La 13a edizione dell’Udine Far East Film Festival ha dedicato una retrospettiva di 15 film ai pinku eiga (t.l. film rosa – temine che indica i soft-porno giapponesi), facendo un tributo alla produttrice Asakura Daisuke e, di conseguenza, alla sua Kokuei. È stata la società di distribuzione Kokuei a dare il via a quello che è diventato un genere molto seguito dal pubblico, soprattutto tra gli anni ‘60 e ’70, arrivando in buona salute fino ai giorni nostri, grazie alla capacità di evolversi e rinnovare. Il merito lo si deve a uno dei fondatori della Kokuei, Yamoto Teruo, che ha intravisto nei pinku eiga un mercato molto più redditizio sia dei film educativi che di quelli d’animazione (verso i quali si era orientato inizialmente). Questa definizione è stata coniata nel settembre del 1963 dal giornalista Murai Minoru in un articolo pubblicato sul Naigai Times in merito al film Cave of Lust, una versione al femminile di Tarzan. Il “rosa” sta ad indicare la corposa presenza femminile in questi film, poi adottato permanentemente con l’intento di portare al cinema anche le coppie d’innamorati. I primi film non hanno vita facile: accusati di oscenità alcuni vengono confiscati dalla polizia, altri devono passare obbligatoriamente sotto le mani della censura. Tutti vengono visti in maniera negativa, soprattutto dalle autorità, eppure i pinku eiga non sono dei semplici film a sfondo erotico, anche se l’eros è molto presente, tuttavia al loro interno si possono trovare sia tematiche politiche che sociali o di cronaca (come Angeli Violati – 1967 – di Koji Wakamatsu). La loro carica dirompente è stata notata dal Festival di Berlino che ha selezionato in concorso Il segreto tra le mura (1965), sempre di Wakamatsu, come rappresentante del cinema giapponese.

La Kokuei ha saputo nel corso degli anni stare al passo con i cambiamenti in atto nella società, i pinku eiga hanno subito diverse evoluzioni: dai toni violenti e di ribellione si è passati all’approfondire le relazioni interpersonali tra i personaggi. La produttrice Asakura Daisuke, pseudonimo di Sato Keiko, è stata testimone e fautrice di tutto questo, lavorando in questo settore dal 1963. Con il nuovo musical pink Underwater Love (2011), presentato al Far East, Asakura Daisuke dimostra quanto questo genere sia ancora vivo e sappia trovare strade sempre nuove per esprimersi. Tra i numerosi ospiti internazionali presenti al Far East Film Festival 2011 ci sono stati quattro rappresentanti dei pinku eiga: la produttrice Asakura Daisuke e tre registi che hanno iniziato la loro carriera cinematografica realizzando i film rosa, Sakamoto Rei, Moriya Kentaro e Hiroki Ryuichi.

Durante l’incontro col pubblico e con la stampa del Far East, ognuno di loro ha parlato della propria esperienza e degli inizi lavorativi.

Asakura Daisuke: Negli ultimi cinquant’anni ci sono stati numerosi cambiamenti e le condizioni in cui si realizzano i pinku eiga sono notevolmente cambiate. In principio c’era un’unica casa di produzione e distribuzione e la maggior parte delle opere di quel periodo (gli anni ’60) uscivano in sala grazie ad essa. Inoltre un aspetto da tener presente è che all’epoca non c’erano dei diritti stabiliti, il settore non si era ancora sviluppato e quindi ciò di cui si discuteva era di come dar corpo alle trame e ai contenuti dei film, tutto il resto veniva dopo.

Hiroki Ryuichi: Quando ho iniziato io era praticamente impossibile entrare nel settore cinema. Le case cinematografiche erano un numero esiguo e quando ho sentito che nel settore dei pink movie cercavano giovani registi, insieme con un mio amico, ci siamo armati di faccia tosta e ci siamo presentati dicendo che volevamo fare un film anche se non avevamo una sceneggiatura pronta. La verità è che non avevamo nessuna esperienza a livello tecnico. Ci dissero che potevamo iniziare come aiuto regista. Così dalla sera alla mattina da dilettante sono diventato assistente alla regia. L’apprendistato durava tre anni e se in questo lasso di tempo non fossi riuscito a passare da assistente a regista, mi dissero che avrei fatto meglio a lasciare la carriera cinematografica. In quei tre anni abbiamo realizzato dieci o forse venti film e non ho mai neanche usato il ciak (ride).

