“Dopo la vittoria di Sanremo nel 2007 ho deciso di rimanere con i piedi per terra. Anzi ho deciso di fare di più, di scendere sotto terra, in una miniera”.

Con queste parole Simone Cristicchi, cantautore romano che ha diversificato la sua attività anche nel teatro e nella scrittura con un ‘attenzione particolare per la Storia e il recupero della memoria (Li Romani in Russia, Mio nonno è morto in guerra) ha presentato l’incontro con il coro dei minatori di Santa Fiora, una località della Toscana vicino al monte Amiata. Proprio da questo incontro è stato concepito lo spettacolo Canti di miniera, d’amore, di vino e anarchia che, ormai da quattro anni, viene rappresentato con uguale apprezzamento in ogni genere di sede, dal Teatro degli Arcimboldi a Milano alla miniera di Prali in provincia di Torino fino al Teatro Valle Occupato a Roma. L’esperienza artistica e umana rappresentata da questo lunga tournèe è diventata un docufilm, Santa Fiora Social Club, che Cristicchi ha ideato e diretto assieme ad Andrea Cocchi e dove il filo conduttore sono le canzoni interpretate dal coro che, assieme ad alcuni monologhi teatrali recitati dallo stesso Cristicchi, ricostruiscono e raccontano frammenti della vita dei minatori.

Un’esistenza fatta di sacrificio, fatica e privazioni, in primis quella della luce del sole, ma al tempo stesso attraversata da un‘incontenibile, viscerale voglia di vivere, da un’ironia dissacratoria e libera espressa nell’atmosfera gioiosa e solidale di una serata fra amici in osteria, dopo una lunga giornata di lavoro.

E c’è proprio la sensazione di trovarsi catapultati in mezzo a un mondo di amici che hanno condiviso e continuano a condividere un percorso di vita insieme e spalancano la porta dell’osteria dove si riuniscono la sera  a chiunque sia disposto a farsi coinvolgere (“Venite a Santa Fiora ,siete tutti invitati!”, incitano in uno dei canti) e anche se l’ingresso, l’accesso più diretto e immediato rimane la dimensione live dello loro esibizioni, il film restituisce con un entusiasmo e un’energia quel clima immediato, quel calore e quell’affetto che sono poi la cifra dello sguardo con cui Cristicchi si è rivolto a quell’esperienza.

Per quanto mi riguarda ad esempio sono riuscito a vedere lo spettacolo dal vivo solo mesi dopo aver visto il dvd del documentario, nella serata in cui presentarono lo spettacolo al Teatro Valle Occupato. In quell’occassione, quel sentimento di calore e vitalità che avevo provato vedendo il documentario nel mio salone e dentro il limite dello schermo televisivo, riaffiorò intatto e tutti loro, a cominciare  dal più anziano del gruppo, Lino Nucciotti, ottantadue anni e una vogla sconfinata di comunicare attraverso la voce, l’espressività del viso e la gestualità del corpo, erano diventanti non dei semplici perfomers, ma persone che ti raccontavano delle storie mettendole in versi e in note e che in quella semplicità, in quel clima festoso che sapeva diventare anche mesto quando andavano a toccare il destino dei minatori a volte crudele e ingrato, innescavano lo spunto per una riflessione, un pensiero, un momento di commozione come mai forse nessuna lettura o nessun approccio più storico sarrebbero in grado di stimolare.

Il film è sicuramente uno specchio fedele e sentito dell’esperienza che poi si respira dal vivo, in presa diretta, proprio perchè rende quella presa diretta, quel fluire di un tour che nasce ancora una volta da un incontro di vita più che da un’operazione costruita nelle logiche delle case discografiche, in quanto Cristicchi ascoltò il coro una sera al The Place, lo storico locale romano dove ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo del cantautorato.

E questo atteggiamento, questa curiosità e lo stile camaleontico del cantautore romano sono strettamente legati ad un desiderio di conoscere e capire la Storia che ha molto poco a che fare con l’aspetto intellettuale ed è invece molto legato all’affettività e all’empatia che  permette a Cristicchi e di conseguenza allo spettatore di qualsiasi età, classe sociale e condizione culturale di capire le storie di ogni singolo appartenete al coro e renderlo racconto di una Storia più grande, quella dei minatori e della miniera.

Il riferimento a Wim Wenders e al mondo dei Buena Vista Social Club non è dunque tanto da intendersi da un punto di vista cinematografico quanto nello spirito, nella volontà di cogliere un’esprienza nel suo farsi, come se si trattasse di un flusso ininterrotto di vita che collega il passato, il presente e le generazioni future, la grande tradizione della musica popolare e del racconto orale, la traduzione del significato di un termine, folk, di cui il documentario cerca a suo modo di dare una definizione anche contestualizzando storicamente e socialmente la nascita del coro

Questa dimensione è espressa alternando spezzoni dello spettacolo e del suo backstage, la ricostruzione della storia del coro dei Minatori dalle origini ad oggi e testimonianze dirette degli ultimi minatori sopravvissuti su com’era la vita fuori e dentro la miniera, puntando a conservare e a tramandare il valore di un patrimonio culturale, storico ed umano che rischia di scomparire.

Ma più di tutto chi ha visto il documentario e vedrà poi lo spettacolo si accorgerà di come, esattamente come succede per le cose della vita che ci divertono e ci commuovono, il filo di quell’emozione non si è mai interrorro, c’è solo l’oppurtunità di (ri)viverlo in contesti diversi.

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