Aspettando l’uscita del nuovo di Mia Hansen-Love e travolti dalla leggerezza struggente di La guerra è dichiarata è quasi troppo facile abbandonarsi ad un nuovo entusiamo sullo stato attuale del cinema Francese.
Lioret magari non appartiene alla primavera generazionale delle splendide autrici de Il padre dei miei figli e La Reine des pommes, ma con Welcome ha sicuramente promosso un’idea filmica incredibilmente appassionata e capace di guardare molto oltre l’orizzonte della retorica, pur trattanto temi delicati e complessi come quelli legati a l’immigrazione.Avendo ancora negli occhi la visione epica della sfida al mare aperto e glaciale del giovane Bilal “Bazda” Kayani, le atmosfere molto più intime e crepuscolari di Tutti i nostri desideri possono inizialmente spiazzare, ma toccano comunque una profondità ed un’eleganza inarrivabile.
Verrebbe da partire dal confronto testardo con l’acqua della splendida Marie Gillain nella scena del bagno nel lago abbandonato nei momenti più consapevoli della sua malattia, ma il nuovo di Lioret si apprezza per la maestria concentrica con cui il regista parigino riesce a saldare più spunti narrativi diversi. Realizzando una riflessione solida e struggente sul senso della giustizia e l’istinto a non volersi arrendere, ma anche mille altre cose. Si parte dall’accusa alle Società che pubblicizzano prestiti finanziari capestro, per toccare poi le angolature di una bella storia d’amore, l’amicizia e le dinamiche di una malattia logorante.
Al contrario delle numerose critiche che abbiamo letto, il fatto che Loiret impasti l’intreccio della storia del giovane magistrato Claire Conti aprendo più porte allo spettatore non è affatto un problema per tutta la tenuta del film. Anzi a nostro modo di vedere Lioret riesce a tenere contemporaneamente il passo di Sautet e Ken Loach affidandosi anche al carisma e alla personalità dell’ottimo Lindon, questa volte nei panni di un giudice progressista stanco e appassionato di rugby. Impressionante.
Il tocco discreto della regia assume attimi intensi e si manifesta nella sua “francesità” perfetta  tratteggiando la relazione instaurata proprio tra Lindon e Marie Gillain. Un rapporto che non è una storia d’amore, un legame tra padre e figlia, nè una relazione professionale in senso stretto, ma che riesce a rendere una sintonia e un’unione telepatica tra i due tremendamente affascinante.
La scena dello svenimento nell’autobus stracolmo all’ora di punta in questo senso è sublime. La significanza affettiva del disegno dei bambini sopra il letto della mamma all’ospedale tocca quasi la poeticità del finale di Ferro 3. Fantastico. Quest’anno uno dei nostri desideri si è già esaudito.
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