“Immaginare, significa scegliere” *

Giovane, dinamica, impegnata e dotata di una spiccata sensibilità artistica Maria Bonsanti, co-direttrice fino all’anno scorso del Festival dei Popoli a Firenze, è stata nominata nuova direttrice del Cinéma du Réel, succedendo così a Javier Packer Comyn che aveva condotto la manifestazione durante gli ultimi quattro anni.

Un impegno stimolante, carico di grande responsabilità, data la lunga e prestigiosa storia del festival, giunto quest’anno alla sua 35esima edizione. Eletta solo pochi mesi fa a capo della manifestazione, Maria Bonsanti si è trovata a dover affrontare, a causa dei tempi estremamente ridotti, un compito doppiamente arduo.

Attenta e sensibile al tessuto proteiforme del linguaggio documentario, la nuova direttrice è all’ascolto, un ascolto aperto, percettivo pronto a captare i movimenti tellurici che attraversano il genere in tutte le sue forme.

Riprendendo un interesse che ha da sempre animato la programmazione del Réel, Maria Bonsanti sceglie quest’anno di puntare i proiettori della manifestazione nelle sezioni parallele sull’aspetto sociale, politico e sul ruolo militante del cinema documentario attraverso una retrospettiva dedicata agli ultimi 40 anni della storia del Cile – Cile 1973-2013 -, un programma speciale sul documentarista militante indiano Anand Pawardhan,  una sezione sulla crisi economica degli anni trenta –  L’arte della crisi, dal New Deal al giorno d’oggi  – ed infine una serie di film contemporanei che si interrogano sull’identità immaginaria di vari paesi – Paesi reali, paesi sognati.

Nonostante l’effervescenza di questi primi giorni di festival, generosa e disponibile, Maria Bonsanti ha accettato di accordarmi il tempo per una lunga conversazione; una testimonianza preziosa sulla costruzione di questo evento da chi, come la nuova direttrice del Réel, ha oggi occasione di immergersi, dopo alcuni anni passati al servizio di una manifestazione italiana, in una realtà culturale alquanto diversa.

Situato in un punto di osservazione privilegiato a cavallo fra la realtà italiana da un lato e quella francese dall’altro, lo sguardo a 360 gradi di Maria Bonsanti ci offre materia di riflessione.

Nominata solo cinque mesi fa alla testa della manifestazione hai avuto a tua disposizione un periodo di tempo molto breve per preparare questa 35esima edizione del Réel. Quali sono state le maggiori difficoltà che hai dovuto affrontare?

E’ stato in effetti un periodo breve considerando il fatto che il Cinéma du Réel é un festival legato ad una struttura pubblica e quindi ad un sistema e ad un funzionamento diverso rispetto a quello di altri festival proprio rispetto alle tempistiche.

Qualsiasi operazione deve infatti essere convalidata da più passaggi che non riguardano solo la struttura interna del festival. Non bisogna dimenticare che il  Cinéma du Réel è un dipartimento della biblioteca del Centre Pompidou fatto che influisce considerevolmente sulle strategie di comunicazione e sulla creazione dei luoghi d’incontro, cioè su tutto ciò che, in fin dei conti, fa la vita di un festival. Bisogna dunque interagire molto di più che in altri casi con la struttura di cui si fa parte. Questa è forse la sfida più grande. Riguardo alle scelte artistiche si gode invece della più grande libertà.

Rispetto alle scelte più propriamente artistiche ti sei dovuta confrontare con la lunga tradizione del festival. Come hai affrontato questo compito?

La mia idea era quella di cercare una linea di continuità; senza mettere in atto grandi rivoluzioni ho desiderato apportare una serie di piccole modifiche, nel poco tempo che avevo a mia disposizione.  Per me questo è un anno di presa di coscienza e di conoscenza. Apprezzando il lavoro di Javier Paker Comyn non avevo alcun motivo per non accettare la sfida di collaborare con le persone che conoscevano e conoscono bene il festival; mi sono quindi interamente affidandata all’equipe del festival inserendomi in una struttura consolidata. Sono prorio io, semmai, a costituire l’elemento di rottura con la continuità! Quello della ricerca filmica è stato, ovviamente, un lavoro enorme, ma il Cinéma du Réel è, da questo punto di vista, molto solido; abbiamo ricevuto infatti qualcosa come 2300 film da visionare.

Quali sono state le tue priorità nell’organizzazione del festival?

Per me è stato innanzituto importante individuare poche linee forti sulle quali lavorare: dare una grande leggibilità al programma è stata, in questo senso, una delle mie priorità.  Ho voluto inoltre rafforzare la parte competitiva del festival aumentando leggermente il numero dei film in concorso e creando una vera e propria competizione nazionale. In un sistema come quello francese che dispone di una produzione enorme e di un importante sistema di  sostegni il ruolo di un festival deve essere quello di dare visibilità ai film dei giovani autori, di valorizzarli permettendo loro di venire individuati e proiettati anche in altri festival. Inoltre quest’anno, per la prima volta, facciamo delle repliche anche nelle sezioni non competitive del festival. Questa è una proposta che ho accolto seguendo i suggerimenti di chi vive il Cinéma du Réel da sempre e basandomi sulla mia esperienza professionale, memore della frustrazione per non riuscire quasi mai a vedere i film delle retrospettive. Abbiamo, infine, cercato di sottotitolare un numero maggiore di film in inglese per permettere loro di essere accessibili ad pubblico internazionale.

cinemaduReee

Nella competizione internazionale il festival rinuncia alla clausola dell’esclusività. Cosa motiva questa scelta?

