I trailer della Viennale hanno uno statuto culto. Da molti anni ormai é una tradizione cara al festival invitare dei registi ed artisti emblematici a diventare, in un certo senso, i numi tutelari della manifestazione, creando un trailer ad hoc. Sprigionando, attraverso la loro fugacità, una riflessione essenziale sul nostro tempo, queste opere–lampo, viste nell’insieme, formano un intenso caleidoscopio cinematografico. Dal primo trailer, commissionato nel 1995 a Gustav Deutsch, fino ad oggi la lista dei nomi che hanno creato un trailer per la Viennale é impressionante; da Jean Luc Godard a Tsai Ming Liang, da David Lynch a Manoel de Oliveira, da Chris Marker a Apitchapong Weerasethakul, da Ken Jacobs a Leo Carax, da Agnes Vardas a Jonas Mekkas, solo per citarne alcuni.

Fedele a questa consuetudine Eva Sangiorgi, nuova direttrice della Viennale, ha proposto quest’anno a Lav Diaz di creare il trailer del festival.

The boy who chose the earth, é una piccola fiaba di scienza finzione poetica e struggente, un monito urgente ad agire per salvare la terra.

In un bianco e nero pastoso e denso, Lav Diaz filma un ragazzino solo in una stanza. Mentre i suoi sono partiti verso un pianeta lontano alla ricerca di un luogo di vita più adatto, lui è rimasto solo sulla terra. Più che una vera e propria stanza, il luogo chiuso e buio dove vive il piccolo protagonista è una specie di grande dispensa, un garage dove sono accatastati gli uni sugli altri mobili ed oggetti diversi. Nel mezzo di questo caos, illuminati a pena da due lanterne, ci sono un lettino, dei giocattoli sparsi qui e là, un grosso pannello di carta con la scritta: this is my life e varie foto incollate sopra e una scrivania piena di libri, fra cui spicca una copia di Moby Dick.

Concentrato e caparbio il ragazzino passa il suo tempo scrivendo, leggendo e pensando. Un giorno, improvvisamente, qualcuno bussa alla porta e gli porge una lettera del padre: “To my dear son..” . Sorpreso e turbato il bimbo esce nel cortile immerso in una luce accecante ed alza gli occhi verso cielo…Deve prendere una decisione. Partire o restare?

A questa muta invocazione del cielo, momento cruciale, fa eco una malinconica leggenda raccontata da uno dei personaggi di Season of the Devil, l’ultimo film di Lav Diaz: il mito dell’ultimo filippino. In seguito a una serie di catastrofi, racconta la storia, un unico uomo è sopravvissuto sulle Filippine: un giorno una nuova terribile inondazione colpisce l’isola. Disperato l’uomo rivolge lo sguardo al cielo verso una nuvola, la sua unica ancora di salvezza, ma un ondata lo spazza via…

La seconda parte del trailer è girata in esterno; una tempesta violentissima si abbatte sull’isola, le acque montano. L’ultima inquadratura ci mostra il ragazzino di notte: lo sguardo verso l’acqua che invade la sua strada ma i piedi fermamente piantati sul suolo.

In The boy who chose the earth una dimensione mitica, quasi atemporale s’incontra -e si scontra- con delle immagini decisamente documentarie per creare un’atmosfera unica che oscilla fra la fantasticheria e l’incubo. Alle riprese in un interno costruito per i bisogni della messa in scena, fanno eco le immagini girate in un esterno reale, dove il regista filma un uragano di rara violenza che si è abbattuto sulle Filippine qualche mese fa. Dallo iato fra l’interno dell’intimità dei giochi e della lettura e l’esterno di una natura ormai fuori controllo scaturisce, come un urlo, l’appello all’azione. Fare cinema è per Lav Diaz uno strumento di lotta politica.

 

INTERVISTA           

Ho incontrato Lav Diaz durante il suo soggiorno alla Viennale, dove il regista ha presentato il suo ultimo film : Season of the devil in concorso alla Berlinale, abbiamo parlato del trailer e dei suoi piani futuri.

Come è nato il progetto di The boy who chose the earth?

Eva Sangiorgi mi ha chiesto qualche mese fa se avessi voglia di fare un trailer per il festival; il suo invito mi ha entusiasmato non solo perché Eva è un’amica di vecchia data che stimo molto, ma anche perché per me è stata l’occasione per fare un tributo alla memoria di Hans Hurch, direttore della Viennale fino all’anno scorso, che mi ha sempre incoraggiato e sostenuto in tutti questi anni. Per me fare il trailer era anche un modo per esprimere la mia gratitudine nei suoi confronti.

Mi puoi parlare della scelta del soggetto?

The boy who chose the earth è un cortometraggio di fantascienza ma il suo soggetto è di grande attualità e solleva questa domanda: come possiamo proteggere la terra dal momento che siamo noi stessi a distruggerla? Il bimbo del film è una metafora per questa situazione: posto difronte all’alternativa, il bimbo decide di rimanere, sceglie la terra e rinuncia a mettersi in viaggio per il pianeta lontano, forse Marte, dove suo padre ha trovato rifugio. Lo vediamo ricevere una lettera del padre che lo invita a raggiungerlo al più presto, ma il bimbo preferisce restare, anche se è solo, sulla terra. Il bimbo sceglie la terra.

