2061 è trash gettato alle ortiche. Immondizia impossibile da differenziare e da trasformare in utile
Viva il trash, ma non facciamo di tutta l’immondizia un trash. 2061 è una buona idea trasformata in una notevole delusione. Un valido esempio di pigrizia e sciatteria.

Siamo nel 2061 e l’Italia è nuovamente divisa in territori separati da politica e cultura. Il regno delle due Sicilie è un sultanato a regime arabo. A Firenze si combattono le fazioni dei dellavalliani e quella dei cecchigoriani. Un muro divide il Nord della penisola dal resto dell’ex paese e nessuna forma di terrone può accedervi senza permesso. Il ponte sullo stretto è stato fatto saltare e il papa se la gode nel suo rinnovato ed ampio stato pontificio. Un gruppo di sbandati (il riferimento all’armata brancaleone è abbastanza chiaro) viaggia da Sud a Nord nel tentativo di risanare le cose non-apposto, ossia rifare l’Italia. Ecco tre vecchi binari del miglior cinema vanziniano: la citazione cinematografica, il campanilismo da stadio e il road movie. Tutto il resto è noia. Perché Carlo ed Enrico, con il contributo di Diego Abatantuono, non hanno avuto tempo e voglia di trasformare quest’idea popolare in una storia almeno divertente da seguire.

Con l’immondizia viviamo: ne produciamo, ne respiriamo, tentiamo di trasformarla in risorsa. Ci atteggiamo a illuminati se la differenziamo e la odiamo cinque secondi dopo averne fatta ancora. L’immondizia è la buccia del nostro affannato correre e produrre. Lo scarto del bello, la fine dell’utile. La quantità d’immondizia prodotta è direttamente proporzionale alla quantità di ricchezza prodotta. Più c’è ricchezza più c’è immondizia. Più c’è bel cinema più ci sono brutti film? Vediamo molta robaccia nel cinema italiano e non vediamo molti bei film. Ci sono pochi film e molti di questi sono di scarso valore. Una considerevole percentuale è immondizia. L’immondizia non è più risorsa potenziale ma ha valore autonomo: possiede un suo valore specifico, estetico-contenutistico. Proviamo a immaginare che 2061 sia l’immondizia del cinema italiano. E misuriamo il valore del cinema italiano in base a quello di 2061. Analizziamo il pigrissimo film dei fratelli Vanzina da quest’insolita prospettiva. Con i tempi che corrono, con la televisione che abbiamo, con l’informazione “scappa e getta” che ci caratterizza, i fratelli possono aver pensato bene di trascurare quel poco che sanno fare: narrare con leggerezza. Di fronte a una colettività diversa, a un quotidiano di più alto valore, forse non si sarebbero permessi di trattare così male la loro professione e di offendere se stessi per primi. Gli rimangono le idee, gli spunti le furbe intuizioni. Ma hanno scritto coi piedi sinistri questa sceneggiatura ed hanno preteso dal mucchio eterogeneo di attori e mezzi solo il volto e qualche suono vocale. Non si ride quasi mai pur avendone voglia e pur credendo nella commediaccia popolare. Ci risulterebbe assai difficile estrapolare dal film una sola scena valida per certificare una situazione sociale, un fatto di costume. La questione è che se c’è una prima fascia forte, nella seconda possono finirci alcuni di quelli che meriterebbero la prima. E così nella terza alcuni di quelli che meriterebbero la seconda. Potrebbe capitare di trovare nella quarta qualche esempio di prima fascia. Se facciamo il pranzo con lo champagne lasciamo che il Chianti tocchi a chi verrà dopo. Ma se il Chianti è la prima scelta per la seconda tocca pensare al Fontana Candida e per la terza al Tavernello. E il Tavernello non è buono e non fa bene. In questo film ci troviamo alle prese con Jonathan del Grande fratello, con un Abatantuono spento che imita svogliatamente il personaggio che lo ha reso famoso. Dobbiamo aggrapparci all’entusiasmo di Sabrina Impacciatore, a trenta secondi dell’erotomane Ceccherini, ad un paio di battute della Barbera. Dino Abbrescia, emergente attore italiano, si trova a galleggiare in questo sventurato tentativo e non se ne discosta perché ancora non ha lo spessore per farlo.

2061 è Tavernello ed è uno dei film peggiori tra quelli dei Fratelli Vanzina. Che capiscono di cinema molto più di tanti altri, perché ne hanno masticato sin da bambini e perché sono due capelloni svegli e persino simpatici che vivono di cinema. Hanno realizzato un numero elevato di pellicole realizzando alcuni pregevoli lavori. Vacanze di Natale su tutti, ma anche Sapore di mare, Yuppies, Vacanze in America ed Eccezziunale veramente. Pellicole che tra cinquant’anni saranno ancora utili e godibili. In questo film hanno corso, forse perché avevano altro da fare, altro cinema. E’ in uscita il film di Claudio Risi, che dei due è stato ed è un fido collaboratore. Nel suo film, Matrimonio alle Bahamas, c’è forse la spiegazione del sonoro fallimento di 2061. Un film di Natale che è uscito silenziosamente in autunno perché in fondo nessuno ci ha creduto. Ma 2061 non deve essere il modo per ricacciare Carlo ed Enrico nel ciclone dei capri espiatori e non devono essere il bersaglio facile per un’invettiva contro la cronica, perenne, mezzo secolare crisi del cinema italiano.

I Vanzina non hanno mai avuto la possiblità di inserire Totò o Alberto Sordi nelle loro commedie e hanno dovuto adattare il loro cinema potenziale agli anni Ottanta,fatti di comici mai grandi e provenienti dalla tv. Se fossero nati qualche anno prima, probabilmente, in una stagione di commedia dove il racconto era serio e affidato a grandi maschere, forse, anche favoriti dalla posizione del padre Steno, avrebbero dato un contributo diverso alla storia del cinema italiano. Invece hanno puntato su una leggerezza a volte educata, e hanno sempre messo “il costume” al primo posto nei loro interessi. Quando uscì Via Montenapoleone si gridò per l’ennesima (e mai ultima) volta alla morte del cinema italiano. A Riguardarlo oggi il film mostra una discreta capacità narrativa e una fotografia nitidissima della Milano da bere. Contiene persino dei reperti interessanti per il rapporto tra cinema italiano e omosessualità. Certo, si dirà, Splendori e miserie di madame Royale, Parigi o cara, Una giornata particolare, Il vizietto, sono tutt’altro modo di raccontare un tema delicato come quello dell’omosessualità. Eppure Via Monteleone rientra nella filmografia utile a quel tema e si inserisce, con modesta eleganza, anche nella crisi della coppia e nelle dinamiche relazionali di quel decennio. Non vorremmo che persino 2061 potrebbe trovare, in un futuro sempre più di apocalisse culturale, una sua rivalutazione. Sarebbe un fortissimo segnale. E proprio nel rapporto con gli altri film vanno visti e giudicati i film dei Vanzina. L’immondizia, con tutto il suo valore potenziale, siamo nell’epoca dei rifiuti da trasformare e riutilizzare, può essere separata, riaggregata, oppure semplicemente buttata nel cestino. Purtroppo, senza ironia, la puzzolente sostanza di 2061 è gettata in un casonetto che non fa raccolta differenziata.

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