno non finisca per essere sempre usata come un alibi che aiuta a non discutere d’altri temi, come la scarsa attività di ricerca svolta in proprio dalle imprese e della quota minima di fondi realmente spesi in attività di formazione dei dipendenti sul totale del bilancio.

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