il rosso e il blu giuseppe piccioni riccardo scamarcioMeglio esser chiari: la scena in cui Roberto Herlitzka dà una lezione di recitazione a Riccardo Scamarcio vale da sola il prezzo del biglietto di Il rosso e il blu, il nuovo film di Giuseppe Piccioni da venerdì nelle sale. L’anziano professor Fiorito (Roberto Herlitzka) sfida il giovane supplente Prezioso (Riccardo Scamarcio) a ricordare e recitare a memoria il Pianto antico di Giosuè Carducci: comincia Fiorito/Herlitzka, Prezioso/Scamarcio accetta la sfida e vorrebbe proseguire nella declamazione dei versi, prende la parola, ma, dopo mezza quartina, Fiorito/Herlitzka lo taccia di drammatizzare i versi, di non scandire il metro, lo zittisce e conclude la poesia del Carducci cadenzando le sillabe. Perchè l’importante è il ritmo, non il contenuto.
 
Il rosso e il blu, lo Yang e lo Yin. Il rosso è il giorno, il sole, il calore, l’uomo, l’azione, la sinistra, l’estate, la primavera. Il blu è la tenebra, la luna, il freddo, la passività, il riposo, la destra, l’inverno, l’autunno. Il bene e il male. Il film di Piccioni, ispirato all’omonimo libro di Marco Lodoli, non è così taoista e non vive di contrapposizioni così marcate, nette; ma certamente il film funziona bene e fa ridere quando i due opposti, il realista e l’idealista, il vecchio professore di storia dell’arte disilluso (senza mai essere stato illuso), disincantato scettico e cinico versus  il giovane supplente di letteratura pieno di energie e di attenzioni per i suoi alunni, si affrontano e si scontrano sul campo, nei corridoio e negli androni di una scuola pubblica di Roma, nella sala professori, al cambio dell’ora. Si ride quando i due contendono dialetticamente, dibattono sul mondo, sui giovani, sulla scuola pubblica: visione classica, in senso di razionalità più che di bellezza, e visione romantica. Lo spiega bene il professor Fiorito in una lezione su classicismo e romanticismo.
 
Ritmo e non contenuto dicevamo. Concentrarsi sulla polarizzazione dei personaggi protagonisti; circondarli di bravi caratteristi come la professoressa di scienze in debito di autostima (interpretata dalla brava Elena Lietti, presto in teatro a Roma con due spettacoli di Filippo Timi) o lo studente impunito e simpatico; guidare lo spettatore con una voce narrante ironica ed affabile. Quando la sceneggiatura e il montaggio funzionano, lo spettatore non chiede altro al suo film. E Il rosso e il blu funziona bene tra le mura della scuola, quando è un film corale e tutti i personaggi si confrontano. Funziona meno, e peggio, quando si apre all’esterno in cerca di qualcosa che non trova, quando i toni comici lasciano spazio a quelli drammatici, quando le linee di racconto si moltiplicano, divergono, e storie come quella della sedicenne sbandata che plagia il bravo scolaro rumeno trovano spazio nella narrazione ma senza aggiungere nulla di positivo al gioco d’insieme. Bravo a inquadrare gli studenti tra i banchi, Piccioni cede a qualche clichè quando mostra gli adolescenti nei centri commerciali. La storia della preside interpretata da Margherita Buy è invece la positiva e riuscita figura che coniuga e congiunge il rosso e il blu, “il dentro e il fuori”, l’idealismo e il pragmatismo dell’istituzione. “Noi ci occupiamo solo di ciò che accade dentro”  rimprovera Giuliana/Buy a Prezioso/Scamarcio. Ed è però lei, donna e non madre, a cedere, ad abbandonare la freddezza dei ruoli in favore di un rapporto di tiepida umanità con un ragazzo in debito di affetto.
 
La posizione del regista, ripetutamente ribadita nelle interviste, di voler girare un film in una scuola (romana), a partire dal libro di un professore (romano), e non un film sulla scuola pubblica italiana, è perfettamente condivisibile (nonostante si veda brevemente la preside portare da casa la carta igienica per i bagni). Di fronte al processo alle intenzioni, preferiamo aprire un discorso sulle aspettative degli spettatori, spesso troppo mediaticamente determinate. Per il film di Marco Bellocchio i grandi quotidiani nazionali hanno dibattuto e polemizzato, estimatori e non, calcando troppo sulla questione eutanasia e poco, anzi tralasciando e latitando, sul come questo o quel tema venivano cinematograficamente posti. Il discutere di cinema parlando solo di ciò che nell’inquadratura cinematografica entra come sfondo, come ambiente, come punto di partenza, ha nuociuto a Bella addormentata nel contesto del concorso veneziano e, di riflesso, nella sua riuscita commerciale (parliamo, ad oggi, di circa 863.000 euro di incassi dall’uscita in sala contro, ad esempio, i 3 milioni di Prometheus nel solo week-end). Piccioni sembra (giustamente) preoccupato che al suo Il rosso e il blu possa accadere qualcosa di simile: già il voler essere senza essere engagè può voler dire rimanere fuori dalla kermesse veneziana (tralasciando e ignorando gli intrighi di corte); peggio sarebbe creare aspettative di denuncia sociale, tipiche di una certa sinistra frustrata, attorno a una commedia che di politico, per sua stessa natura, ha ben poco.
L’incuria delle platee per il cinema, per lo specifico filmico, per il linguaggio cinematografico, è qualcosa di cromosomico, querelle intellettuali con poco appeal commerciale sfrattate anche dalle pagine culturali. Nulla di cui meravigliarsi. Ma, proprio per questo, da bravi autori di cinema come Giuseppe Piccioni ci aspettiamo in ogni caso di più. Il rosso e il blu, nonostante alcune ottime sequenze (la visualizzazione della vita erotica del professor Fiorito; l'arrivo dei parenti nella camera d'ospedale del piccolo Brugnoli) vive troppo di primi piani e mezze figure, di dialoghi in campo/controcampo, lasciando poco respiro alle inquadrature e lasciando, soprattutto, insoddisfatto il desiderio basilare del cinema di genere: quel misto di canone e di infrazione della regola, di ripetizione della norma e sorprendente variazione della stessa; due nature opposte che, come il rosso e il blu del Tao, vivono l'una dell'altra, si fondono e si contrappongono all'infinito, alla ricerca di quel sottile autocompiacimento che è il gioco del cinema. 
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