Bouchra Khalili è un’artista marocchina residente in Francia. E’ stata invitata ultimamente a partecipare alla settima edizione di ”Videozoom”, un progetto nato nel 2003 con l’obiettivo di aprire ai paesi emergenti le porte degli spazi culturali italiani. Quest’ultima edizione dedicata al Marocco, curata da Francesca Gallo, è partita dalla Galleria Sala 1 di Roma per proseguire a Bari, Bologna, Frosinone, Milano, Viterbo, Philadelphia (USA). Bouchra Khalili è tra i fondatori della Cinemateca di Tangeri, unico cineclub che nasce nel 2006 per salvaguardare il cinema Rif, uno dei più antichi di Tangeri, una città dove troviamo solamente 3 sale cinematografiche in attività. La Cinemateca è uno spazio adibito a proiettare i film di tutti i generi e di tutti i paesi dove si alternano cicli dedicati al cinema arabo, spagnolo, latino-americano, ai classici del cinema mondiale (in questo momento al periodo tedesco di Lubitsch), festival, matinées per i ragazzi, laboratori di formazione sul documentario per i giovani. Racconta Bouchra: “E’ un progetto che mi sta molto a cuore perchè in questo modo formiamo gli spettatori di domani e forse anche i cineasti di domani.”  

Bouchra, puoi dirci come e quando hai iniziato a lavorare con il video?

Ho cominciato a lavorare con il video nel 2000. Fino a quel momento ero impegnata nella pratica fotografica.

Ho letto però in un’intervista che la tua vocazione iniziale era il cinema.

Considero che la mia vocazione principale sia il cinema perchè sono i film che hanno formato il mio modo di vedere. Per me fare video non significa fare del cinema in miniatura, ma piuttosto interrogare la capacità del medium sulla possibilità di ritrovare una certa essenza del cinema, quella delle sue origini: catturare la realtà nella sua eterogeneità e nella sua complessità. Si tratta di un approccio più sperimentale al linguaggio cinematografico.

Nella stessa intervista citavi il critico cinematografico André Bazin e la sua nozione di “complesso della mummia”, la conservazione delle caratteristiche di quel che l’immagine documenta. Puoi spiegarci cosa intendi?

E’ molto difficile da spiegare, ma questa frase di Bazin mi ha sempre affascinato in ragione di un paradosso essenziale che essa palesa. Un’immagine in movimento è, allo stesso tempo, una traccia, un residuo di realtà e una riesumazione di tale realtà in modo che l’immagine diventa una manifestazione del passaggio del tempo.

Ho saputo che sei tra i fondatori della Cinemateca di Tangeri e credo sia un esperimento importante. Vuoi raccontarci qualcosa a proposito di questo progetto?

Questo progetto è allo stesso tempo molto modesto e molto ambizioso. Si tratta di creare uno spazio dove i film di tutti i generi e di tutti i paesi possano essere visti a Tangeri. Questo progetto è iniziato per salvaguardare il cinema Rif, uno dei più antichi di Tangeri ( la città non ne conta più di 3 in attività). Nel salvare questa sala abbiamo deciso di trasformarla in una casa del cinema. Abbiamo inaugurato nel dicembre 2006. Da allora alterniamo cicli dedicati al cinema arabo, spagnolo, latino americano e classici del cinema mondiale (in questo momento al periodo tedesco di Lubitsch), festival, matinées per i ragazzi (La lanterna Magica) e laboratori di formazione sul documentario per i giovani. E’ un progetto che mi sta molto a cuore perchè in questo modo formiamo gli spettatori di domani e forse anche i cineasti di domani.

Che tipo di differenza trovi tra la video arte e il cinema considerando che trattano entrambe di immagini in movimento?

Non percepisco alcun tipo di differenza. Quello che è importante a mio avviso è realizzare immagini che dicano qualche cosa sul mondo, e soprattutto che rivelino una certa complessità, senza necessariamente cercare di spiegarla, ma almeno che ne producano una rappresentazione. A queste condizioni i criteri di genere mi importano poco. Preferisco situarmi al confine tra molteplici generi, pratiche, per sondarne  i rispettivi limiti.

I tuoi video, a mio parere, sono molto simili ai documentari, sembrano video-documentazioni del mondo, della gente. Sei d’accordo con questa mia impressione?

