Sabato 14 febbraio, nel corso di una serata memorabile, sono stati finalmente annunciati i nomi dei vincitori della Berlinale 2009. Scongiurando vari timori, i premi hanno superato tutte le aspettative e sono stati attribuiti a dei film di grande merito sia sul piano estetico che su quello dei contenuti. La giuria ha fatto delle scelte coraggiose e anticonvenzionali, privilegiando dei giovani registi, ma premiando anche chi, come il grande maestro Andrzej Wajda “ha  sempre saputo restare giovane e coraggioso nel suo spirito” dopo quasi sessant’anni di carriera. Tilda Swinton e i suoi colleghi hanno puntato nella loro valutazione all’essenziale: il valore artistico, un linguaggio innovativo, dei contenuti significativi e hanno eletto una varietà di opere che costituiscono in sé una bella prova di diversità culturale. Sono state ricompensate delle proposte cinematografiche fuori dai sentieri battuti, originali, radicate nei problemi politici e sociali del nostro tempo senza però essere programmatiche nelle loro intenzioni o politicamente corrette. In questo ordine di idee l’Orso d’Oro è stato attribuito a La teta asustada della peruviana Claudia Llosa: un film che osa andare al fondo delle cose, laddove l’ingiustizia, la violenza, l’oppressione lasciano tracce e ferite sul corpo ma ancora di più sull’anima di chi le subisce. La teta asustada,letteralmente il seno spaventato, è il nome di una malattia trasmessa in Perù con il latte materno da quelle donne che sono state violentate durante la guerra civile (1980-2000). Chi soffre di questa malattia ha costantemente paura; è il caso della giovane Fausta, la protagonista, interpretata magistralmente da Magaly Solier. La teta asustada è uno studio quasi antropologico della comunità quechua in Perù in bilico fra la rivendicazione della sua identità e la necessità di integrarsi alla vita occidentalizzata dei centri urbani. Il film ci trascina in un mondo crudele e poetico dove vita e morte, malattia e bellezza, speranza e paura si danno la mano. E’ un film duro e liberatorio allo stesso tempo che ha, a mio avviso, pienamente meritato la somma ricompensa della Berlinale.

Il cinema latino-americano ha dominato il Palmares del festival: secondo grande vincitore della serata è stato infatti il regista argentino Adriàn Biniez. Il suo film Gigante ha ottenuto ben tre premi: il premio per la migliore opera prima, il Premio Alfred Bauer (ex aequo con Andrzej Wajda) e infine l’Orso d’Argento (ex aequo con Maren Ade). Gigante ci racconta la storia di Jara, un ragazzo dal corpo enorme, guardiano notturno in un supermercato, alla ricerca dell’amore e della felicità. Il film è una commedia agrodolce basata su dialoghi arguti e laconici, un’opera originale e toccante dall’ottima sceneggiatura. Il giovane regista, già felicissimo alla prima ricompensa, non poteva credere di avere vinto un secondo premio. L’annuncio, infine, dell’Orso d’Argento l’ha lasciato letteralmente senza parole.

Doppiamente premiato anche un film tedesco, ma non quello che tutti si sarebbero aspettati e cioè Storm una grossa produzione con un soggetto importante a sfondo politico, bensì un film molto meno pretenzioso e dal tono più intimo: Alle Anderen (Everyone else) della giovane regista Maren Ade, una commedia di costume a sfondo psicologico che sonda il rapporto fra due coppie. Ugualmente premiata, come migliore attrice, la protagonista del film, l’austriaca Birgit Minichmayer.

Un altro premio ampiamente meritato è stato l’Orso d’Argento per la migliore regia, attribuito all’iraniano Asghar Fahradi per Darbareye Elly (All about Elly). Il film, che ha appena ricevuto anche il premio del pubblico al Fajr, l’ International Filmfestival di Teheran, ci offre un quadro incisivo e spietato di un gruppo di giovani della classe media alle prese con le rigide convenzioni sociali della società iraniana. Oren Moverman e Alessandro Camon hanno vinto l’Orso d’Argento alla migliore sceneggiatura per The messenger, un film che segue i passi di due ufficiali americani nel duro compito di annunciare alle famiglie il decesso dei soldati in missione.

Andrzej Wajda ha ottenuto, come abbiamo già detto, l’Alfred Bauer Preis per Tatarak (Sweet rush), film dedicato al direttore di fotografia Edward Klosinki, recentemente scomparso. Tatarak intreccia due filoni narrativi: una storia di finzione ambientata nella Polonia dell’immediato dopoguerra e un monologo autobiografico. Protagonista di entrambe le vicende è la favolosa Krystyna Janda che da un lato interpreta la moglie malata di cancro di un medico di campagna e dall’altro ci confida i suoi dolorosi ricordi sulla malattia e la morte del marito, Eduard Klosinki.

Infine l’Orso d’Argento per il migliore contributo artistico è stato attribuito a Gàbor Erdély e a Tamàs Szézely per il suono in Katalina Varga di Peter Stickland. La cerimonia di chiusura è stata festiva e piena di emozioni; gratificante per la giustezza dei premi, commovente grazie agli interventi di alcuni vincitori come l’attore maliano Sotigui Kouyaté, premiato con l’Orso d’argento per la sua interpretazione in London River di Rachid Bouchareb. Koyaté ha monopolizzato la scena per un buon quarto d’ora facendo soffiare un vento di saggezza africana sul palcoscenico del Berlinale Palast. L’attore ha rivendicato l’importanza di un festival internazionale come la Berlinale  per promuovere l’amicizia fra popoli e lo scambio delle culture dicendo inoltre che: “la complementarità può essere trovata solo nella diversità, così come la bellezza di una foresta consiste nella varietà degli alberi e quella di un tappeto nella varietà dei colori”. Un altro momento molto commovente à stato il discorso dell’attrice Magaly Solier, protagonista de La teta asustada, che ha dedicato il premio a tutte le donne peruviane ed ha improvvisato, con le lacrime agli occhi e la bella voce tremante d’emozione, una canzone di ringraziamento in quechua.

Di fronte ad un concorso internazionale composto quest’anno da parecchie grandi produzioni e co-produzioni americane, da alcune opere di maestri in crisi di ispirazione e da una serie di film dai “grossi” soggetti politici, il Palmarés della 59esima Berlinale è stato veramente una bella sorpresa.

 

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