Ho 17 anni e non amo molto parlare. Sono un anarchico, odio la guerra, la politica e la religione organizzata. I miei dicono che sono un asociale perché non voglio andare all’università. Non ci voglio andare perché non voglio essere indottrinato. Mi bastano le idee che ho. Amo leggere e passare le giornate in campagna da mia nonna. Per questo sarei un disadattato?

È così che si presenta James, giovane newyorkese, protagonista di Un giorno questo dolore ti sarà utile, presentato all’ultimo festival di Roma, film “americano” ma con una firma italianissima, quella di Roberto Faenza. Dopo aver sperimentato, durante una gita scolastica a Washington, il suo completo disadattamento al mondo e ai comportamenti omologanti che impone, i genitori si convincono che James abbia bisogno di uno strizzacervelli. Strano, perché la sua famiglia non può propriamente essere definita “normale”: la madre Marjorie, ha una galleria d’arte che espone bidoni della spazzatura e nel frattempo passa da un marito all’altro; l’ultimo, Roger, giocatore compulsivo, l’ha abbandonato in viaggio di nozze; il padre Paul è ossessionato dall’avanzare del tempo, esce solo con donne giovani e si sottopone a interventi di chirurgia plastica; la sorella Gillian, invece, ha una relazione con un uomo che potrebbe essere suo padre e prepara, a ventitré anni, il suo libro di memorie. L’unica che sembra comprendere ed esaltare la sua “diversità” è la nonna, Nanette, allegra e anticonformista. James, spaesato in questo mondo di pazzi che lo considerano (proprio loro!) un diverso, riuscirà, grazie a errori e tentativi e al sostegno della life coach Rowena (la Lucy Liu di Ally Mc Beal), a superare certe involuzioni del suo carattere e a capire che non c’è nulla che non vada in lui: l’unica cosa da fare è capire chi vuole essere e perseguire quest’obiettivo con tutto se stesso, tanto da poter dire, alla fine del film, “Se io sono un disadattato, allora gli altri cosa sono”?.Festival di Roma 2011 Un giorno questo dolore ti sarà utile Roberto FaenzaNovantotto minuti sul nulla. Tanto impiega Roberto Faenza per spiegarci quanto sia importante difendere orgogliosamente la propria diversità e il proprio desiderio di non omologarsi agli stilemi imperanti della società occidentale, realizzando purtroppo però, un prodotto che ha la saggezza dei biscottini della fortuna dei ristoranti cinesi e che tanto ricorda serie americane alla Dawson’s creek. E per farlo vola nientedimeno in America, ventotto anni dopo il piccolo cult Cop Killer; si affida a un romanzo di grande successo, pubblicato nel 2007 addirittura in Italia prima che negli Stati Uniti; ingaggia un cast di bravi attori, tra cui spiccano il Stephen Lang di Morte di un commesso viaggiatore e Avatar e la Ellen Burstyn de L’esorcista, Amarsi e W; sceglie musiche di gran pregio, quelle di Andrea Guerra (che ha musicato la maggior parte dei film di Ozpetek) e la voce, splendida, di Elisa. Cosa ne viene fuori? Un film tanto godibile e patinato, quanto vacuo e solido come può esserlo un fiocco di neve che si scioglie a terra. Troppo fragile l’impalcatura su cui il film si regge, personaggi delineati con poche pennellate superficiali, situazioni risibili al limite del ridicolo, estrema frettolosità nell’evoluzione di James, a cui bastano un paio di corsette a Central Park con la deliziosa Lucy Liu per arrivare alla verità assoluta. Parole su parole che rimbombano con la stessa vacuità dei refrain dello yoga praticato dalla madre di James, sul quale il ragazzo (e il regista) sembrano ironizzare: della serie “il passato non può condizionare il futuro”… oppure le parole della nonna “alla fine della tua vita devi chiederti due cose: se hai vissuto pienamente e se hai imparato ad amare”. Belle parole che riecheggiano però come slogan, e che nascondono il vuoto di senso che c’è sotto. Non ci crediamo, non ci crediamo nemmeno per un secondo.

Proprio in occasione del festival, Faenza aveva sottolineato la valenza rivoluzionaria del personaggio di James, che con il suo deciso NO al mondo e alle sue regole, rappresenta una sorta di antesignano degli indignados di oggi. Tutto vero, tutto condivisibile. Ma non riusciamo a cogliere altrettanta sostanza nel passaggio dalla parole alla pellicola. Meglio il Faenza pensiero che il Faenza regista? Può darsi. Nel frattempo una riflessione merita un’altra sua frase a proposito della esperienza registica americana: “tutta l’organizzazione era cosi perfetta, gli attori così bravi e pronti, tutta la macchina funzionava talmente bene, che a un certo punto ho pensato, che devo fare io, che ci faccio qui?”.

Purtroppo Roberto, ce lo siamo chiesto anche noi.

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