Oggettivamente è molto difficile fare un bel concorso selezionando solo delle prime mondiali; nella ricerca disperata di prime mondiali la qualità scade, nonostante il grande numero di film prodotti. Quando hai la responsabilità di scegliere 11-12 titoli su 2000 non puoi permetterti il lusso di accontentarti; in un sistema spietato come questo devi pretendere molto. Comunque anche selezionando film che hanno già avuto la loro prima altrove, ti posso assicurare, che è difficile creare un concorso di cui ti senti pienamente soddisfatto.

….d’altra parte é ingiusto, correndo dietro alle prime, “bruciare” dei film  che meritano di avere una seconda chance, anche a livello competitivo….

Sono d’accordo. Ritengo importante dare più chance e  visibilità a dei film che possono essere passati altrove ma, appunto, in un contesto che non permette loro di emergere. Nelle discussioni con produttori e cineasti viene costantemente a galla questa concorrenza estrema fra i festival che non aiuta più la circolazione dei film. Ogni esclusività è controproduttiva per i film. Purtroppo i festival, che dovrebbero aiutare a promuovere il cinema ed a rafforzarlo, rischiano, seguendo questo tipo di logica, di sortire alla fine l’effetto opposto.

Quale è per te la differenza fra il Cinéma du Réel e il Festival dei Popoli?

In primo luogo direi i mezzi; la struttura, il sistema in sé ed il finanziamento non sono paragonabi
li. Questo, ovviamente, è il risultanto delle scelte, assai diverse, che operano i due paesi rispetto al sostegno della cultura e del cinema in particolare.

In secondo luogo la diffenza maggiore sta proprio nel pubblico stesso; un pubblico che è,  qui a Parigi, veramente curioso, aperto, interessato.

Quindi, rispetto al pubblico, si parte avvantaggiati?

Senza dubbio ed proprio per questo motivo ci si può permettere il lusso di ‘osare’. Ciò non toglie che anche a Firenze, quando abbiamo deciso di ‘osare’, la gente ha risposto molto bene, per cui non bisogna neppure abbassare le aspettative in Italia… Tuttavia, qui in Francia, tutto questo è semplicemente naturale. L’entusiasmo del pubblico francese per il documentario mi libera dall’eterna questione dell’accessibilità dei film: in questo senso mi sento completamente libera!

Come definiresti i tuoi criteri di selezione da un punto di vista artistico?

Quest’anno avevo voglia di sperimentare, di mostrare opere molto diverse fra di loro nell’ambito delle scrittura cinematografica, del linguaggio, della tipologia e delle condizioni di produzione; si va infatti dal film che ha ottenuto il grande fondo di sostegno al film completamente autoprodotto. In collaborazione con il comitato di selezione ho cercato di rendere atto della varietà del linguaggio rispecchiando quanto succede nella produzione documentaria attuale; ho voluto captare degli impulsi, essere all’ascolto. Detto ciò, un criterio imprescindibile é sempre il rispetto fra chi filma e chi è filmato. Retrospettivamente mi rendo conto che abbiamo privilegiato degli autori che guardano ‘altrove’, degli autori che si sono messi in gioco mettendosi nei panni dell’altro. I film selezionati, per esempio, nel concorso francese spesso non raccontano della Francia ma ci parlano di luoghi diversi, lontani. Per quanto riguarda un altro filone molto forte nel cinema documentario, quello dei film di famiglia, abbiamo scelto delle opere che si coniugano piuttosto sul modo dell’empatia, della ricerca delle proprie emozioni piuttosto che su quello della recriminazione e della condanna.

Quali sono i momenti forti del programma di quest’anno?

Se il documentario è spesso il mezzo con cui il singolo si confronta all’altro, la sua funzione non si riduce ad un’esplorazione intimista del mondo ma diventa spesso anche uno strumento attivo di protesta, denuncia, rivendicazione sociale e politica, un elemento capace di unire comunità e popoli interi intorno ad un obiettivo di lotta collettivo.  La sezione tematica Pays revés Pays reels, dedicata all’immaginario di un paese sognato nella sua forma ideale, da un po’ la nota distintiva del festival attirando la nostra attenzione sul divario fra il modo in cui ci immaginiamo la realtà e la realtà stessa.  É proprio in questo momento di corto-circuito fra l’ideale ed il reale che si situa il ruolo del documentario.

Privilegiando un motivo non figurativo, il poster ed il trailer del festival si differenziano radicalmente da quelli usati in passato…..

