Seconda giornata di questa 60esima edizione del Festival di Locarno, primi due film del concorso internazionale: La maison jaune dell’algerino Amor Hakkar e O capacete dourado del portoghese Jorge Cramez.

Il primo è la storia di un recupero: delle proprie origini, delle tradizioni, del proprio passato di sofferenza, di parti di sé. In Algeria, un contadino parte dalle aride lande del massiccio dell’Aures sul suo triciclo a motore per recuperare il corpo del figlio Belkacem, morto accidentalmente durante il servizio di leva. L’incontro tra questi e il sistema burocratico statale viene presentato senza troppi intoppi: l’uomo viene accolto nei suoi gesti irrazionali e accontentato da tutti nelle sue richieste, senza che si produca  alcun conflitto tra lui e lo Stato (che in parte è responsabile della morte del figlio al suo servizio). La sua ostinazione viene premiata in nome di un recupero necessario che il regista compie nei confronti delle proprie origini riferendosi ad una sua esperienza personale, quella in cui ha dovuto riportare a casa il corpo di suo padre dalla Francia all’Algeria. Lui stesso dichiara di essersi sentito confortato dagli sguardi di solitudine e dalla compassione che quegli uomini gli hanno mostrato, di essersi sentito accolto da quella che in fondo era la sua gente.

Contemporaneamente, la determinazione del protagonista è anche caratteristica di chi non si arrende a quelle terre ostili e aride del massiccio algerino se vuole sopravvivere. L’unica resa consentita è quella di fronte alla morte: ma anche qui, pur solo accennandolo, il regista abbozza un’ulteriore rivalsa dei familiari sopravvissuti alla dolorosa tragedia. Infatti nella scena finale, la famiglia riesce a sedare la propria sofferenza solo quando, unita davanti alle ultime malinconiche immagini video di Belkacem (girate da un amico prima del tragico incidente) che saluta tutti con affetto, irreale e reale si sovrappongono: un attimo prima che le immagini partano, la famiglia si vede riflessa sullo schermo del televisore, le loro figure si mescolano con quella del giovane offrendo loro la possibilità di interiorizzare e razionalizzare cio che comunque rimane un’esperienza inspiegabile.

Il passionale e delicato O capacete dourado prende invece spunto da un fatto di cronaca accaduto in un paese del nord del Portogallo: due giovani adolescenti tentarono di buttarsi da un ponte perché la famiglia di lei si opponeva al loro amore.

Jota è un ragazzo in rivolta con il mondo che passa il suo tempo in moto: non riesce a dare un senso alla sua vita che scorre tra gare, risse, alcol e sigarette. Margarida è la figlia del suo professore di chimica, fragile e riservata ragazza con problemi di anoressia. Si incontrano, si innamorano e immediatamente scoppia un conflitto tra i due e il padre di lei, tra il mondo adulto e quello degli adolescenti, che qualche volta cade nella caratterizzazione di alcuni personaggi (soprattutto quello del padre di lei) e situazioni (quelle all’interno della scuola tra i professori).

Per il resto, il film si compone di un ritmo logico e costante di una vicenda che sembra svolgersi quasi da sola senza mai denunciare i meccanismi del preordinato o del voluto. I contrasti che lo attraversano sono resi da una colonna sonora che combina con equilibrio musica classica, rock e techno.

L’amore tra i due giovani è filmato con una discrezione mai banale in cui gli sguardi e i silenzi sono i veri protagonisti. Tra i due si realizza un vero incontro fatto di scambi reciproci: su di lui pesa un fardello (la  perdita prematura della madre) che lo spinge all’autodistruzione, su di lei quella di un padre ottuso e oppressivo che coltiva la sua paura di  essere contaminato dal mondo. In Jota, Margarida vede un’apertura, uno spiraglio d’aria; in Margarida, Jota ritrova il rispetto per una vita che comincia ad amare perché si innamora. Lo scambio sarà completo quando nel finale, che sembra volgere alla tragedia, nell’alternarsi tra la soluzione drammatica e quella leggera, viene capovolto l’epilogo di Romeo e Giulietta in una prova d’amore che è un inno alla vita.

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