Barcelona”, canzoncina birichina e irresistibile dei Giulia y Los Tellarini, apre e chiude il film lasciando in allegro tormento i neuroni che regolano la memoria sonora umana, ed è l’unica cosa che rimane da dire dell’ultimo, sciropposo, film di Woody Allen.

Sembra proprio che non ne azzecchi più una: che sia il drammone misticizzante (si veda la catarsi finale di Match Point che, in una sola inquadratura, spazza via tutte le traiettorie morali cristalline di Crimini e misfatti) o sia la commedia sentimentale evanescente (quella in questione), il risultato non cambia: un mucchio di rassicuranti cliché, stilizzati quel tanto che basta a renderli digeribili al cervello.

Il signor Woody Allen, per la cronaca, ha creato dei capolavori che, almeno fino a Decostructing Harry (magnifica decostruzione delle nevrosi dell’uomo moderno) hanno aperto le menti e i cuori di molti. Amen.

La trama del film è al solito legata alle vicende di due opposte personalità che, alla fine, si ritroveranno, chi più chi meno, l’una nello stato d’animo (giusto quello) dell’altra. E dunque se Vicky, giovane studentessa americana soddisfatta, positiva e con le idee molto chiare su quello che davvero vuole dalla vita (che in questo film sembra essere costituito solo dall’amore, con buona pace dell’economia reale, per dire), finisce per diventare quella debole, insoddisfatta e senza più tante certezze; Cristina, ragazza romantica, incostante e alla perenne ricerca dell’emozione, sarà quella che sceglie di fuggire da troppa libertà ponendo il primo limite, in verità essenziale, al fine di un’utile ricerca: ovvero il basilare “quello che non voglio dalla vita”. Bardem e la Cruz, più divertenti e bravi degli “americani”, sono nient’altro che figure pittoresche che incarnano, senza alcuna giusta causa apparente, a parte le nuovissime teorie sugli effetti artistici dell’accoppiata “sole e chitarra spagnola”, lo stereotipo dell’artista bohémien. In un tripudio di natura, ozio artistico e sesso – mai stato tanto tiepido nonostante la splendida Cruz che, francamente, non pare tanto accordarsi con l’acquosa Johansson – l’uomo sembrerebbe infine ritrovare se stesso. Salvo che questa è una vacanza e tutto finisce alla fine dell’estate e al limite rimane, ma proprio a volerci credere, qualche piccolo slittamento comportamentale.

L’aspetto forse più interessante è proprio questa insistenza nella ricerca dell’emozione attraverso, appunto, cliché “naturalizzanti” che però, più che farci riflettere sull’illusione e la falsa coscienza di tante c.d. emozioni (perché non può negarsi, anche perché sarebbe ingenuo e ingiusto visto il livello del personaggio, una consapevolezza di Allen in questo senso- si pensi al rallenty della caduta nel prato da parte dei due amanti o all’onnipresenza della voce fuoricampo), ci invischiano di ambigua mollezza morale, artisticità a buon mercato, eros diffuso ma mai veramente afferrato: una specie di medusa, insomma, e non di quelle più belle.

Sembra quasi che Allen, abbandonando per un’estate la sua anima nevroticamente e, almeno a parere di chi scrive, meravigliosamente culturale, si sia lasciato abbindolare dalle false lusinghe dell’Io naturale, alla ricerca di quelle reazioni che giudichiamo o immaginiamo primitive e veramente spontanee (si pensi soprattutto al personaggio della Cruz). Un atteggiamento vagamente egotista, in cui lo spazio e soprattutto la simpatia riservata in questo film all’ingenuità e alla seduzione sembrano corrispondere ad una reazione quasi rousseauniana allo stato civilizzato nel momento in cui fa sentire troppo – usando un eufemismo – noie e leggi più che vantaggi. Una morale intima e una religione della personalità alzate come scudi (in questo caso calici, visto quanto bevono) contro la spersonalizzazione data dai lacciuoli – e dalle macerie – della civiltà.

Un’ultima considerazione: il signor Allen, se non altro per la sua lunga frequentazione psicoanalitica, dovrebbe sapere che l’amore tra donne, a meno che non lo si voglia deliberatamente ridurre entro il cliché rassicurante dell’ esperienza naturale” comunque fuggevole, e allo stato attuale pure molto glamour, in ogni caso sempre funzionale alla seduzione “tradizionale”, è quasi sempre una grande passione. Ma se, come qui, non c’è passione ma solo una vaga e quasi ineffabile, pudica “naturalità”, che comunque allontana l’elemento della volontà, allora non c’è nessuna destabilizzazione dell’ordine sociale. Appunto.

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