La scelta di questo motivo geometrico, multicolore e circolare, opera del grafico del festival Stéphane Robert, era un modo per dire: c’è spazio per lo sguardo, c’è spazio per l’interpretazione.  Inoltre, da sempre, il Centre Pompidou ha una linea grafica molto forte; abbiamo qundi cercato  di riprendere la tradizione trasformandola in qualcosa di dinamico. L’idea di fondo era quella di lasciare un ampio spazio all’immagine per dire chiaramente che qui si parla in primo luogo di cinema e non solo di contenuti. In fondo, se vuoi, questo motivo simbolizza l’idea stessa della pellicola, dei 35 millimetri, che quest’anno coincidono proprio con i 35 anni del Réel. Il festival si interroga  sul futuro della pellicola, un mezzo che sta diventando sempre più desueto, tanto a livello di produzione, quanto e, soprattutto, rispetto alla proiezione che, qui in Francia, si svolge ormai esclusivamente in digitale. E’  necessario che un festival indaghi sul come i cambiamenti a livello di formato influenzino la programmazione. Per esempio, riguardo alla sezione sul Cile, ci siamo domandati a lungo se sarebbe stato lecito o meno mostrare dei film, girati in pellicola, in formato digitale. Alla fine abbiamo deciso di sì, per non vederci costretti a rinunciare completamente a mostrarli… Il problema è ovviamente molto più vasto: ne va della creazione artistica in sé. Un dibattito su questo soggetto ci sembrava essenziale, il dibattito 35 ans, 35 mm, l’argentique à l’heure du numérique, organizzata dal gruppo L’abominable è dedicata a questa tematica.

Il Cinéma du Réel rinnova la sua collaborazione con Nicole Brenez che cura una preziosa retrospettiva sul regista indiano Anand Patwardhan, eminente cineasta militante…

La sezione sul Cile, Cile 1973-2013, e quella su Patwardhan sono complementari. Se nell’opera di Patwardhan emerge il ruolo della musica come strumento di coesione delle lotte, nella sezione cilena si scopre invece che è il cinema stesso ad assumere questa funzione testimoniando quanto stava succedendo prima, durante e dopo il colpo di stato. Nel programma è molto presente questa componente del militantismo messo in evidenza attraverso un discorso sui movimenti popolari, collettivi; L’art et la crise, du New Deal à aujourd’hui è un’ulteriore sezione che esplora questo aspetto del cinema documentario.

Potresti fornirci qualche pista di lettura per il concorso internazionale?

Nel concorso internazionale convivono autori  di una certa età ed esperienza ed autori giovani; due film fortemente personali che si trovano, in un certo senso, agli antipodi sono El otro dìa di Ignacio Agüero e Fifi urla di gioia di Mitra Farahani. Ignacio Agüero, peraltro presente anche nella retrospettiva sul Cile con No olvidar (1979-1982), ha alle sue spalle una filmografia lunga e significativa ed è considerato in Cile come un vero maestro. El Otro dìa è un’opera lineare, compatta, con delle modalità apparentemente non innovative. Narrativamente il film parte dalla volontà dell’autore di uscire di casa solo per seguire delle persone che bussano fortuitamente alla sua porta e andare alla scoperta dei luoghi in cui vivono. Tutto ciò occorre secondo uno schema che lui pensa di avere deciso a priori, di fatto il confronto con la realtà concreta lo costringerà a rimettersi in gioco… Fifi urla di gioia di Mitra Farahani è invece un film discontinuo, irregolare, un processo in fieri che si costruisce nel quotidiano fra la regista ed il suo protagonista, senza regole. Fifi è un film libero che, quasi impercettibilmente, trova una sua forma molto matura.

Un’altra opera, per così dire, agli estremi dell’espressione documentaria, è Touch dell’americana Shelly Silver, un film che si appoggia completamente sulla scrittura. Giocando sul limite poroso fra realtà e finzione la regista indossa i panni di un immaginario alias maschile che si esprime in cinese commentando in off, sul filo di una biografia interiore completamente inventata, una pletora di immagini documentarie girate nel quartiere di China Town a NewYork.

Cosa ti auguri per l’edizione di quest’anno?

Venendo dal Festival dei Popoli sento forte la necessità di creare un
festival caloroso, umano che sia un  luogo d’incontro e di scambio. In primis vorrei valorizzare sempre di più questa dimensione di contatto, ritengo inoltre essenziale rafforzare la presenza del Réel negli altri festival, aprirlo ancora di piu ad una dimensione internazionale. D’importanza capitale mi sembra infine l’accompagnamento dei film dopo il festival, soprattutto per quanto riguarda  la loro distribuzione in sala. L’accordo per la distribuzione da parte di MK2 dell’ultimo film di Stephen Dwoskin Age is… ha avuto luogo proprio grazie alla mediazione del festival, una bella soddisfazione!

*J. Giono, Noé, 1947, Citazione alla testa dell’editoriale di Maria Bonsanti per il catalogo del festival.

 

Se ti è piaciuto quello che hai letto, perché non lo condividi?
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.