In pieno svolgimento a Napoli la quarta edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani (8-19 novembre), la rassegna di documentari e cortometraggi dedicati a una macro-tematica ricca, eterogenea e sempre di grande attualità. Dopo tre anni di felice apprendistato e di “semina”, la manifestazione sembra marciare decisa sulla via del consolidamento, avendo piantato ben profonde le proprie radici in un terreno tutt’altro che facile. Nato nel 2008 sotto la spinta dell’associazione salernitana Cinema e Diritti, il festival rappresenta un’esperienza innovativa ed eterodossa, che rifiuta le “forme note” degli eventi cinematografici tradizionali, sia nel suo apparato organizzativo che nella sua strutturazione programmatica.

L’apparato – se così si può chiamare – è infatti una peculiare rete di realtà territoriali, sparse sul territorio campano e non solo, e coordinate da Cinema e Diritti, che arriva fino al Sud America, al gemellaggio fondativo con il DerHumALC (Derechos Humanos America Latina y Caribe), ovvero l’omologo festival di Buenos Aires diretto da Julio Santucho. Ne fanno parte associazioni, università, cooperative, istituzioni, oltre a giornalisti, artisti, film-maker, che hanno sposato una filosofia progettuale detta di “informazione itinerante”. L’obiettivo dichiarato è quello di mettere insieme le immagini e le testimonianze raccolte dai cineasti che con i propri occhi raccontano il mondo e di portarle, attraverso la rete, non solo nei centri già raggiungibili dal flusso principale della comunicazione di massa, ma anche nelle periferie e nei luoghi della marginalità e del disagio, metterle a disposizione di comunità frequentemente ignorate dai canali informativi standard. In ciò è ovviamente fondamentale il coinvolgimento delle singole realtà locali, che allestendo in autonomia i propri spazi nei giorni dell’evento, si fanno festival, di volta in volta, direttamente sul campo. All’insegna di una orizzontalità per forza di cose sconosciuta alle kermesse festivaliere classiche.

Ne consegue, per lo svolgimento del festival, una strutturazione programmatica che affianca alla presentazione dei film in concorso tutta una serie di eventi che si sbaglierebbe a definire collaterali. L’intera prima settimana, per esempio, è stata riservata a iniziative di carattere politico e sociale, con convegni, letture e incontri pubblici in giro per Napoli e dintorni, tra sale cinematografiche e istituti scolastici, università, sedi istituzionali e piazze. Tra gli argomenti focalizzati, la legislazione penale minorile, l’accesso ai beni comuni, la libertà all’informazione e all’assistenza sanitaria, la riconversione delle fabbriche dismesse, l’immigrazione, le recenti Primavere Africane, la lotta alla ‘ndrangheta e molto altro. Nei mesi precedenti era stato di scena un pre-festival che, a scadenza settimanale, aveva portato a Napoli una piccola selezione di documentari “sponsorizzati” dalla rivista “Internazionale”.

Le proiezioni delle opere selezionate per i due concorsi, Human Rights Docs e Human Rights Shorts, sono state concentrate dunque nell’ultima settimana, che si chiuderà il 19 novembre. Tredici i titoli in gara tra i documentari, dieci tra i cortometraggi, a fronte di oltre cento lavori pervenuti. Spiccano alcuni già noti al pubblico dei festival e ai cinefili più attenti, come This is My Land… Hebron, A Mao e a Luva – Storia di un trafficante di libri, 365 without 377, Bakroman, The Well – Voci d’acqua dall’Etiopia. L’attenzione verso i conflitti etnici, la lotta alla marginalità sociale, la tutela delle minoranze, i diritti degli ultimi, animano dunque lo spirito dei film in concorso, in un festival quest’anno coerentemente dedicato alla memoria di Vittorio Arrigoni e Juliano Mer Khamis, che nell’ultimo anno hanno perso la vita proprio in nome di chi diritti non ne ha ed è costretto a rivendicarli ogni giorno con la lotta.

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