Chi è il bimbo del film?

Il bimbo è mio nipote, è un attore bravissimo anche se il cinema in generale e il rodaggio non gli interessavano proprio per niente! (ride)Le immagini invece che ho girato in esterno sono delle immagini documentarie dell’ultimo uragano devastatore che ha colpito le Filippine nel mese di settembre. Siamo usciti apposta nel bel mezzo di questa tempesta per filmare; il vento era fortissimo e c’erano dei lampi potentissimi, ad un certo punto ci siamo dovuti mettere in salvo, siamo corsi a rifugiarci casa perché il livello dell’acqua stava crescendo a vista d’occhio. (ride)

La durata dei tuoi film è leggendaria, The boy who chose the earth è l’eccezione che conferma la regola….

Si, questo è senza dubbio il mio film più breve!

In generale quando faccio un film non mi pongo mai in anticipo la questione della sua durata: la durata si decide ogni volta durante il processo di montaggio, se un film deve durare otto ore, durerà otto ore e se deve durare cinque minuti, allora saranno cinque minuti! Bisogna seguire e servire, in tutto e per tutto, il processo del montaggio.

Io non voglio sentirmi limitato nel mio lavoro creativo dalle convenzioni e dal mercato che impone una durata media di un’ora e mezzo. Per me fare cinema è un segno di libertà e in questo senso voglio sentirmi libero!

 

Anche se il messaggio di The boy who chose the earth è universale, il film prende le mosse dalla realtà concreta delle Filippine..

La situazione politica delle Filippine è cupa, per dirlo in altre parole: si sente odore di bruciato, odore di decomposizione. Tutti i politici in carico del paese in questo momento sono dei personaggi sinistri, sono come un miasma, parlano male ed agiscono ancora peggio. Purtroppo questa situazione non si limita alle Filippine, basta guardarsi in giro, succede in tutto il mondo: è un momento nefasto in cui regna la violenza e il despotismo.. Di fronte a queste circostanze noi artisti dobbiamo impegnarci a fondo e dobbiamo agire urgentemente con le nostre armi facendo cinema, pittura, musica, altrimenti perderemo la terra. Questo è il senso e il messaggio del trailer.

Dobbiamo scegliere la nostra terra e dobbiamo salvarla. Solo questo. Ma questo salvataggio passa attraverso la politica, è politica!

 

Su cosa stai lavorando in questo momento? Hai un nuovo progetto in cantiere?

Certamente! Il film sul quale sto lavorando in questo momento é spuntato, per così dire, dal nulla,  per un felice concorso di circostanze, un po’ come è successo anche con Season of the devil, una pellicola che è nata in modo inatteso, mentre stavo lavorando su qualcosa d’altro.

Tre mesi fa, mentre stavamo preparando un nuovo progetto, Larry Manda, il mio direttore delle fotografia, arriva un giorno e mi chiede se mi ricordo ancora di una sceneggiatura che avevo scritto nel 2000 mentre stavo girando Batang west side a New York. Mi sono ricordato di avere scritto qualcosa ma non mi ricordavo più di cosa si trattasse perché l’avevo scritto all’epoca per un attore famoso che voleva fare un film e che mi aveva pregato di scrivergli un testo.

La cosa divertente è che il soggetto di quella sceneggiatura che avevo scritto nel 2000 era ambientato nel 2019!

Larry Manda è dunque arrivato con la sceneggiatura in mano e mi ha detto: “Guarda qua, la devi leggere di nuovo, è veramente urgente!”

Larry aveva ragione; la sceneggiatura del 2000 era veramente profetica! (ride) Parlava di un dittatore molto simile a Duterte. La gente comune è succube, lo venera e lui si trasforma, poco a poco, in un despota assoluto commettendo dei veri e propri massacri, l’economia è in uno stato catastrofico, il paese è sommerso in un caos assoluto. Il finale del film è molto cupo: un gruppo di nazionalisti decide di ucciderlo. Questa è grosso modo la storia.

Ho mandato la sceneggiatura ad alcuni amici in Francia che a loro volta hanno contattato Olivier Père, direttore di Arte Cinéma. Père l’ha letta e l’ha trovata interessante, così sono riuscito ad ottenere un piccolo finanziamento -circa 100.000-200.000. Inizieremo le riprese il 12 di novembre!

Nel frattempo sto rivedendo e modificando un po’ la vicenda che avrà luogo nel 2030-2036 in modo da sembrare una storia di fantascienza e rendere un po’ meno evidente il riferimento diretto a Duterte e alla realtà delle Filippine di oggi.

Le riprese dovrebbero durare due mesi, con alcune piccole pause, poi conto di occuparmi della post-produzione nel primo quarto dell’anno prossimo.

 

Il tuo nuovo film sarà pronto per Cannes?

Chissa, forse!!! (ride)

 

 

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