Natale. Si sa, a natale tutte le famiglie si ritrovano per festeggiare, ma quest’anno la famiglia Stone sta per affrontare un natale davvero speciale, e probabilmente ciò deriva dal fatto che anche la famiglia in questione è davvero speciale.

In realtà il film è incentrato sulla presenza di due attrici di calibro nel cast: Diane Keaton (che interpreta Sybil Stone) e Sarah Jessica Parker (nei panni di Meredith), ma a giudicare dagli altri personaggi e dalla struttura si può affermare che quest’elemento è trascurabile.

Iniziamo dalla composizione della famiglia: genere hippie, stanziata nel New Jersey, canne, linguaggio poco formale, “fate l’amore non la guerra”, insomma genere genitori in blue jeans, questa volta di ben 5 figli! In realtà la struttura narrativa sembra un miscuglio tra un telefilm alla “Melmose Place” e grasse risate da commedia intervallate da momenti pseudo-drammatici più rassomiglianti alla retorica da fiction.

Ma torniamo ai figli. La cosa che stupisce di più è quanto siano diversi l’uno dall’altro, pur provenendo dalla stessa coppia di geni. Ma fin qui nulla di strano, è plausibile, poi durante il film ti rendi conto che era un’esigenza dell’autore, Thomas Bezucha, per creare il classico meccanismo delle matrioska e cercare di mettere dentro al calderone quante più sfumature possibile. Degno intento, ma vediamo se c’è riuscito…

Nei primi minuti, tutti i personaggi arrivano più o meno insieme in casa Stone addobbata a festa. Uno dei primi a comparire è Thad Stone, e osservi “ah, hanno un figlio sordo…” Dopo un po’ di dialoghi, aggiungi “ah, il figlio è sordo e omosessuale.” Dopo qualche minuto e qualche personaggio… “ah, il figlio è sordo, omosessuale, e sta con un uomo di colore.” Dopo ancora qualche battuta telefonata direttamente dal politically correct, arriva l’estrema ratio: “ah, il figlio è sordo, omosessuale, sta con un uomo di colore e vogliono adottare un bambino”. E pensi: “dov’è la sbavatura?”

Prosegui e passi per l’altra figlia, Susannah, quella con una creatura e un’altra in arrivo, nell’attesa del maritino. Poi c’è l’ultima, indisciplinata e algida Amy, quella della ciliegina, fino ad arrivare ai due colossi del film: Ben (Luke Wilson), un autentico hippie montatore di documentari in California, e il sofisticato Everett (Dermot Mulroney), uomo in carriera che porta l’altrettanto sofisticata fidanzata Meredith a far conoscere la sua famiglia anticonformista. Da questi ritratti emerge la particolare fisionomia della dinastia Stone, che si trova a passare più o meno inconsapevolmente l’ultimo natale con la madre Sybil, malata di cancro al seno. Ovviamente tutti inveiscono contro la povera Meredith che, per quanti sforzi faccia, non riesce proprio a suscitare consensi (con l’eccezione del fratello Ben, il montatore).

C’è da dire che la cara Sarah Jessica Parker non aveva ancora disfatto la valigia di Sex and the City, e che ogni suo atteggiamento, compresi i capi d’abbigliamento (vedi citazione con scarpe), ci fanno sempre un po’ rimpiangere la vecchia Carrie Bradshaw.

Ma torniamo al film. In 48 ore (questo potrebbe esserne il vero titolo) si succedono equivoci, gag, passaggi di anelli di vecchie nonne scomparse e naturalmente scoppi di coppie cui seguono nuove unioni… il tutto in un meccanismo alternato e quasi surreale, che avrebbe anche funzionato se il povero Bezucha non si fosse messo in testa di voler aggiungere qualcosa di attuale e drammatico. La sequenza a mio avviso delirante è quella in cui avviene lo scambio di coppie: Everett e Meredith litigano dopo l’ennesimo battibecco familiare, Meredith tenta la fuga distruggendo due auto e un albero, Ben la insegue, Everett tenta una blanda ricerca insieme alla sorella di lei Julie, accorsa a sostenere Meredith nella difficile impresa di farsi accettare dalla famiglia Stone.

Parallelamente, in una notte, si compie il destino di entrambe le coppie. Nel dialogo melenso e lento in cui non sai se ridere o annoiarti, si passa dai totem visti tra i ghiacciai dell’Alaska ai sogni di Ben in cui vede Meredith da bambina spalare la neve… c’è da pensare che tutti siano passati per la tanto citata “erba di casa Stone”. E invece no: il mattino successivo i nodi vengono al pettine, tutti i personaggi finiscono col riconciliarsi e, anche se nei fatti uno s’è fregato la donna dell’altro, finisci col pensare che in fondo è normale… che in fondo non è così strano… e che non poteva rimanere solo una commedia, doveva comunque finire con il natale successivo, che la mamma morta fa sempre lacrimuccia… perché, in fondo, a chi non è successo di passare un natale nel New Jersey con la famiglia Stone?

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