Non so se siamo ancora pronti ad assistere alla versione cinematografica del romanzo Submarino di Jonas T. Bengtsson.

Abbiamo visto tutti più volte e all’età sbagliata il seminale Amore tossico, ma il realismo distaccato e camusiano della discesa disperata in una simile aridità esistenziale fa veramente male. Non osiamo nemmeno immaginare come possa aver rielaborato il tutto sul grande schermo Thomas Vinterberg, il regista danese celebre per Festen. La distribuzione in Italia del film in questione sembra sia al momento ferma, nell’ultimo anno però è come se tutta una serie di altre interessanti produzioni nostrane tenessero viva con forza l’attenzione su un certo tipo di tematiche legate alla tossicodipendenza e a l’uso di eroina.

A parte il caso letterario di Antonella Lattanzi con Devozione, infatti non possiamo non segnalare Ad ogni costo di Denis Malagnino, di cui abbiamo già parlato bene in occasione della presentazione fuori concorso nell’ultimo Festival di Roma e Il Sesso aggiunto opera prima di Francesco Antonio Castaldo.

Nonostante alcune vistose carenze di fondo l’esordio del regista partenopeo si caratterizza a suo modo, infatti, per l’originalità con cui viene impostata la forma (e il manierismo) del tutto.

A prescindere dai capisaldi del genere, come Amore tossico o Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, tutto il filone dei film basati sulle vicende di eroina ci hanno sempre colpito per l’iniezione di realismo e le immersioni in un linguaggio scarno e di strada di cui sono forieri.

Castaldo in un certo senso segue la strada opposta, partendo dai volti degli attori, il livello di dialoghi e l’articolatissimo percorso di autoanalisi del protagonista (il bravo Giuseppe Zeno) si assesta in un profilo aulico e  così raffinato che paradossalmente quasi stride nel contesto filmato di una devozione così viscerale e degradante come quello dei tossicodipendenti per l’eroina. Se vogliamo azzardare un paragone letterario se Ad ogni costo di Malagnino può essere benisimo paragonato agli slanci carnali ed essenziali di Pasolini o Hubert “Cubby” Selby, JrIl sesso aggiunto potrebbe ricordare l’eloquenza e la prolissità di Thomas Mann. Il che è tutto dire.

Va detto a favore di Castaldo, che una certa formalità nel linguaggio e nello sviluppo della storia si associa anche ad una raffinatezza nella regia, per quel che riguarda l’uso dei flashback o la temporalità disorganica nelle frequentazioni del protagonista con i personaggi della sua memoria o con i suoi alter ego che è del tutto inedita nel filone di genere.

Il problema di fondo forse è che tutta la carica della struttura d’insieme mal si regge sul messaggio finale e la soluzione ultima del film volto a sbandierare in una forma un pò banalotta che è l’Amore, l’unica cosa che può salvarci dal male.

In generale se Castaldo avesse limato appena un pò di più l’enfasi nel suo slancio estremo all’autoanalisi esistenzale ( la scena dei ragazzini che cercano di elaborare analiticamente i motivi che li spingono a gettare i sassi dal cavalcavia è insopportabile) avrebbe potuto realizzare un’opera prima decisamente interessante.

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