di Giovannella Rendi / Se un comune denominatore si può rintracciare nella breve ma intensa filmografia di Maren Ade, questo è senza dubbio la fatica del rapporto con gli altri . Che si tratti di due amiche (Der Wald vor lauter Bäumen – t.l. Il bosco degli alberi rumorosi),  di una giovane coppia innamorata (Alle anderen – t.l. Tutti gli altri) , oppure di padre e figlia come in Toni Erdmann, al centro del cinema di questa originale e  talentuosa cineasta tedesca si trova sempre la solitudine dell’individuo e la pulsione alla condivisione per arginare la paura dell’esistenza, cui corrispondono il disagio per una mancata risposta che non può che essere tale, data l’incapacità dell’essere umano imperfetto e a sua volta solo, di esaudire il bisogno dell’altro. Senza mai sconfinare nel melodramma, Maren Ade si limita a tratteggiare con abilità rohmeriana, quindi ingannevolmente semplice, le più banali dinamiche dell’esistenza e della quotidianità, spesso la fatica del lavoro, della noia dei rituali sociali, dei giochi di potere tra uomo e donna, lasciando trasparire a intermittenza l’orrore del vuoto e l’inferno – direbbe Sartre – dello sguardo degli altri. Uno sguardo spesso crudele, giudicante, escludente, anche se chi ti guarda è tua figlia, la tua amica, l’uomo di cui sei innamorata.

I film di Maren Ade, come la vita e come i sogni peggiori, fluttuano continuamente tra commedia e dramma, iniziano con toni leggeri e proseguono avvitandosi in situazioni in cui il disagio (questa decisamente la parola chiave del suo cinema) dai personaggi si trasmette allo spettatore, grazie ad una accuratissima scrittura cinematografica che si incrocia con uno straordinario lavoro con gli attori. Attori molto spesso di provenienza teatrale, in questo caso Peter Simonischek e Sandra Hüller, quest ultima già pluripremiata per la sua interpretazione in Requiem di Hans-Christian Schmidt nel 2009.

Sempre autrice unica della sceneggiatura nonché produttrice, Ade opta per una forma di regia minimalista, che si nasconde dietro alle situazioni e ai personaggi, costituita da piani sequenza alternati ad una camera a mano che segue i protagonisti o li accompagna, facendosi essa stessa personaggio/spettatore. O, meglio, testimone scomodo di situazioni del già citato disagio, di silenzi imbarazzati, bugie, incomprensioni, rabbie sotterranee che ribollono alla ricerca di uno sfiatatoio ma che sono sempre compressi dalle convenzioni, gli obblighi sociali, gli opportunismi, una certa vigliaccheria del rimandare le spiegazioni fino a quando è troppo tardi e si finisce per dirsi le cose più crudeli. Come in Der Wald vor lauter Bäumen, in cui ambiguità e non detto rovinano un’amicizia appena nata e di Alle anderen, in cui una giovane coppia innamorata in vacanza comprende che la perfezione della sua complicità è possibile solo nella più totale solitudine, mentre il confronto con il mondo esterno fa deflagrare le differenze sociali tra i due. È lievemente diverso il caso di Toni Erdmann (grande sconfitto in concorso al Festival di Cannes 2016 e presentato a Roma in sordina nell’ambito dei Lux Film Days del Medfilm Festival e prossimamente in sala con Cinema di Valerio de Paolis), quantomeno perché la regista sceglie di innestare queste sue caratteristiche in una chiave più dichiaratamente di commedia, anche se continuamente in bilico, anzi direttamente in caduta su situazioni drammatiche, congelate nel disinteresse o nell’impotenza dei protagonisti.

Poco importa nei film della Ade il soggetto del film, spesso piuttosto impalpabile e costruito soltanto evocando situazioni e sensazioni: in questo caso un fatto preciso comunque c’è ed è la decisione di un padre di andare a trovare la figlia che lavora a Bucarest e cercare di movimentarle la vita con una serie di trovate surreali, per far sì che non diventi soltanto una cinica donna d’affari che per mestiere licenzia persone come numeri in grandi aziende. Per far questo Winfried Conradi, insegnante di musica piuttosto istrionico e anticonformista sempre con una dentiera finta in bocca anche ai pranzi di famiglia, solo grazie ai denti falsi e ad una brutta parrucca nera decide di trasformarsi nell’uomo d’affari Toni Erdmann e infilarsi nelle riunioni di lavoro e nelle serate mondane della figlia Ines, suscitando in questa panico e disagio, ma invece in tutti gli altri una imprevedibile carica di simpatia. Non si possono riassumere tutti i colpi di scena, le sorprese e le invenzioni di un film che dura peraltro 146 minuti (che volano via senza minimamente accorgersene) senza rovinare il piacere allo spettatore. Basti dire che accanto a questo susseguirsi di situazioni, la regista tratteggia, suggerendola, la situazione economica della Romania di oggi,  con le sue stridenti contraddizioni di ricchezza e povertà, mondo arcaico e moderno, e rappresenta con grande credibilità l’ambiente spietato dei consulenti finanziari e lo squallore delle loro esistenze.

Possiamo solo dire che in questo caso per la figlia Ines, la presenza dell’imbarazzante estraneo si tramuta gradualmente da un fastidio di cui liberarsi, in un sostegno per non precipitare del tutto in un’esistenza cattiva e infelice, o meglio per lasciarsi andare improvvisamente prima con una strepitosa interpretazione di Whitney Huston piena di rabbia (una delle scene più intense di tutto il film)  e poi far saltare in aria tutte le convenzioni con una indimenticabile festa a sorpresa. Il padre forse assente, forse dimenticato e messo da parte, ritorna ad essere Padre archetipico (protezione, accoglienza, mediazione) ma solo e nuovamente attraverso una maschera, che lo avvicina ad un babau, un personaggio da incubo lynchiano, e l’abbraccio mostruoso della bella e la bestia sancisce il ritrovamento di un legame atavico.

Peccato, peccato, peccato che pur avendo a disposizione il finale perfetto, intriso di dolcezza e di dolore, e senza aver sbagliato un colpo fino a quel momento, la regista decida di realizzare una sorta di epilogo assolutamente superfluo per spiegare quello che abbiamo capito benissimo. Perché, Maren Ade? Impossibile che sia un errore casuale, più probabile la decisione di fuorviare ancora una volta lo spettatore congelando la vicenda in una banalità da film americano, che in questo caso potrebbe avere il sapore di un didascalico straniamento brechtiano e ricordarci che il tempo della vita è fatto spesso soltanto di attese.

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3 commenti su “Toni Erdmann – L’inferno (e il disagio) sono gli altri

  1. Bel pezzo, cara amica, non vedo l’ora di vedere il film e magari recuperare anche i precedenti. Oppure, come suggerivi, di farne una proiezione al detour che mi sembra ancora meglio (finalmente una regista).

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