di Stefano Macera

Quotidianamente bombardati da immagini insignificanti, ci dimentichiamo spesso del potere della fotografia. Una forma espressiva che mantiene una sorprendente capacità di documentazione e d’interpretazione della realtà. Di più, quando tale arte viene praticata con piena consapevolezza, essa riesce a leggere nelle pieghe di momenti storici eccezionali, sottraendoli ai discorsi codificati del sistema mediatico. Lo testimonia un recente volume intitolato Punti di fuga. Pellegrinaggi urbani nelle periferie di Roma, realizzato da Michael Wernli, fisico, musicista e fotografo nativo dei dintorni di Losanna che si è trasferito nella Città eterna circa 15 anni fa. Durante il primo lockdown e nelle fasi immediatamente successive (marzo – maggio 2020), egli ha realizzato un’infinità di scatti nell’area urbana in cui vive, nel nord ovest della Capitale. Ne è nato il suggestivo ed inconsueto ritratto di una periferia su cui non mancano pubblicazioni di valore, ma che mai era stato indagata in un momento così irripetibile, segnato – per citare la prefazione di Daniela Maurizi – da quella “assenza dell’umana presenza” che “spinge alla ricerca di soggetti sostitutivi, segni , tracce che evochino l’umano nelle sue azioni volontarie e involontarie: oggetti d’uso comune, banali, degradati, scartati, vissuti”. Fortemente colpiti da una pubblicazione tanto singolare, abbiamo deciso di incontrarne l’autore che, attraverso il racconto del libro, ci ha esposto le proprie convinzioni estetiche.

Ci puoi parlare, in generale, del tuo rapporto con la fotografia (come nasce, a quali esperienze formative rimanda)?

Anche nella semplice qualità di viaggiatore curioso, le fotografie le scatto da sempre. Mi sono maggiormente applicato a questa forma espressiva quando sono arrivato a Roma. Parliamo di una quindicina d’anni fa: mio padre mi aveva regalato una macchinetta compact, ossia una macchina fotografica numerica ee io, confrontandomi col patrimonio archeologico dell’Urbe, ho cominciato a capire che la fotografia può essere un’arte. Così, ho iniziato ad approfondirne tutti gli aspetti tecnici ed espressivi. In particolare, ho avuto modo di formarmi online tramite il sito di un didatta francese, Laurent Breillat (www.laurentbreillat.fr) che ho seguito per un paio d’anni. I passi successivi sono stati l’acquisto di una Reflex con gli obiettivi intercambiabili e, dal 2014-2015, la spinta a sviluppare un mio personale linguaggio. Forti stimoli mi sono venuti dalla Street Art Photography, che consiste nel ritrarre le strade di una città, spesso con le persone associate ai diversi contesti urbani. Ma un’ispirazione ancor più decisiva è nata dalla sua variante detta still life street photography, seguendo la quale ho iniziato a misurarmi con le forme urbane senza la presenza di esseri umani.

Come si collocano, in questo percorso, gli scatti raccolti in Punti di fuga?

Pur mantenendomi nei limiti della legalità, durante la fase del confinamento sono stato anzitutto spinto dalla voglia di uscire. Dopo mesi di inattività sul fronte fotografico, ho realizzato un’infinità di scatti mentre passeggiavo: ritraevo tutto quello che mi capitava, senza un progetto preciso. Da questo punto di vista, il lockdown determinava una situazione ottimale, contraddistinta dalla tranquillità sonora e dall’assenza di traffico. Potevo studiare un soggetto e decidere come comporlo per tutto il tempo necessario. Noi non ne siamo pienamente consapevoli, ma in presenza di rumori urbani la nostra tendenza è quella di fuggire, laddove per realizzare una foto significativa occorre sostare. In quel momento così peculiare, potevo anche mettermi per un po’ di tempo in mezzo alla strada, così da osservare un soggetto da un punto di vista inconsueto. Da tempo ho abbandonato i canoni estetici ottocenteschi e la conseguente idea classica della bellezza. Questa opzione ho potuto esprimerla compiutamente proprio nella fase del confinamento, segnata da diverse limitazioni, tra cui l’obbligo di non allontanarsi troppo da casa. Ma cosa si poteva trovare di interessante in un’area periferica? Analizzando gli scatti realizzati, ho ricostruito a posteriori che quel che veramente mi stimolava era la possibilità di documentare uno stato di cose fuori norma, facendo dialogare elementi eterogenei. In sostanza, ogni fotogramma coincideva con il racconto di una storia più o meno paradossale.

Il volume è anche una testimonianza dei tratti tipici di una precisa parte di Roma…

In corso d’opera si è affacciata anche un’altra necessità: quella di conoscere meglio l’area della città in cui vivo, comprendente Monte Mario, Torrevecchia e Primavalle. Chi fotografa è indotto a una costante analisi della realtà, quindi scopre elementi sempre nuovi in contesti urbani che di norma tutti attraversano distrattamente. Dunque, questa forma espressiva può dare un rilevante contributo alla conoscenza di un territorio.

Le immagini tradiscono una notevole cultura visiva. Quali sono i tuoi riferimenti stilistici?

Quando m’ispiravo alla Street Art Photography non mi mancavano i punti di riferimento, sia sul piano della ritrattistica sia riguardo alla capacità di mettere in relazione l’essere umano con l’ambiente. Per le foto raccolte in Punti di fuga non mi sono basato sulla lezione di questo o quel maestro. In seguito però, ho verificato consonanze con alcuni importanti artisti: ad esempio Siegfried Hansen, specializzato nel far dialogare i diversi elementi in modo inconsueto. In generale, l’apparato critico del libro l’ho costruito a posteriori, in relazione alla necessità di fare una prefazione. Il mio approccio di partenza, a ben vedere, non era privo d’ingenuità. Certo, come tutte le persone impegnate in attività espressive, anch’io inconsapevolmente ripropongo una parte del mio background culturale. Per dire, nei commenti su facebook, qualcuno ha trovato riferimenti a Constantin Brancusi nella foto intitolata La colonna infinita. Si tratta di un richiamo plausibile, ma il sottoscritto non si è volontariamente ispirato al grande scultore romeno.

