padhulaSe il film di Gondry, nonostante la distribuzione Bim, è candidato a vincere il "Remare contro Film Festival" o il "Festival cinematografico della zappa sui piedi" che dir si voglia (vedi la recensione di Be kind rewind di Sergio Ponzio), Tropa de elite è in lizza per un premio alla migliore, furbetta e maliziosa, strategia di marketing di questo primo semestre 2008.
Sbarcato in Europa come il dvd pirata con maggior smercio sul mercato nero brasiliano dove, secondo una ricerca mirata, è stato venduto in oltre 11 milioni di pezzi, il film di Padilha è giunto al 58° Festival di Berlino praticamente in seconda visione. Handicap che la magia del cinema ha trasformato in pregio e che non ha impedito alla giuria presieduta da Costa Gavras di assegnare a Tropa de elite l'Orso d'Oro.
Una scelta in fondo coerente con le politiche delle ultime edizioni che non hanno risparmiato riconoscimenti alle nuove forme spettacolari del linguaggio cinematografico, come nei casi de La sposa turca o U-Carmen solo per rimanere agli Orsi.
Forte del marchio DOC della berlinale, la distribuzione Mikado ha accompagnato l'uscita in sala del film con l'allegro sottotitolo "gli squadroni della morte", triste strizzata d'occhio agli amanti del morto per finta, del morto ammazzato, del sangue e del botto. Curiosamente, negli stessi giorni la Lucky Red sta distribuendo un altro film brasiliano, L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza, opera di tutt'altra pasta, ma scritta ancora da Braulio Mantovani, già sceneggiatore di Padilha e pure di Walter Salles per il suo ultimo Linha de passe presentato a Cannes. Uno scrittore di cinema quarantenne da seguire con attenzione.
In realtà, Tropa de elite sembra un classico film d'azione impostato sul "Grande Tema" sociale, un ever green dell'attualità, la cosidetta annosa questione della favela, ormai parte del nostro immaginario collettivo del Brasile quanto il calcio e il carnevale. Un marchio di infamia come il fiore di giglio di Milady ne I tre moschettieri di Dumas: la favela sta al Brasile come la mafia sta all'Italia.
Ma il Grande Tema della favela è anche un passpartout politico che da sempre schiude le porte del vecchio continente. Lo sanno bene gli sceneggiatori del film, Braulio Mantovani e Rodrigo Pimental che, insieme a Jose Padilha, hanno "sfruttato" l'ambiente del sottoproletariato urbano di Rio come sfondo su cui inscenare una piccola guerra di classe carioca su tre livelli: sottoproletari, appunto, piccola borghesia, borghesia (trafficanti di droga, sbirri, studenti consumatori di droga).
Dei tre, Braulio Mantovani era già stato artefice del successo di Città di Dio, passato a Cannes nel 2003 e distribuito sempre da Mikado sul mercato italiano. Film apparentemente simile per ambienti a Tropa de elite, ma terribilmente diverso nella forma e nelle scelte di regia. Per come lo ricordo oggi, City of God appartiene più al genere degli exploitation movie. Lì, la favela era il microcosmo dove il polverone della violenza trasfigurava adulti e bambini nelle caricature di se stessi e alla fine nella piacevole sarabanda i personaggi del film erano divenuti personaggi di un fumetto.
Il film di Josè Padilha è invece organizzato in due zone narrative nettamente distinte: dalla scena iniziale si torna indietro di sei mesi per poi tornare esattamente al punto di partenza (con le scene ripetute da altre angolazioni) all'incirca a metà film. Di qui la storia prende un nuovo avvio e prosegue: l'addestramento è la zona catartica che prepara alla vorticosa discesa finale.
La prima parte ha un ritmo più concitato della seconda e qui si definiscono già i caratteri del protagonista e degli antagonisti che saranno poi condotti al loro destino nella seconda parte. La sceneggiatura giustappone le figure del capitano Nascimiento (Wagner Moura) e quelle di Matias (Andrè Matias) e Neto (Caio Junqueira) senza manicheismi: essi rappresentano, anzi, punti di vista ragionati e complementari. Allo spettatore è lasciata la facoltà di identificarsi ora con l'uno ora con l'altro. Sia nella prima parte che nella seconda, ma più nella prima e specie nella scena iniziale poi ripetuta, il film lascia vivere momenti di puro spettacolo in cui si balla al ritmo della musica e delle pallottole, contemporaneamente.
Tropa de elite orchestra armonicamente superficie e profondità, i momenti in cui il film ti scivola addosso e i momenti in cui devi prendere posizione nella storia. Si è corso, per questa produzione, il rischio che tutti i film sono tenuti a correre se vogliono vendere: si può parlare di tutto purchè tutto faccia spettacolo. Come per il nostro Divo Giulio, ad esempio.
Il soggetto del film è un libro scritto da un antropologo e da due poliziotti del BoPe, il corpo di elite del titolo, il cui stemma è il vero e proprio logo commerciale della pellicola. Un materiale realistico del quale Padilha ha rinunciato a farne un documentario, come fece invece per Onibus 174, la storia del bus 174 e dei suoi passeggeri sequestrati in pieno centro a Rio de Janeiro, e ne ha tratto invece il suo primo film di finzione in equilibrio tra genere classico e cinema-show.
Pur riconoscendo al film il merito di aver sollevato nella società brasiliana un dibattito etico sul concetto di legalità in situazioni estreme, credo che per Tropa de elite non si possa parlare di un cinema di impegno civile. Credo invece che l'Orso d'Oro di Berlino sia un riconoscimento sul piano del linguaggio, all'interno di un cinema di genere. (Per politica e etica civile si veda piuttosto l'Orso d'Argento a Errol Morris, decano dei documentaristi americani, per Standard operating procedure).

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