A Parigi una volta alla settimana, in un caffé nella zona della Bastiglia, Alejandro Jodorowsky si mette a disposizione del pubblico per praticare l’arte divinatoria dei tarocchi. Ammiratori ed adepti vi accorrono da tutte le parti del mondo per trovare il loro cammino spirituale. Figura culto e nume tutelare per varie generazioni di artisti, soprattutto in America Latina, Jodorovsky, inaugura con la sua presenza la seconda opera del regista bulgaro Kamen Kalef, The island, presentato in concorso alla Quinzaine des Réalisateurs.

Nella prima scena del film di fronte a Jodorovsky c’è un giovane uomo, Daneel, desideroso di sondare il fondo della sua anima. “Apriti al mondo, puoi essere chiunque tu voglia, le tue possibilità sono infinte, ascolta la voce del cuore e dimentica quella della mente!”, gli dice il vate. Daneel sceglie una carta; è la carta del pazzo che simbolizza la capacità di dimenticare e di evolvere costantemente, senza memoria e senza legami, in piena libertà.

Un incipit di questo tipo non può che creare delle grandi aspettative. Kamen Kalev aveva esordito alla Quinzaine due anni fa con Eastern Play, un film intenso che aveva fatto scalpore. Ambientato nella periferia di Sofia, con un forte tocco documentario, Eastern Play metteva in scena il conflitto fra due fratelli ai margini della società: Itzo, un artista travagliato e tossicodipendente e Georgi, membro di un gruppo di estrema destra, ma era soprattutto un ritratto straziante di Itzo alla ricerca del senso della propria esistenza. Nel suo nuovo film, Kalev riprende questa stessa tematica di fondo – il risveglio del sé, la definizione della propria identità –  ma l’approccio che ce ne fornisce è radicalmente diverso: The island è un laboratorio di idee dove i contenuti glissano e si mescolano in un pot-pourri oscillante fra il sublime e l’assurdo, la poesia e la trivialità, l’introspezione psicologica e la superficialità. Da un punto di vista stilistico The island mantiene un linguaggio uniforme e coerente  dall’inizio fino alla fine – fotografia netta e luminosa, immagini ben inquadrate, scenografia molto curata – la peculiarità del progetto si manifesta al livello della sceneggiatura.

Un riassunto della trama risulta necessario per chiarire meglio i propositi del film. The island inizia come una storia romantica a sfondo vagamente sociale. Daneel é un giovane professionista straniero che vive a Parigi, da quattro anni ha una storia d’amore con la dolce ed eterea Sophie, interpretata da Laetitia Casta. Per le vacanze Sophie decide di organizzare un viaggio-sorpresa in Bulgaria ma questa scelta sembra irritare oltre misura il suo compagno. Al loro arrivo, Daneel, interpellato proprio all’aeroporto da un matto di passaggio, gli risponde  correntemente in bulgaro. Sophie casca dalle nuvole e Daneel è costretto a confessarle di essere cresciuto in un orfanotrofio in Bulgaria… Dopo una giornata deludente su una spiaggia sovraffollata, Daneel propone alla sua ragazza di passare qualche giorno su una piccola isola dove andava da bimbo. Sophie, sempre tenera ed affettuosa, accetta di buon grado le condizioni alquanto spartane dell’unico ostello del luogo: i due amanti passano la loro giornata al mare spensierati e felici di stare insieme.

Ma, a poco a poco, l’atmosfera che li circonda  diventa misteriosa e minacciante. Primo ribaltamento: il romanzo sentimentale si trasforma in un thriller psicologico. Di notte si sentono dei rumori di rissa fra un gruppo di operai che abitano in sito,  una donna dai lunghi capelli rossi si aggira nel cortile e viene molestata da uno di loro. Daneel inizia ad immaginarsi delle cose; crede di avere visto un cadavere nelle acque del porto, ha delle allucinazioni terrificanti sul suo passato, pensa infine che la padrona dell’ostello sia la madre che lo aveva abbandonato. Dopo avere scoperto due test di gravidanza nella borsa di Sophie, Daneel, sempre più turbato, inizia a comportarsi con lei in modo velatamente aggressivo. La situazione si fa sempre più tesa e la ragazza, che è ormai sicura di essere incinta, decide di partire da sola per Parigi.