Prima hai detto che ti sei mosso senza un progetto preciso. Com’è nata l’idea del libro?

Le passeggiate sono durate poco più del primo lockdown. Ogni giorno realizzavo qualche decina di fotogrammi. Nel luglio 2020, esaminando il materiale, ho appurato che vi erano parecchi scatti interessanti. In più, in quel periodo mia moglie Daniela stava pubblicando un romanzo a tematica distopica: Serial Filler. Confrontandomi con lei, che conosce bene l’arte, ho avuto la conferma che diverse tra le mie realizzazioni erano di valore. Per cui mi sono impegnato nella non facile ricerca di un editore. Se non si è un nome, non è semplice farsi pubblicare nel campo della fotografia. Alla fine ho trovato una casa editrice che lega la sua attività a un sistema di finanziamento partecipativo, o crowdfunding. I tempi di risposta di questo editore sono stati brevi ma per fortuna, prima di inviare le foto, avevo già suddiviso tutto per temi/capitoli.

Ecco, ci puoi descrivere l’articolazione del volume?

La cosa fondamentale è che questo lavoro di strutturazione ha portato con sé una prima riflessione sul materiale raccolto. Nella sostanza, si è trattato di analizzare centinaia di fotogrammi, così da dividerli per temi/capitoli (nel libro sono 8) e poi associarli in coppie. Per dire, vi è il capitolo Duelli in cui metto a confronto in modo spinto due mondi, quello naturale e quello artificiale e umano, esaltando i punti in comune e quelli di contrasto, tanto a livello tonale che di forma. In tal senso, un esempio è rappresentato dalla natura che riconquista l’urbano, con un’edera che sembra divorare una casa (tale immagine è stata realizzata presso la pista ciclabile, all’altezza del quartiere Balduina). Vi è poi il capitolo Incursioni, segnato dalla presenza di tubazioni che, a seconda dei contesti, svolgono ruoli diversi. Qui è significativa una coppia realizzata in due traverse di via Torrevecchia: nella prima foto i tubi possono richiamare i tentacoli di una piovra, nella seconda viene evocato un serpente velenoso, forse un boa. Come si può intuire, ci muoviamo sul terreno delle associazioni incongrue, con sconfinamenti nell’assurdo. Nel capitolo Materie invece viene evidenziato il degrado di strutture metalliche, di muri ecc. Ad esempio, uno sportello del gas arrugginito si approssima sorprendentemente alle opere di Alberto Burri. A Monte Mario Alto, nella zona di via Siro Corti, ho rinvenuto la dialettica tra l’intonaco frantumato in terra e un pavimento ben definito: quasi una raffigurazione dell’eterno contrasto tra caos e organizzazione.

Non solo il taglio del libro risulta originale, ma anche l’attività promozionale ad esso legata…

Su questo fronte, abbiamo seguito lo schema fornito dalla casa editrice, però portandolo avanti in modo autonomo. Per dire, abbiamo realizzato un video con musica di mia composizione, basato su riprese effettuate da Daniela mentre fotografavo. La voce narrante riprendeva brani della prefazione del libro che, volendo, più che una critica è una sorta di racconto allegorico del vissuto del fotografo. L’intento era quello di far entrare lo spettatore nel processo creativo suggerendo, attraverso l’uso del ralenti, il senso di sospensione che l’accompagna.

Un processo creativo singolare, visto che le foto sono state realizzate con la fotocamera del tuo cellulare…

Sì, in quella fase di confinamento, non ho usato la Reflex per non farmi notare. Molti sono rimasti sorpresi dalla qualità degli scatti, ma su questo bisogna dire due cose. La prima è che, sotto questo profilo, i cellulari sono molto migliorati, anche se non puoi realizzare immagini adatte a stampe in grande formato. La seconda, più importante ancora, è che in ogni caso non è il mezzo a produrre gli eventuali valori artistici, bensì lo sguardo del fotografo, capace di nobilitare anche uno strumento normalmente associato a immagini dozzinali.

Ora che è possibile, intendi organizzare delle presentazioni pubbliche del libro?

Certamente, e sarebbe significativo svolgerne qualcuna alla presenza di autorità culturali locali. Il libro è incentrato su uno specifico territorio, che secondo me ne risulta fortemente valorizzato, a partire da quei contrasti che indicano i nuovi canoni estetici della metropoli, lontani dalla tradizione.

Concludendo nel modo più classico, ci piacerebbe sapere cos’hai in cantiere…

La forma d’arte in oggetto mi stimola ancora, tanto che dopo la pubblicazione del libro ho continuato a scattare, usando anche la Reflex. Ho già proposto un altro progetto a una casa editrice specializzata in Street Photography, che pubblica autori di tutto il mondo, non necessariamente notissimi. La fotografia mi appassionava già prima, ma a partire dalla fase del confinamento è diventata per me un irrinunciabile mezzo d’espressione.

Titolo: PUNTI DI FUGA. Pellegrinaggi urbani tra le periferie di Roma
Autore: Michael Wernli
Editore: Crowbooks (www.crowdbooks.com)
Stampa: aprile 2021
Acquistabile online su: www.crowdbooks.com/punti-di-fuga

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