Sakamoto Rei: Ho iniziato a fare cinema nel 1994, quando c’era un certo tipo di boom del settore, ma rimaneva comunque complicato entrarci. Ho avuto la fortuna di conoscere un collega universitario che mi ha introdotto in questo ambiente. Le ragioni per cui ho accettato di fare pinku eiga sono tre: la prima è che sono convinto che dalla quantità possa nascere la qualità. La seconda è che volevo utilizzare la 35mm per essere distribuito nelle sale e infine la terza è perché nell’arco di tre anni potevo diventare un regista a tutto tondo. Ho fatto l’aiuto regista per cinque anni. In totale mi sono occupato di quaranta pellicole, in quanto il periodo di produzione è molto più breve rispetto agli altri generi. Il ritmo era di un film al mese, quando ho iniziato io, e poteva capitare che la realizzazione di più progetti si potesse sovrapporre.

Moriya Kentaro: Ho iniziato a lavorare nel 1992 nelle produzioni televisive, fino ai trent’anni sono andato avanti realizzando programmi musicali e televisivi. Non sapevo che ci volesse un passaggio particolare per approdare al cinema. Ho deciso di creare un corto, che è stato ben accolto e ha ricevuto dei premi. Oshima Nagisa mi ha premiato a un Festival. Ciò mi ha dato lo spunto per intraprendere questa direzione e voler fare un lungometraggio. Nel 2005 ho realizzato il mio primo lungometraggio: School Daze.

Ci sono più rischi che in passato nel produrre film oggi?

Asakura Daisuke: Con lo scorrere del tempo la tendenza è diventata quella di fare film a basso costo, prima si rischiava di più nelle grandi operazioni. Per i pink, in particolare, non ci sono sponsor di nessun tipo, ma proprio per questo si prendono più rischi nella misura che si sa di poter gestire. Inizialmente è il regista che si accolla certi rischi in quanto, avendo poco denaro a disposizione, deve saper gestire le spese di produzione e lo staff, ed è dura, a volte, portare a casa il film. Io cerco di supportarlo il più possibile.

Hiroki Ryuichi: I miei film sono divisi in due categorie: quella in cui sono io a decidere il progetto e l’altra in cui sono terze parti a decidere. Quando un produttore mi propone di lavorare a un progetto a volte sono contento, altre ci penso sopra. Sono un regista cinematografico e quando mi offrono qualcosa di nuovo la sento come una nuova sfida, che deve essere affrontata. Io sono un fior fiore di professionista e aggiungo sempre un tocco personale a quelle che sono le richieste dei produttori.

Moriya Kentaro: Seaside Motel è tratto da un manga praticamente sconosciuto, così ho utilizzato degli attori famosi per creare attenzione e curiosità intorno al film. Sono riuscito a raccogliere il denaro per la sua realizzazione grazie ai nomi che avrebbero partecipato.

Il terribile terremoto che ha investito il Giappone avrà delle ripercussioni anche nel settore cinematografico?

Sakamoto Rei: Non so quale influenza avrà nei confronti non solo della cinematografia, ma anche dei valori dei giapponesi. L’11 settembre 2001 mi trovavo
a Manhattan e ho visto con i miei occhi cosa ha comportato quella tragedia nei valori di chi l’ha vissuto, incluso me. Non so che reazione si avrà, ma di certo ci sarà un cambiamento.

Hiroki Ryuichi: Non sono ancora arrivato a una conclusione emotiva di cosa è successo. Forse l’esprimerò nel modo a me più consono, realizzando un documentario per registrare quanto è accaduto, raccontando una verità.

Moriya Kentaro: Già prima del terremoto avevo una sceneggiatura pronta per essere realizzata, su una ragazza che trova la felicità. Oggi mi chiedo se sia il caso di cambiarla o di gettarla via e scrivere qualcosa che rispecchi i miei sentimenti attuali.

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