Sylvie VerheydeStorie di bambini, di giovani, delle atroci lezioni dell'adolescenza: una miniera inesauribile per le immagini del cinema contemporaneo. Con una regola, quest'anno, tutta veneziana: se si è interessati a questi temi bisogna frugare bene tra le pieghe delle sezioni parallele al concorso ufficiale. Il cinema degli autori adulti sembra perso nella propria maturità, nonostante qualche indiretto riferimento e nonostante le universali animazioni del maestro Miyazaki.

Nella sezione Giornate degli Autori sono invece passati in questi giorni tre film di formazione, di esperienze vitali, con assonanze di contenuto che funzionano come un accordo in un coro di voci.

Muukalainen (The visitor), opera terza del finlandese Jukka – Pekka Valkeapaa,  racconta la solitaria adolescenza di un ragazzo muto, o che forse si rifiuta di parlare, che vive con la madre in una sperduta casa di campagna in riva a un lago, unico compagno un cavallo. Il padre sta scontando una pena in carcere, ma questo non gli impedisce di imporre tutta la sua autorità sul giovane durante le visite periodiche. Svolta drammatica e narrativa di un film dai lunghi tempi dilatati e dai clamorosi silenzi è l’arrivo in una notte di pioggia di un visitatore. Ferito allo stomaco, verrà curato omeopaticamente dalla madre del giovane, della quale non lascerà più il letto. Il rispetto dei lenti e sereni tempi delle stagioni non proteggeranno questo ragazzo senza nome né voce dall’esperienza del lutto e della mancanza di affetti. Capace di tempi inimmaginabili per il nostro cinema, questa coproduzione europea Finlandia – Germania – Gran Bretagna – Estonia è un cinema rinascimentale dove l’arte imita la natura e dagli elementi naturali trae la forza delle sue immagini migliori.

Di tutt’altro tono e ambientazione è Stella, piccola produzione francese a firma di una regista, Sylvie Verheyde, attiva soprattutto in televisione. Dalle fredde campagne finlandesi si passa alla Parigi anni Settanta, descritta senza nostalgia e senza trompe l’oeil cartolineschi. Niente banlieue alla Kechiche e niente conflitti etnici della globalizzazione: il viaggio nel tempo ci riporta al caro e vecchio conflitto di classe con cui Stella, piccola protagonista del film, interpretata dalla promettente Léora Barbara, colta nel passaggio dalla pubertà all’adolescenza, dovrà misurarsi nel momento di cominciare l’avventura del liceo. Il travagliato anno scolastico dell’unica alunna non borghese è raccontato con ironia e delicatezza: Stella intraprenderà il percorso dell’integrazione, superando il rifiuto degli altri e accentuando la diversità del proprio sgangherato ambiente familiare. Lo farà leggendo Balzac e Cocteau, partecipando così alla costruzione della comune e uniforme cultura europea. Il film è veramente semplice, leggero, intelligente, distante dalla dimensione claustrofobica con cui Laurent Cantet ha descritto la sua classe (e conquistato Cannes) in Dentro le mura.

Abbiamo visto, infine, Venkosky ucitel (The country teacher) di Bohdan Slama con protagonista, magie delle coproduzioni, lo stesso bravissimo attore del suddetto film finlandese. Finanziato da capitali cechi, francesi e tedeschi, è la storia di Peter, maestro condotto omosessuale, che nell’arco della sua permanenza nel piccolo paese di provincia costituirà l’eccezione della comunità. Amico di una vedova innamorata di lui e a sua volta innamorato del figlio diciassettenne di lei, il nostro tranquillo professore di scienze naturali complicherà non poco le relazioni personali e le abitudini del villaggio. Caratterizzato da un’ironia di natura tra il sovietico e l’ebraico, con la serietà e il machismo rurale mortificati dall’assurdo, dall’imprevisto e dall’intoppo, The country teacher renderà alla fine omaggio alla solidarietà della vita comunitaria con l’accettazione del diverso e la ritrovata armonia comune metaforizzata, nelle belle immagini finali, dal lavoro collettivo per portare alla luce un cucciolo di vitello.

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