Risvegliare un’arcaica forza interiore. Liberarsi, guarire dalla sofferenza.
Come possiamo combattere le nostre paure, agire contro quell’oscuro malessere che alimenta fallimenti, depressioni e malattie.
Lia è una giovane donna intrappolata all’interno di una relazione malata con un uomo possessivo e tirannico. Una grande passione corrosa da un gioco distruttivo.
La ragazza subisce passivamente ogni sopruso pur di restare accanto all’uomo che pensa di amare. Quando rimane incinta e Viktor la spinge all’aborto qualcosa cambia.

Nella mente di Lia dilaga una parte oscura che si alimenta di traumi infantili, sensi di colpa, personalità irrisolta. Tutto viene racchiuso in un cerchio magico sostenuto da miti, leggende e  tradizioni popolari che riemergono da un’infanzia passata in un paesino veneto accanto alla zia Agata, la famosa guaritrice del villaggio esperta di psicomagia e medicina alternativa a cui tutti si rivolgono per riti propiziatori e purificatori di ogni specie. Mai sottovalutare il potere della suggestione. L’inconscio è portatore di una propria lingua. L’unica via d’uscita per Lia sarà tornare alle sue origini e affidarsi ad un rito psicomagico che brutalmente interrotto porterà inevitabili conseguenze trasformando la vittima in carnefice.

In Ritual l’elemento onirico è continuamente e volutamente oppresso da un rigoroso schema narrativo e visivo. Una struttura classica in tre atti: un esordio, una parte centrale, un epilogo drammatico. L’accuratezza nel dettaglio e il lindore estetico vengono accentuati dalla fluidità  di  risoluzione della Red Epic 5K, per la prima volta utilizzata in un film italiano.  Un ordine formale che reprime qualsiasi debordazione nel caos. Ogni rivolo di sangue inibisce e coagula all’istante o si trasforma in sublimazione estetica. Quindi, anche se evocato nonché apparso in carne ed ossa in un cameo,  Alejandro Jodorowsky e il suo meraviglioso cinema allucinato di vita, carne e follia sono ben altra cosa.

Per riconquistare una forza positiva nascosta dentro di sé oppure per un’accettazione serena della malattia Jodorowsky propone l’abbandono all’atto psicomagico. Rompere il filo con la quotidianità per compiere un intervento simbolico sulla nostra psiche. Una soluzione che sublima il problema invece di analizzarlo; quindi un invito per tutti ad eseguire una performance teatrale molto speciale.

Nell’opera prima di Giulia Brazzale e Luca Immesi,  liberamente tratta da La danza della realtà di Alejandro Jodorowsky, la psicomagia si amalgama all’antico folclore della tradizione popolare veneta con apparizioni di personaggi come l’ Anguana creatura notturna legata all’acqua che dimora nelle cavità naturali dei monti e in grado di lanciare forti grida. Incantevoli ammaliatrici oppure orrende streghe. Spiriti di donne morte di parto o di fanciulle morte giovani che sottraggono  bambini e uomini altrui non per far loro del male ma per accudirli. Nelle sembianze di due simpatici bambini, che recitano vecchie nenie e filastrocche alla protagonista, vengono citati anche i Salbanei folletti dispettosi appartenenti alla mitologia alpina.

Lo scorrere delle immagini è continuamente tempestato da simboli legati alla nascita.  Il dolore e il senso di colpa per una maternità negata genera nella mente di Lia un mondo parallelo che infine dominerà pericolosamente la sua psiche. Per ricongiungersi al figlio perso è disposta a tutto e la sua natura fragile sarà capace di trasformarsi in una forza dirompente.

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