Nuovo giro di boa: la vicenda prende una svolta mistica ed onirica. Rimasto solo sull’isola Daneel cerca di venire a capo della sua crisi esistenziale. Di notte incontra un fantomatico guardiano di faro che, fra scoppi di risa, gli impartisce di nuovo la stessa lezione di vita: “Liberti dalle catene di te stesso, puoi essere chi vorrai!” Il mattino seguente Daneel si getta in mare dall’alto di uno scoglio, poi si arrampica sulle rocce e si ferma a guardare l’orizzonte. Improvvisamente, sulle orme dell’esperienza mistica del protagonista, ci troviamo nel cuore di un paesaggio meraviglioso, pieno di alberi in fiore.  Al suo ‘risveglio’ Daneel è un uomo nuovo, ha trovato se stesso ed è pronto ad aprirsi al mondo.

Terzo ribaltamento: il film si trasforma in  una satira al limite del grottesco. Mentre sta andando all’aeroporto per tornare in Francia, Daneel vede un bando di concorso per l’edizione bulgara di Big Brother.  Per un colpo di testa decide di presentarsi come candidato nelle vesti di quel pazzo che aveva incontrato il giorno del suo arrivo nel paese e viene selezionato. Dopo alcuni mesi Sophie, che sta per partorire, parte alla ricerca di Daneel in Bulgaria. Al suo arrivo scopre il suo compagno in televisione e, per amore, decide di partecipare a sua volta al gioco. Dal momento in cui i due amanti si riuniscono, Daneel ridiventa se stesso: ormai nelle vesti di un guru mediatico predica davanti alle telecamere i precetti che hanno cambiato il corso della sua vita. Il film si chiude con un finale a sorpresa…

Sulle orme di un insegnamento esoterico, The island spazia fra vari generi così come il suo protagonista glissa fra varie personalità e forme di vita possibili. L’idea di partenza, certamente ambiziosa, sembra essere stata quella di celebrare ed emulare un certo universo artistico e di pensiero, quello di Jodorowsky – ma si potrebbe forse aggiungere anche Arrabal – creando un’opera dal carattere surrealista, provocatorio, dionisiaco e liberatorio, irriverente e dissacrante.

The island è un film molto pensato e accuratamente costruito ma quest’operazione, senza dubbio affascinante ed audace a tavolino, si rivela nella prassi alquanto problematica. L’evoluzione costante fra vari generi, pur susseguendosi in modo organico, avviene a scapito dell’autenticità dei personaggi che sono “schizzati” in modo sommario e superficiale. La scelta di affidare il ruolo del protagonista ad un attore danese, Thure Lindhardt,  che per esigenze di produzione ha dovuto studiare il bulgaro e farsi tingere barba e capelli, contribuisce ad accrescere questa sensazione di artificiosità. Una vera nota di freschezza costituisce invece l’interpretazione di Laetitia Casta, splendidamente naturale e toccante, dalla prima all’ultima scena. Una quantità enorme di soggetti appesantisce oltre modo la trama, già complessa, della vicenda: Kamen Kalev mischia il problema dell’identità con una storia d’amore, la sindrome del figlio abbandonato con il soggetto della paternità, una vaga critica sociale con una satira dei media e del loro potere di manipolazione, il fascino per l’ esoterismo con l’elogio della follia.

Sommerso in una massa eccessiva di intenzioni e contenuti, The island finisce per perdere proprio la sua forza sovversiva. Esercizio di composizione audace
ed ambizioso, saggio cinematografico sul metalinguaggio, l’opera di Kamen Kalev stimola indubbiamente un approccio teoretico, ma riesce a toccarci poco sul piano emotivo e a convincerci ancora meno su quello narrativo.

La reazione del pubblico in sala, un misto fra applausi e fischi, rispecchia fedelmente lo stato d’animo contrastante suscitato dalla visione del film.

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