A qualche mese dalla scomparsa , pubblichiamo un’intervista inedita di Fabrizio Funto’ al compianto Rutger Hauer rilasciata in occasione dell’uscita del film Il futuro di Alicia Scherson 

 

D)Cosa l’ha coinvolta ed interessata maggiormente nel ruolo che ha recitato ne “Il Futuro” di Alicia Scherson?

R) Beh, la storia era molto bella. Io l’ho letta in Tedesco perché non era disponibile altra traduzione. La regista voleva essere molto fedele alla storia, e per questo mi ha chiesto una particolare attenzione al ruolo. Il personaggio doveva essersi “perso” — da una parte — ma dall’altra doveva essere molto positivo.

D) Ho letto che ha dovuto forzare la volontà della regista, perché aveva un’idea diversa del suo personaggio. È vero? Un uomo della sua età, che ha una storia d’amore con una giovane donna… Ha bisogno di essere gentile, ha bisogno di un tocco di grazia, di delicatezza…

R)No, non c’è stata forzatura, ma come sempre accade fra un regista ed i suoi interpreti, ci sono delle esigenze o dei punti di vista diversi: quando dai vita ad un personaggio devi trovare la tua via per dare una interpretazione del suo ruolo nella storia. Ne abbiamo discusso a lungo, ci siamo confrontati per un anno e mezzo, direi.Diciamo che eravamo su percorsi differenti, ma non necessariamente divergenti. Poi, la mia parte è importante ma è un ruolo secondario.Avevo un certa idea della relazione con il personaggio principale, più calda e più ricca che nella storia. In tre punti il mio personaggio chiede a Bianca di dirgli quanti anni aveva. E alla sua risposta: “18” — diciamo che ci crede e non ci crede. E allora ho tentato di focalizzarmi sui tanti piccoli demoni che ti possono assalire in quelle situazioni, dando loro corpo e volto.

D)È d’accordo con Variety quando scrive che lei ha tentato di dare una interpretazione “evocativa”?

R)Probabilmente quando ti esprimi recitando il ruolo, risenti degli echi delle tue esperienze. Sono molto contento, infatti, che questo aspetto sia stato valorizzato al Soundance Film Festival. Ritengo che “IL FUTURO” sia un film molto bello, bellissimo. Ma richiede un’attenzione particolare del pubblico — e dei festival che lo dovrebbero sostenere. Siamo contentissimi dell’accoglienza che ha avuto al Soundance ed io sono in particolare molto contento di avervi partecipato.

D) E’ vero che lei non si è mai considerato un attore, che non ha mai preso seriamente la sua professione?

R)Si, guardi: ho iniziato la mia carriera interpretando parti in film olandesi e tedeschi, e poi mi sono trasferito a recitare in paesi di lingua anglosassone, dove la mia conoscenza della lingua non era ancora perfetta. Ho iniziato nel 1969 e nel 1985, dopo una trentina di film, non mi sentivo ancora del tutto un attore. Non vedevo la mia carriera come qualcosa di concreto e solido. Ma poi è successo qualcosa che mi ha cambiato, facendomi anche molto piacere.

D)Come mai si è specializzato nei ruoli dell’antagonista cattivo: un terrorista tedesco, un replicante, un autostoppista psicopatico? Le piace indagare il lato oscuro dell’essere umano?

R)Non interpreto ruoli predeterminati, ma cerco di interpretare l’uomo che può trovarsi in quelle situazioni. Cioè non il killer psicopatico, ma l’uomo che potrebbe trovarsi nella situazione di tramutarsi in un killer psicopatico. D’altra parte ho interpretato una tale varietà di ruoli nei miei film, che devo dire di essere piuttosto soddisfatto dei titoli in cui compaio. Non mi convince la specializzazione. Mi convince la vita. Poi, sa, la parte oscura della personalità è quella nascosta, quella su cui si scrivono le storie perché la parte pubblica, chiara ed evidente è quella che conosciamo tutti. Un film è pur sempre un film, ma la vita ha caratteri — se vuole — più scuri e più chiari delle storie che rappresentiamo al cinema.

D)Negli Usa continuano ad offrirle ruoli alla Schwarzenegger…

R)Tranne il ruolo ne “Il Re Scorpione 4” saranno sei o sette anni che non interpreto più ruoli in film con produzione americana. L’ultimo risale al 2005, credo.

D)Parlando con lei, non è possibile evitare di parlare di Blade Runner: cosa rappresenta quel film per lei? Come è cambiata la sua vita dopo quel film?

R)È quello che le dicevo prima, forse non è stata una vera svolta per la mia carriera, ma mi ha cambiato molto internamente, come persona. Sarà stata la mia seconda o terza interpretazione in lingua inglese, e nelle precedenti non mi sentivo ancora a mio agio, libero di interpretare alla mia maniera i personaggi che mi assegnavano. Ma Blade Runner mi ha dato quella libertà, quella confidenza in me stesso, perfino quel piacere che mi ha accompagnato poi per gli anni successivi — che sono molto importanti per un attore. Ecco: dopo Blade Runner, ero finalmente sicuro di essere un attore.
Ricordo un fatto in particolare, che per me è stato fondamentale. Parlando con Ridley [Scott, il regista di Blade Runner] lui mi diceva che ogni cosa, ogni elemento, ogni spunto originale che potesse far sembrare il replicante che interpretavo — per così dire — più umano degli umani, sarebbe stato ben accetto. Qualcosa che gli desse il senso della vita, così come neanche gli uomini la vivono. E l’occasione è venuta proprio nella scena della morte del mio personaggio, che tutti ricordano. Ho interrogato il mio senso poetico, il mio cuore, e mi son chiesto quali pensieri potevano affollare la mente di un replicante nel momento in cui sentiva che le sue batterie lo stavano abbandonando per sempre. E li ho scritti. Lui aveva solo una riga di testo, un istante, per far comprendere quale potesse essere la vita di un replicante. E quando sono salito sulla scena, ho dovuto creare il silenzio, con la mia recitazione, per far cadere come pietra quel verso: “come lacrime nella pioggia”.

D) Può darmi una definizione dei grandi registi con cui ha lavorato? Ermanno Olmi, Sam Peckinpah, Lina Wertmuller, Paul Verhoeven, Ridley Scott.

R)Le dirò solo che se il primo punto di svolta nella mia vita è stato Blade Runner, il secondo è stato sicuramente il film che ho interpretato per Ermanno Olmi ne “La leggenda del Santo Bevitore”. Ed ho detto tutto.

D)E la sua attività di “film maker” come va’?

R)Ho una casa di produzione che fa dei workshop con nuovi registi, e ci occupiamo di documentari o short movie. È un lavoro difficile, sempre a caccia dei fondi necessari per promuovere questi film. Anzi, mi piacerebbe poter venire in Italia e proporre i miei progetti. Potete trovare tutte queste attività sul mio sito www.rutgerhauer.org, è sempre aggiornatissimo. La mia attività in questo senso non è quella di fare il produttore hollywoodiano, ma di cercare delle storie e di produrre alcune perle di innovazione.

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