Il documentario mi interessa molto per la relazione che instaura con la realtà. Registra il reale e documenta il mondo. Anche la sua metodologia mi affascina: filmare e attraversare un territorio diventano un solo e unico gesto. Detto questo non direi che faccio documentari. Quello che mi interessa è partire da una materia documentaria per condurla in una direzione meno determinata, più eterogenea, talvolta irreale o per lo meno strana. La pratica documentaria è anche molto malleabile: permette di produrre delle combinazioni e di estendere le possibilità dell’immagine. In questo senso, potenzialmente mi sembra una pratica che favorisce la sperimentazione.

La particolare esplorazione dello spazio urbano in alcuni tuoi video come Napoli centrale, Vue Panoramique, Vue Aérienne sembra trovare il senso dell’umanità senza la presenza umana, senza alcun specifico protagonista. Puoi raccontarci qualcosa di questi video?

E’ vero che non filmo mai i visi o i corpi, che sono sempre assenti, ma allo stesso tempo, sono presenti nel sonoro, o nelle articolazioni all’interno delle immagini. La ragione: non saprei spiegarla con precisione. Posso soltanto dire che gli spazi urbani mi interessano come sintomo di uno stato del mondo, e soprattutto come spazio di risonanza, di proiezione aperta all’immaginario. I corpi possono essere quindi assenti dall’immagine ma fortemente presenti in un’altra dimensione dell’immagine che il suono, la voce, i linguaggi mi aiutano a creare.

Puoi raccontarci qualcosa in più di Napoli Centrale?

Napoli Centrale è uno dei primissimi video che ho realizzato. L’ho girato a Napoli, una città che amo enormemente e alla quale sono attaccata da molto tempo. La prima volta che sono stata a Napoli ho avuto la sensazione di esserci già stata, di conoscere questo ambiente. La mia intenzione nel girare questo video è stata in qualche modo di “delocalizzare” Napoli, di farne un territorio immaginario dove ho introdotto luoghi e storie diverse.

I dialoghi in Vue aérienne sono tratti da Die Dritte Generation, un film di Fassbinder. Puoi dirci perché e quali sono i punti principali del dialogo che hai utilizzato per il tuo video?

Fassbinder è uno dei miei cineasti preferiti. Il suo lavoro mi interessa molto a causa della sua lucidità e del suo progetto estetico. Ho rimontato integralmente dei frammenti del dialogo di Die Dritte Generation per riproporre la confusione che Fassbinder ha messo
in scena, ma al contempo per “perlustrare” un cinema innovativo e moderno.

Alcuni dei tuoi lavori mostrano il nomadismo e la migrazione. Questi sono anni difficili e muoversi da un posto all’altro è sempre più complicato, giorno dopo giorno. Puoi dirci il tuo punto di vista a proposito di questi temi specifici?

Avere un punto di vista su queste questioni non cambia molto la situazione attuale. Direi semplicemente che queste questioni mi interessano perche la gente si sposta portando con sè storie, rappresentazioni, singolarità che meritano di essere raccontate.

Trovo davvero interessante la relazione tra le immagini e il sonoro nei tuoi video. Mi piace molto il tuo modo di utilizzare i silenzi e le parole. Componi il tutto istintivamente o parti da un progetto preciso?

Per rispondere alla tua domanda, cercherò di essere più chiara e precisa possibile, ma nel momento in cui lavoro al montaggio le cose di solito appaiono molto più complicate del previsto. Si parte da un’idea, a volte vaga, che comincia a esistere in modo compiuto nella misura in cui si incarna in una forma. A volte non scopro il senso di un video fino a che non è terminato. E’ in qualche modo l’incontro tra l’emozione estetica e l’intuizione. In definitiva la risposta più chiara che ti posso dare è: procedo in questo modo senza dubbio perchè  questa è la mia sensibilità.

Per concludere, ho una domanda speciale per te se non ti dispiace. Qual è secondo te la principale attività e la posizione dell’artista contemporaneo in un periodo politicamente così complicato? Pensi che l’arte possa migliorare il mondo? Come?

Ammetto di non avere una posizione definitiva su questo argomento. Direi soltanto che l’arte non cambia il mondo. Questo è un fatto. Invece l’arte può servire a raccogliere e a dare notizie sul mondo. L’arte può forse servire a questo oggi: trasmettere un po’ della complessità del mondo attuale. Una complessità di cui paradossalmente abbiamo bisogno per meglio comprendere il mondo che ci circonda. 

Cara Bouchra, grazie di cuore.

E’ stato un vero piacere.

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