In occasione della presentazione romana al Kino, il 15 e il 16 gennaio con un doppio spettacolo alla 20,30 e alle 22,30, condividiamo riflessioni e suggestioni su “Noi non siamo come James Bond” di Mario Balsamo e Guido Gabrielli, secondo premio all’ultimo festival del cinema di Torino.

 La tenerezza, l’affetto,il contatto e la memoria ci salveranno dall’aridità e dalla freddezza a cui a volte la vita, nella sua insondabile indifferenza, sembra condannarci. Partiamo da questo presupposto per comprendere che fin dal titolo, Noi non siamo come James Bond, l’ultimo film di Mario Balsamo realizzato in imprescindibile collaborazione con il suo migliore amico e compagno di viaggio Guido Gabrielli, è un film liberatorio, una sincera e aperta lettera d’amore nei confronti della propria reale  natura  e  verso la vita  che, anche se non ci ha dato sole le carte migliori da giocare, ci ha comunque offerto la possibilità di scegliere che cosa fare con quelle carte, anche di gettarle per aria e cambiare gioco, trasformando l’attesa passiva in risposta creativa.

Si parte dunque dall’affermare quello che non si è  e il contrasto è particolarmente stridente se si pensa che il modello di riferimento per Mario e Guido, amici nell’esaltante stagione della gioventù, del viaggio e della scoperta, era appunto James Bond, il mito del superuomo forte, sicuro di sé, incastonato nell’iconografia dell’eroe maschile integro e monolitico, che sopravvive alle avventure più estreme e rischiose, tra paesaggi e ambienti da sogni lussuosi e donne bellissime pronte al soccombere al fascino irresistibile. Questo James Bond, tra i molti che la Storia dell’immaginario cinematografico ha cercato di creare in cinquant’anni di vita del personaggio, non poteva che essere Sean Connery, il primo e il più straordinario interprete di quelle qualità che sono riuscite a trasformare l’Agente 007 non solo in una sigla, ma anche in un simbolo.

Partendo da una figura cosi mitica dell’immaginario cinematografico collettivo, Mario Balsamo riesce ad amplificare l’aspetto struggente, intimo ed autobiografico della storia che racconta, che da quella giovinezza fatta della materia dei sogni di celluloide  e dell’aspirazione al movimento, passa attraverso un processo doloroso di maturazione  segnato, prima per Guido e poi per Mario, dalla malattia e dalla prospettiva, evocata chiaramente da entrambi i protagonisti senza tabù o reticenze, della morte. Il tempo in cui si svolge il film è quello della consapevolezza di essere, in qualche modo, dei sopravvissuti ma anche e forse soprattutto di volersi riappropriare dello spazio e del tempo con una diversa percezione del confine e dell’orizzonte, non più vissuto con lo scalpitante tumulto dei ragazzini che vogliono superare o quantomeno spostare in continuazione la linea di quel confine, ma con la serena, calma accettazione di ciò che si è stati e l’apertura incondizionata a quello che si potrà diventare.

Pur nella sua linearità e nella limpidezza delle immagini che riflettono chiaramente anche una visione lucida e non solo consolatoria e nostalgica, la storia di Mario e Guido presenta più livelli di lettura: è un road movie della memoria, con i protagonisti che vanno alla ricerca di un incontro impossibile con Sean Connery, il “loro” James Bond, evocato anche dall’incontro con Daniela Bianchi, l’attrice italiana che fu sua partner in Dalla Russia con amore e che introduce subito la smitizzazione (“Sean Connery aveva già il parrucchino”); è la storia di un’amicizia maschile che esce fuori dai clichè convenzionali del genere, perche fa emergere l’aspetto più emotivo e tenero che lega due uomini,rafforzato dall’aver vissuto sul proprio corpo la malattia della quali entrambi portano ancora ben visibili i segni, anche in questo caso esposti senza morbosità e compiacimento,con una grazia e un pudore che ci ricorda l’espressività di corpi consumati dalla vita; e c’è qualcosa di più bello e di più importante, il raccontare questa amicizia tra due uomini adulti attraverso il contatto anche fisico e la dimensione del gioco, come nelle scene intense sulla spiaggia in riva al mare, dove Guido e Mario rivivono i rituali della giovinezza, i moti vitali dell’adolescenza e forse, andando ancora più indietro, dell’infanzia con questo mare immenso che come un liquido amniotico li osserva, li protegge e alla fine li accoglie.

Ma come dicevamo tutto è filtrato ed elaborato attraverso lo sguardo del cinema e la lucidità di cui accennavamo prima è presente in un altro chiave di interpretazione del film che Mario Balsamo ci offre, quella meta-cinematografica del work in progress, con lo stesso Balsamo che a un certo punto fa vedere a Guido (e a noi con lui), una prima versione del film che stanno realizzando.

Un momento questo che scatenerà tra l’altro un'incomprensione e una momentanea frattura tra i due amici, lo svelamento del “gioco” del cinema e della rappresentazione che fa uscire una tensione latente tra due caratteri anche bruschi e spigolosi come Guido e Mario e sventa il pericolo  dell’idealizzazione.

Si tratta inoltre di un elemento che riconduce perfettamente il discorso del film nella poetica di Mario Balsamo, questa commistione tra ricostruzione e realtà, tra vita immaginata e rappresentata e vita vissuta, il debordante fluire degli eventi che sconvolge la  direzione e il determinismo, perche non è detto che dentro i tarocchi ci siano delle risposte definitive,specie se a leggerli sono una madre con la proiezione delle proprie tenerissime ansie e preoccupazioni.

In nome di questa istanza, di questo bisogno di dialettica tra il reale e l’immaginario risulta  particolarmente toccante e quasi poetica la telefonata, che dopo innumerevoli e buffi tentativi, Mario riesce a fare a Sean Connery parlandoci per qualche significativo istante: la voce di un uomo ormai chiaramente anziano, quasi spezzata, che dichiara di non poter lavorare e di doversi occupare della salute malferma ci dice chiaramente che anche lui, ormai, non è più come James Bond.

Paradossalmente però è proprio questa amara constatazione che permette a Mario e Guido di liberarsi per sempre dal fardello di una mitologia e ad aprirsi all’imponderabile, imperfetta, imprevedibile bellezza dell’immagine finale.

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One thought on “Noi non siamo come James Bond,Road Movie della memoria

  1. sarò di parte, ma trovo questa lettura di fabrizio tra le più intense, calzanti e profonde

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